COVID-19 e giornalismo: Svizzera

17 Giugno 2020 • Brevi, Giornalismi • by

Il Coronavirus SARS-Cov-2 / Pixabay / public domain

Questo articolo è parte di una serie dell’EJO dedicata alla copertura giornalistica del Coronavirus COVID-19 nel mondo. La lista completa degli articoli è disponibile qui e in inglese.

Annunciata dall’improvviso aggravamento della situazione in Italia, la pandemia di COVID-19 inizia ufficialmente in Svizzera il 25 febbraio, quando viene identificato il primo caso positivo. Il primo decesso si registra invece il 5 marzo, mentre il picco è raggiunto un mese più tardi, con un tasso di 1300 nuovi casi al giorno.

Il 28 febbraio, il governo adotta le prime misure restrittive, amplificate il 16 marzo, quando viene annunciato il lockdown parziale. Chiudono la maggior parte dei negozi e dei servizi, la libertà di movimento viene limitata. Queste misure iniziano ad allentarsi il 27 aprile. Più di 30mila persone sono state finora cotagiate, mentre il numero delle vittime varia tra le 1600 e le 1900, a dipendenza delle stime.

“Effetto sorpresa”
La copertura mediatica della pandemia ha seguito diverse fasi ed è diventata progressivamente più intensa. “Tra dicembre e gennaio, il COVID-19 viene essenzialmente trattato in pagina estera, perché è ancora considerato come un’epidemia localizzata in Cina. Il pericolo non era percepito dalle nostre parti”, spiega Philippe Amez-Droz, Professore presso l’Università di Ginevra.

“La stampa era relativamente poco coinvolta dal tema”, conferma il direttore del Club suisse de la presse Pierre Ruetschi. Una situazione che cambia bruscamente dopo le prime misure adottate dal governo. Queste hanno provocato un “effetto sorpresa”, secondo Ruetschi: “si è capito che la situazione era seria, mentre tutti si credevano al riparo. Da questo momento, il Coronavirus diventa il tema numero uno nei media”.

La situazione s’intensifica ulteriormente dopo l’annuncio del lockdown parziale, il 16 marzo. Per Ruetschi, i due mesi seguenti corrispondono a una fase di lotta contro il virus: “durante questo periodo, l’obiettivo dei media è soprattutto quello di capire la malattia e di spiegare le misure, senza metterle davvero in dubbio. La stampa ha svolto un ruolo di servizio pubblico”.

Critiche e reazioni
Questo ruolo non è piaciuto a tutti. L’operato dei media ha infatti suscitato, specialmente nella Svizzera tedesca, diverse critiche. “Durante le prime tre o quattro settimane della crisi, i media hanno fatto i portavoce del governo, trasmettendo le sue istruzioni senza metterle in discussione. Non è questo il loro ruolo”, sostiene Artur Vogel, ex-caporedattore del quotidiano bernese Der Bund.

Philippe Amez-Droz riconosce che “lo spirito d’indipendenza è stato più forte alla fine della crisi”, pur nutrendo qualche riserva: “all’inizio, il sentimento dominante era la paura”. Dal canto suo, Pierre Ruetschi ritiene che “per criticare la politica del governo in quel momento, bisognava disporre di fonti molto solide. Considerando il contesto, non si poteva fare polemica alla leggera. Senza una base concreta e basata su fatti, la critica rischiava di tramutarsi in un dibattito di opinioni”.

Interrogato a questo proposito in un dibattito organizzato online, il caporedattore del quotidiano vodese 24 heures Claude Ansermoz ritiene che, “quando le cose non andavano, abbiamo saputo essere critici. D’altro canto, il nostro ruolo di servizio pubblico ci ha dato delle responsabilità nella gestione della crisi”. Il direttore editoriale di Heidi.news, Serge Michel, esprime un parere simile: “il nostro obiettivo non era quello di essere critici a ogni costo, bisognava anche trasmettere delle informazioni importanti”. Un contratto firmato tra la Radiotelevisione della Svizzera italiana (RSI) e il governo cantonale, inerente la messa a disposizione di giornalisti durante una situazione di crisi, ha catalizzato questo genere di critiche, ma è rimasto un caso isolato.

