Silvio Berlusconi contro tutti

17 Novembre 2009 • Giornalismi • by

Problemi dell’Informazione, 3/2009

Il nostro è il paese del conflitto di interessi, della lottizzazione delle poltrone in RAI, della legge Mammì, delle leggi ad personam, delle veline che diventano ministre o europarlamentari, dell’editto bulgaro, di giornalisti e scrittori che vivono sotto scorta. Un paese che non vuole e non riesce a guardare avanti, a crescere, ad andare oltre il berlusconismo e a risolvere quei problemi che da tempo ne logorano le fondamenta istituzionali, politiche e sociali. E se democrazia e libertà di stampa non sono in pericolo, di certo però noi italiani, in particolare alcuni giornalisti ed editori, ne abbiamo dimenticato il significato e il valore, i diritti e i doveri che comportano.

Rassegna stampa europea di un’estate italiana

“Non si dovrebbe dare la pubblicità a quei giornali che spargono sfiducia”, ”annuncio ufficialmente che presenterò querela e farò un’azione civile per danni contro i due giornali (Repubblica e El Pais)”, “dal Tg 3 di giovedì quattro titoli contro il governo. Non possiamo più sopportarlo. Il mandato della tv pubblica non può essere quello di attaccare il governo coi soldi di tutti. É l’unico caso al mondo” , “la RAI fa giornalismo deviato” , e per finire “i giornalisti stranieri sono in collegamento diretto con i giornali della sinistra italiana, che fanno un’azione di spinta per ottenere attenzione alle nostre vicende viste dalla loro parte. Sono vicende ispirate, insufflate dai giornali della sinistra” . Parole pronunciate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, negli ultimi mesi, in Italia come all’estero, meglio conosciuto come “papi”, “sultano dell’harem”, “clown”, “utilizzatore finale”.

Che il nostro sistema mediatico, così come il modo di fare informazione, costituisse, rispetto agli altri paesi europei, un’anomalia tutta italiana per il suo malsano intreccio con la politica, certo lo sapevamo. In proposito, per Enaudi, Franco De Benedetti (senatore con il centrosinistra per tre legislature), ha recentemente prodotto un’interessante retrospettiva dal titolo “La Guerra dei trent’anni – Politica e televisione in Italia 1975-2008” nella quale spiega chiaramente come il conflitto di interessi sia un cancro di cui il sistema mediatico italiano, in particolare quello televisivo, ha sempre sofferto, prima ancora dell’entrata in campo di Berlusconi, ed è sempre stato un problema innanzitutto politico. Ma che anzichè migliorare, potesse addirittura peggiorare, minando libertà di informazione e di opinione nel nostro paese, questo non lo si sarebbe creduto possibile. E non è opinione della stampa di casa nostra o del Tg3. Almeno non solo. A sostenerlo sono piuttosto le maggiori testate europee e americane, le quali incredule si chiedono “se Berlusconi non stia esagerando anche per i tolleranti italiani e se la fine della sua carriera non ricordi sempre di più la decadenza dell’impero romano del Satyricon di Fellini”.

