Gazzetta ProLitteris Nr. 2 / 2011
Cosa ci aspettiamo e cosa non ci aspettiamo dalla radio del servizio pubblico? Come potrebbe evolvere questo mezzo fino a superare se stesso? E perché ai tempi di Internet nasce un nuovo bisogno di legittimazione?
Anzitutto una «confessione»: non sono un radiodipendente. Contrariamente alla maggior parte della popolazione, spendo più tempo per la lettura di giornali, riviste, libri e offerte online che per la radio.
Anche nella mia attività di produttore sono pochi i contributi che io stesso ho realizzato per la radio: conosco il mezzo dalla prospettiva interna, ho collaborato per anni in quanto collaboratore libero, fornendo regolarmente contributi radiofonici su mandato. Tuttavia non sono un insider, non ho vera dimestichezza con la radio. Ma almeno l’ansia da microfono e la paura dell’atmosfera tipica e specifica degli studi radiofonici sono scomparse nel corso della mia vita – fintanto che non devo occuparmi io stesso della tecnica. In più ero molto scettico, quando, molti anni fa, una studentessa si presentò nel mio ufficio, annunciandomi la ferma intenzione di scrivere la sua tesi di laurea sull’audiolibro – molto prima, nota bene, che questo nuovo mezzo sfondasse e conoscesse il successo strepitoso che ha raccolto nel frattempo.
Anzitutto occorre costatare che in Svizzera la radio si avvicina molto all’ idea che abbiamo di emittente del servizio pubblico. Comunque, più di quanto fanno molti suoi colleghi dei paesi confinanti che vivono del canone. Esiste un’offerta ampia e seria di notiziari e trasmissioni di informazione, una numerosa varietà di programmi e opinioni. In tutte e quattro le regioni linguistiche si produce un’offerta radiofonica viva e, tutto sommato, di alto livello.
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