L’errore giornalistico del 2007 (e molti altri)

9 Gennaio 2008 • Etica e Qualità • by

Il Corriere del Ticino, 18.12.2007, p. 29

Anno nuovo, vecchie cattive abitudini. Anche nel 2007 i mezzi di informazione anglosassoni sono caduti nei soliti errori – poca accuratezza, plagio, divulgazione di vere bufale senza le dovute verifiche. Cambiano gli attori, variano le vittime, ma le modalità restano le stesse e con le medesime inesorabili conseguenze: la credibilità dei media viene messa a dura prova.

Per farsi un’idea basta visitare il sito www.regrettheerror.com che raccoglie sistematicamente gli errori giornalistici e le relative correzioni e leggere i sarcastici commenti di Craig Silverman, responsabile del sito e autore di un recente libro intitolato «Spiacente per l’errore: come gli sbagli dei media inquinano la stampa e mettono in pericolo la libertà di parola» (Regret the Error: How Media Mistakes Pollute the Press and Imperil Free Speech). Il bilancio di quest’anno dà persino un nome alla vittima prediletta degli errori giornalistici: Barack Obama, candidato democratico per le presidenziali USA del 2008. «Sembra essere una calamita per errori giornalistici», esordisce Craig Silverman: il suo nome ed il suo cognome sono stati costantemente storpiati dai media nei modi più diversi. L’errore più comune, commesso tra gli altri dalla CNN e dal New York Post, è stato chiamarlo Osama – generando una serie di doppi sensi, spesso involontari, utilizzati da altri politici per prendersi gioco del senatore. Quello che è stato eletto «errore giornalistico del 2007» – non grave dal punto di vista delle conseguenze, ma certamente plateale – ha fatto il giro del mondo: in agosto l’emittente russa RTR utilizzò in un suo servizio la suggestiva immagine di un sottomarino per accompagnare la notizia di una spedizione russa in Antartico. L’immagine venne ripresa dalla Reuters ed entrò così nel circuito internazionale delle notizie. Giorni dopo emerse che l’immagine in realtà era stata estrapolata niente meno che dal film «Titanic». Chi è stato a scoprire la bufala? Un altro mezzo di informazione? Un esperto di sottomarini? «Waltteri Seretin, un ragazzino finlandese di 13 anni» – risponde Silverman. Dall’episodio Silverman trae due conclusioni sul potere delle nuove tecnologie, una positiva ed una negativa. Se da un lato è proprio la velocità dell’informazione a causare la mancanza di un controllo sulle notizie, dall’altro è Internet ad offrire l’opportunità persino ad un ragazzino di correggerlo.
Internet, quindi, come acceleratore dei difetti del sistema informativo odierno, ma anche come potenziale cura. Gli errori elencati dal sito di Silverman sono la vetrina in chiave ironica di una consuetudine ormai attestata nei paesi anglosassoni, quella di correggere sistematicamente i propri errori, uno spazio regolare nel quale le redazioni possono rettificare quotidianamente gli sbagli commessi il giorno precedente. Una pratica che funziona? In generale i lettori dei quotidiani americani apprezzano le correzioni e le percepiscono come un mezzo per riguadagnare la credibilità giornalistica. Ma ci sono anche ricerche che dimostrano che non è tutto oro quello che luccica. Il ricercatore Scott R. Maier (University of Oregon) tramite uno studio presentato in agosto presso l’assemblea annuale della AEJMC a Washington ha voluto andare oltre e capire quanto il sistema delle correzioni fosse efficace. Ha quindi analizzato l’operato dei dieci maggiori quotidiani regionali degli Stati Uniti ripercorrendo le notizie fino a raggiungere la fonte menzionata nell’articolo. Maier ha così scoperto che il 98 percento degli errori commessi, in realtà, restano comunque senza alcuna correzione. Correzioni come specchietto per le allodole, quindi, che pur non essendo del tutto efficaci hanno un effetto positivo: fanno infatti passare il messaggio corretto, ossia che i giornalisti non sono infallibili. E proprio questa notizia può essere la base per ricostruire un rapporto più trasparente tra impresa mass-mediale e utenza.

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