E se questo in generale è il clima all’estero, in casa nostra siamo alla guerra mediatica su più fronti. I quotidiani La Repubblica e Il Giornale, chi contro, chi a favore del premier – perchè in Italia ormai non si é più di destra o di sinistra ma con o contro Berlusconi – sono da mesi coinvolti in un botta e risposta quasi quotidiano. Il giornale di Ezio Mauro, con le famose “10 domande” rivolte al premier sul caso Noemi, sembra essersi fatto portavoce di tutti gli anti berlusconiani stanchi del berlusconismo e dei suoi eccessi. E tale è stato il peso dei suoi attacchi e delle sue critiche da tirarsi addosso le ire del premier che ha definito quello di Repubblica un “giornalismo deviato” e i suoi giornalisti dei “delinquenti”. Tanto da querarlo. Prima per la pubblicazione delle foto private di Villa Certosa, poi per le registrazioni delle conversazioni telefoniche intercorse tra lui e la escort Patrizia D’Addario, messe in rete sul sito dell’Espresso e riprese dalle testate di tutta Europa e, infine, per le fatidiche 10 domande – alle quali non ha mai risposto – accusando il quotidiano di diffamazione e chiedendo un risarcimento danni per un milione di euro. Una guerra, dunque, senza esclusione di colpi, nata con lo scandalo di Noemi ma inaspritasi particolarmente da quando il premier qualche mese fa ha pubblicamente invitato gli imprenditori di Confindustria a “non dare pubblicità ai giornali disfattisti” e ha proposto la legge sulle intercettazioni telefoniche, per ora bloccata grazie all’intervento di Giorgio Napolitano. In questa atmosfera rovente, chi ha mantenuto calma e sangue freddo é stato Il Corriere della Sera – da poco tornato sotto la direzione di Ferruccio de Bortoli – che con puntuali editoriali – ad esempio quelli del giornalista Massimo Franco – ha sempre fornito un’attenta lettura politica delle vicende evitando di cadere nel personale e nello scandalistico ma, allo stesso tempo, è anche intervenuto con decisione sulle questioni della stampa estera e della libertà di informazione. Ne dà prova l’editoriale di Pierluigi Battista del 28 maggio: “é chiaro anche che lo schieramento politico di cui Berlusconi è leader non può pensare a un complotto se la stampa internazionale guarda sbigottita alla fosca commedia italiana di questi giorni […] telenovela che è diventata argomento di maliziosa conversazione nelle cancellerie di tutto il mondo e nelle redazioni dei giornali internazionali che interrogano con insaziabile curiosità i loro corrispondenti a Roma”.

Ma se giornali come Repubblica e Corriere non sono riuscite a smuovere nè il premier nè tanto meno l’opinione pubblica, la quale, comunque, continua in larga parte a sostenerlo, non é riuscito a fare di meglio neanche il quotidiano cattolico Avvenire. Anzi, tutto ciò che sono riusciti ad ottenere è una delle solite battute del premier: “neanche io sono uno santo, agli italiani piaccio così, chissà se anche i giornalisti di Repubblica lo capiranno”? Quelli di RAI (in particolare da quando è in carica il nuovo direttore del TG1 Augusto Minzolini) e Mediaset lo hanno capito molto bene, tanto, che di Berlusconi e le sue vicende in tv se ne parla poco o affatto e, se se ne parla, allora bene. Con il risultato che gli italiani, notoriamente un pubblico di telespettatori e più raremente di lettori (il 65% forma le sue idée guardando la televisione e solo 5 milioni comprano ogni giorno il quotidiano), di quello che è successo negli ultimi mesi sanno molto poco. E se anche sapessero, probabilmente non si scandalizzerebbero più di quel tanto, visto che sono ormai assuefatti dal berlusconismo televisivo e da tempo vaccinati alle boutade del premier.

E all’estero?

E davvero, come scrivono oltre confine, libertà di informazione e democrazia nel nostro paese sono in serio pericolo, o sono tutte «panzane» – come sostiene in una lettera inviata all’Independent l’autorevole giornalista e editorialista de Il Giornale Mario Cervi – a cui credono solo i giornalisti inglesi e quelli politicamente schierati a sinistra, perchè non conoscono o piuttosto non capiscono la realtà di casa nostra?

