La Red Bull e il peggior lavoro del mondo

10 Giugno 2013 • Economia dei media, Etica e Qualità • by

“Vi spiego il trucco geniale per catturare l’attenzione della scena mondiale escogitato da un manipolo di PR, che ha stilato e poi fatto circolare sul web la classifica degli attuali dream-jobs .” Questo è stato il mio laconico commento su Facebook, quando un paio di giorni fa il sito online CareerCast.com, sito che si occupa del mercato del lavoro, ha pubblicato la sua annuale job-ranking-list. Ebbene il lavoro di giornalista e di reporter era scivolato miseramente in fondo alla classifica.

Persino sulla pagina di Facebook del Wall Street Journal, i cui lettori dovrebbero in teoria interessarsi maggiormente agli investimenti in borsa che alla professione giornalistica, la notizia di questa classifica ha raccolto ben 195 000 “Mi piace”. Come altri numerosi media l’ha pubblicata anche lo zurighese  Tages-Anzeiger tematizzandola online con siffatto commento “ Le persone preferiscono la professione del boia o dello spurgatore di fogne a quella del giornalista, che hanno in comune, la prima, la possibilità di giudicare, la seconda, quella di ripulire…. Nel frattempo, è quindi accertato, questa professione è l’ultima tra le ultime. Dopo la lunga serie di indagini svolte nei 25 anni precedenti, il sondaggio del sito CareerCast.com decreta che il giornalismo è al duecentesimo e quindi ultimo posto. Persino il tagliaboschi e il soldato sono meglio piazzati. Se ne deduce che è preferibile uccidere alberi o uomini, piuttosto che scriverne.

Un dettaglio non trascurabile, che non ha giocato il minimo ruolo, è che la classifica non era un sondaggio su vasta scala, ma si riferiva esclusivamente  “al giornalismo di reportage”, escludendo i giornalisti in generale, tra cui i moderatori televisivi, i conduttori di talk-show e persino gli editorialisti. Anche la maggioranza dei commenti di contorno sono rimasti scontati e prevedibili, ricalcando gli stessi triti stereotipi di autocommiserazione, del tipo “molto stress professionale”, “paghe miserabili” … ma, in fondo in fondo, proprio così male non deve essere. Nonostante tutto, osservando bene, quella del giornalista sembra risultare una delle professioni più belle del mondo.

Infatti, se si osserva la statistica con vera attenzione,  ci si accorge che l’essenza, il nucleo alla base del giornalismo, ovvero le sue virtù e la sua professionalità, sono state completamente ignorate.  Salta agli occhi che la classifica contiene qualche evidente sciocchezza. Per esempio è risaputo che in tutto il mondo le redazioni di giornali faticano ad arginare le richieste di assunzioni da parte delle nuove leve di aspiranti giornalisti, persino le redazioni sulla carta stampata che ormai, nel settore dei media, vengono considerate alla stregua di dinosauri in via di estinzione. Nonostante questo lo “studio” di CareerCast.com è stato citato e il collegamento web (link) con il sito di CareerCast.com è stato inserito innumerevoli volte. Non un solo giornalista professionista sembra essersi posto la domanda, se, per ipotesi, gli inventori della suddetta classifica non abbiano messo il giornalismo di reportage in fondo alla lista espressamente di proposito, per il semplice motivo che costoro conoscono molto bene il settore e volevano sfruttare al meglio il riflesso pavloviano che avrebbero provocato tra i giornalisti.

Quello che spaventa è la dabbenaggine con la quale ogni volta gli stessi giornalisti si lasciano trascinare nei tranelli che gli esperti di PR costruiscono ad arte.  Senza rifletterci e in modo, a dire il vero, poco professionale si prodigano ad amplificare grossolane sciocchezze se solo si intravede all’orizzonte la possibilità di aumentare la tiratura o le quote del giornale. Eppure i giornalisti al giorno d’oggi sono molto meglio preparati e qualificati che in passato. Hanno tutti frequentato  corsi di pubblicistica nelle varie università o nelle scuole di giornalismo, dove le tattiche dei PR vengono persino studiate, cosa che tra l’altro l’autore auspica vivamente, affinché  la truppa dei giornalisti, che si riduce numericamente sempre più, riesca a non soccombere sotto strapotere degli esperti di PR. Costoro tra l’altro amano definirsi “manager della comunicazione”, al fine di distanziarsi, nobilitandosi, dai “vili lavoratori” di cui non vogliono più far parte. Per giunta si suggerisce in maniera ingannevole e senza tanti giri di parole che i veri padroni della comunicazione pubblica non sono più né i giornalisti, né i capi redattori né i media tradizionali. Si preferisce fare una lunga deviazione intorno al tema dell’informazione pubblica, oppure la si nutre con del materiale talmente sensazionale, che costringe i giornalisti a citare la notizia.

Il massimo della perfezione di questo principio l’ha raggiunta l’azienda Red Bull. Ci sono voluti anni durante i quali molti sportivi di sport estremi hanno perso la vita a scopi pubblicitari, prima che finalmente anche i media mainstream cominciassero ad occuparsi del cinismo della campagna di marketing portata avanti dalla Red Bull. Finora stranamente l’azienda se l’è cavata a buon mercato. Forse anche perché, qualche giornalista non completamente stupido, si è accorto che ogni qualvolta i giornalisti puntavano l’indice contro la Red Bull contemporaneamente puntavano due indici contro se stessi.

Traduzione dall’originale tedesco “Red Bull und der schrecklichste Job der Welt” a cura di Alessandra Filippi.

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