Agli Open Data servono i giornalisti (e viceversa)

12 Dicembre 2013 • Etica e Qualità • by

Le politiche di trasparenza nel Regno Unito e negli Usa spesso falliscono nel fornire ai giornalisti le informazioni che potrebbero essere d’aiuto agli elettori per monitorare le attività della politica e per, come si dice in inglese, “to hold government accountable”. Le politiche di open data sono infatti più spesso focalizzate sul fornire informazioni che aiutino le aziende a svolgere i loro affari meglio o ad aiutare i consumatori a compiere scelte più oculate.

Il ruolo dei giornalisti nelle politiche di open data non viene discusso troppo spesso, ma due recenti eventi hanno portato questa questione al centro del dibattito. All’Open Government Partnership summit di Londra, lo scorso ottobre, Richard Sambrook dell’Università di Cardiff ha infatti moderato il panel “Government and the Media: Friends or Adversaries?” a cui hanno partecipato, tra gli altri, John Loyd (giornalista del Financial Times e docente presso il Reuters Institute di Oxford), Justin Arenstein (dell’African Media Initiative) e Yuli Ismartono (dell’indonesiano Tempo Magazine) ed io. Lo stesso giorno, il Reuters Institute for the Study of Journalism ha datto alle stampe (Ib Tauris) gli atti di una sua conferenza con il titolo “Transparency in Politics and the Media: Accountability and Open Government”. Sia il panel che il volume arrivano alle medesime conclusioni: le policy di trasparenza hanno spesso poco impatto sulla politica e il suo rapporto con i cittadini.

Ecco alcuni dei suggerimenti che emergono per rispondere a questa mancanza di accountability:

1) Sottolineare i modi in cui i governi dovrebbero rilasciare più dati ai giornalisti. Sarah Cohen (New York Times) e Jennifer LaFleur (ProPublica) spiegano con chiarezza, nel volume del Reuters Institute, che i dati dei governi dovrebbero essere pubblicati in formati standardizzati e leggibili dai computer. Allo stesso tempo, anche gli atti grezzi del governare, come calendari, contratti e registri dovrebbero essere resi disponibili e non solo le versioni riviste create appositamente per essere rese pubbliche.

2) Servono articoli che sottolineino i successi e i fallimenti delle leggi di open government. Negli Usa, bisognerebbe pubblicare, durante la Sunshine Week, storie rese possibili grazie a dati ottenuti con un Foia o articoli la cui realizzazione è stata ostacolata perché le autorità sono state poco propense a rendere disponibili le informazioni necessarie.

3) Bisogna sviluppare competenze in fatto di data journalism. Una volta che i dati sono pubblici, le testate hanno bisogno di più giornalisti che sappiano scovare le storie che si nascondono tra di loro. L’utilizzo di dati e algoritmi per trovare schemi ricorrenti nelle attività del governo è parte del campo, sempre più crescente, del computational journalism.

4) Essere trasparenti nel proprio lavoro. Se i giornalisti vogliono monitorare la politica ai sensi di una norma di trasparenza, sono proprio loro i primi a dover accettare i medesimi standard. Esistono diversi modi per farlo. Uno molto semplice consiste nell’includere, all’interno di un articolo, i documenti che ne sono stati la fonte, utilizzando magari uno strumento come DocumentCloud. I broadcaster possono invece rafforzare la loro credibilità offrendo più contenuti tratti dalle interviste che realizzano. Un buon esempio? Quanto fatto dalla Pbs con il progetto Frontline sulla crisi economica e la serie “Money, Power and Wall Strret”.

Photo credit: Doug88888 / Flickr Cc

Print Friendly, PDF & Email

Tags:, , , , , , , , , , ,