Qualcuno, come l’autorevole New York Times ci ha provato, dicendo ai suoi lettori: “immaginate un mondo nel quale Donald Trump possiede la NBC e vive alla Casa Bianca, mentre prepara a Miss California un seggio al Congresso, e sarete solo a metà strada per capire quello che avviene in Italia.” Bastano poche righe in fondo per arrivare al nocciolo della questione e capire che cosa delle nostre vicende desta tanta attenzione: il conflitto di interessi del premier; il sospetto che possa avere avuto rapporti di natura sessuale con una minorenne; la certezza – secondo i nastri della escort Patrizia D’Addario, le confessioni di altre ragazze che hanno partecipato ai parti di Palazzo Grazioli, le informazioni emerse dalle telefonate intercettate tra l’ex direttore di RAI fiction Agostino Saccà e il premier – che nel mondo politico e televisivo del premier aleggi un certo mal costume, figlio di un clientelismo tutto italiano, per cui i rapporti professionali si fondano sullo scambio di favori e di prestazioni, anche di natura sessuale, che permettono di ottenere una candidatura all’Europarlamento, una poltrona da ministro oppure una parte in una fiction televisiva o in un reality.

É evidente, però, che certi costumi non sono solo italiani, di scandali politici di questo tipo la storia ne ha da raccontare. Lo sa anche il premier, il quale però ribadisce che nel suo caso è tutta un’altra storia: ”la stampa USA ha fatto bene a fare una campagna contro Bill Clinton perchè lui sì, aveva mentito. Io no.”

Alexander Stille, noto giornalista e scrittore statunitense, profondo conoscitore dell’Italia e dei suoi sistemi, in un’intervista su Repubblica entra così sulla questione: “la differenza tra la stampa italiana e quella americana nello scandalo Clinton é come la differenza che c’è tra il giorno e la notte […] A mio avviso il caso Clinton non è stato un momento di gloria per la stampa americana. Ma dietro c’era un principio molto chiaro e molto sano: che il potere deve essere trasparente, deve rendere conto di se stesso davanti al pubblico, deve rispettare le istituzioni di controllo come il Congresso e la magistratura. Per di più c’era il principio fondamentale secondo cui il comportamento di un capo di Stato non è puramente personale: se ha rapporti sentimentali con persone che lavorano dentro il governo o che aspirano a farlo, diventa un caso squisitamente politico.” Rispetto poi all’attacco del premier ai giornali e alla convinzione che i media non debbano interessarsi a fatti personali della sua vita, il giornalista incalza: “uno dei ruoli principali della stampa è la funzione di controllo del potere politico. Thomas Jefferson, il terzo presidente degli USA, pur essendo stato attaccato duramente dai giornali per fatti pesonali, ha scritto:” se dovessi scegliere tra un governo senza giornali o giornali senza un governo, non esiterei un attimo a fare la seconda scelta””.
Dice la sua anche sull’idea del complotto da parte della stampa anglosassone: “Il Financial Times di Londra certamente, non un giornale di sinistra, scrive che “il pericolo di Berlusconi è una spietata demonizzazione dei nemici e un rifiuto di lasciare uno spazio ai poteri forti. In Italia si è dimenticato che all’estero lo strapotere di Berlusconi è letteralmente inconcepibile: che l’uomo più ricco del Paese, proprietario di tre reti televisive nazionali e imputato in vari processi gravi, possa guidare insieme il governo e il sistema mediatico pubblico, è qualcosa che stupisce anche l’americano più conservatore. Perchè non è una questione di destra o di sinistra ma di potere incontrastato. Questo è il punto. E la stampa internazionale, quando la moglie del premier parla di un uomo di 72 anni che frequenta minorenni, sente e capisce che si tratta di una sorta di potere e delirio assoluto […] L’idea che posti nel parlamento e nel governo possano essere assegnati a donne che forse hanno avuto un rapporto personale con il Presidente del consiglio avrebbe scatenato negli Stati Uniti una campagna di stampa che non si sarebbe fermata finchè non fossero giunte risposte convincenti. Non per curiosità morbosa ma per un evidente uso personale del potere politico […]””. Infine conclude: “Un uomo politico Americano che avesse fatto altrettanto sarebbe finito.”