Percezione diversa
Fino ad allora relativamente omogenea, la copertura mediatica della crisi si diversifica a partire da metà maggio. “Quando le misure restrittive iniziano ad allentarsi, si è vista una separazione tra la posizione svizzero-tedesca e quella svizzero-francese”, spiega Pierre Ruetschi. Meno toccata dalla crisi, la Svizzera germanofona è anche “più vicina agli ambienti economici, impazienti di far ripartire l’economia. Questo si è tradotto nella volontà di un ritorno alla normalità più rapido, che si è chiaramente riflesso nei media”.

Novità, coesione, gratuità
Per quanto riguarda i contenuti, la pandemia è stata accompagnata dal lancio di nuove offerte editoriali. Le televisioni hanno per esempio soppresso alcuni programmi per crearne di nuovi, spesso ricorrendo a dei video filmati dal pubblico stesso. La maggior parte dei giornali online ha creato delle pagine speciali dedicate interamente alla crisi, così come dei live ticker, delle sezioni sui dati, degli articoli di fact-checking e dei podcast.

Al di-là di queste novità, “i media hanno cercato di creare un legame con le persone e sono stati piuttosto concreti. All’inizio, la gente aveva soprattutto bisogno d’informazione di base”, sostiene Pierre Ruetschi. Alcuni editori hanno anche deciso di rendere accessibili gratuitamente i loro contenuti sul coronavirus. Tra questi figurano il settimanale Die Wochenzeitung, i giornali regionali del gruppo svizzero-francese ESH Médias, e il quotidiano Le Temps. Altri giornali, come la Neue Zürcher Zeitung e il Tages-Anzeiger, non l’hanno fatto, considerando che la drastica riduzione degli utili pubblicitari stia mettendo a rischio la loro esistenza.

L’audience esplode, la pubblicità crolla
Il crollo delle entrate da pubblicità, che ha toccato il 95% in alcuni casi, è stata un’altra conseguenza della pandemia. Per il giornalista indipendente Gerhard Lob, “questa crisi non ha fatto che accentuare una difficoltà che esiste da anni”, e che ha provocato una riduzione del numero delle pagine dei giornali.

La conseguenza più radicale del crollo della pubblicità è però il ricorso al lavoro ridotto (una formula simile alla cassa integrazione italiana, ndr), che accomuna la maggior parte dei media nazionali. È il caso dei giornali dell’editore TX Group (Tages-Anzeiger, Der Bund, Basler Zeitung, 24 heures, Tribune de Genève tra gli altri), del gruppo CH Media (Aargauer Zeitung, Luzerner Zeitung, St. Galler Tagblatt tra gli altri), dei quotidiani regionali La Liberté, Le Nouvelliste, ArcInfo, La Regione, il Corriere del Ticino e molti altri.

“Si tratta di una situazione amara”, continua Lob “contrariamente al passato, il pubblico ha mostrato il bisogno e la voglia di informarsi. Eppure, ciò non corrisponde agli introiti”. Nelle prime fasi della pandemia, l’audience di tutti i media è esplosa. Il telegiornale della televisione di servizio pubblico svizzero-francese ha per esempio raggiunto, nel pieno della crisi, l’80% di quota di mercato. L’audience del sito internet di Le Temps è invece triplicata.

Per contenere la propagazione del virus, la maggior parte dei giornalisti ha dovuto inoltre lavorare a distanza. “Quasi tutti gli impiegati, all’eccezione del personale tecnico, hanno lasciato le redazioni”, spiega Gerhard Lob, “tutto è passato online, non senza complicazioni logistiche”. Una sfida vinta, secondo Pierre Ruetschi: “le redazioni si sono svuotate in due o tre giorni. La stampa ha reagito estremamente bene per proseguire il suo lavoro”.

Una versione più estesa di questo articolo è disponibile in francese

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