Tra gli altri in America si è espresso anche il settimanale Newsweek definendo un caso politico gli scandali sessuali del premier ”In Europa, la vita sessuale dei politici raramente crea scandali come invece siamo abituati ngli Stati Uniti. E questa volta la tradizionale indulgenza dell’Europa verso scandali di questo genere potrebbe aver raggiunto il limite con le ultime pagliacciate di Berlusconi.”

In Europa

La musica non cambia oltre oceano. La stampa inglese, dal Financial Times, al Guardian, all’Independent, al Times, al Daily Telgraph, incalzata dagli attacchi del premier, continua a scriverne, rispondendo a tono: “noi influenzati dalla sinistra italiana? Un’accusa semplicemente ridicola. Quando vediamo una notizia, noi del Times la riportiamo, tutto qui. E il primo ministro di uno dei maggiori paesi d’Europa che si mette nei guai con le donne, é una notizia […] Se il nostro premier fornisse tante versioni contraddittorie avrebbe tutta la stampa addosso 24 ore su 24. E alla fine dovrebbe dimettersi”. Duri i commenti anche sui media italiani “é piuttosto sorprendente, per un osservatore straniero, che vi siano così scarse critiche a Berlusconi sugli altri media italiani. Naturalmente la ragione è nota: Berlusconi controlla o almeno influenza, direttamente o indirettamente, gran parte dei media italiani a cominciare dalla tv. Ma è un triste spettacolo, per un giornalista libero, assistere a un tale servilismo verso il potere da parte di altri giornalisti.”

Sulla stessa riga, l’Indipendent il 27 maggio scrive che “se il primo ministro può farla franca portando avanti una storia d’amore adulterina e semipubblica con una adolescente e non venirne chiamato a rispondere, allora la nazione è in pericolo.”

Non ha peli sulla lingua nemmeno il Financial Times che definisce il premier e le sue vicende “un pericolo per l’Italia e un cattivo esempio per tutti” guadagnandosi la replica del ministro degli esteri italiano Franco Frattini e l’etichetta di “cattiva stampa e disonesta” . Ma il quotidiano economico si spinge ben oltre evidenziando come a suo parere il pericolo dell’informazione in Italia é anche quello “dei media che rendono meno seri i contenuti della politica, sostituendoli con l’intrattenimento”. Accusa il giornalismo italiano di avere accettato “un ruolo troppo spesso subalterno.”.

Il Time definisce l’Italia “Berlusconistan” mentre il Times titola “cade la maschera del clown” , ironizza “dovremmo temere una versione Britannica di Berlusconi” e accusa le tv italiane di non dare le informazioni “se si dimettesse domani, gli italiani che ricevono informazioni dalla tv saprebbero poco o nulla” senza contare le innumerevoli vignette satiriche sul premier.”

Non fa eccezione il giornalista John Hooper con una articolo pubblicato sull’Observer e sul Guardian che, in linea con quanto citato del New York Times qualche riga prima, si domanda: “se un uomo di 72 anni, sposato, nonno, può rifiutarsi di chiarire una sua relazione con una ragazza di 18 anni e riesce a sopravvivere alla disseminazione di registrazioni in cui discute di orgasmi e masturbazioni nel letto con una prostituta, allora bisogna chiedersi cosa potrebbe metterlo al tappeto” – e aggiunge – “la stampa di mezzo mondo ha raccontato gli scandali che avrebbero atterrato qualsiasi altro uomo di stato in qualsiasi altro posto del mondo. Ma Berlusconi sembra blindato”.

E scorrendo la rassegna stampa di Spagna, Germania e Svizzera, i maggiori quotidiani si trovano d’accordo.

El Pais, noto ormai a tutti per essere stato il primo a pubblicare le foto proibite di Villa Certosa, è stato accusato dal premier italiano di essere in linea con certa stampa di sinistra e querelato per violazione della privacy. Il suo direttore, Javier Moreno, in un’intervsita su Repubblica ha replicato: “siamo riusciti ad avere le foto, non potevamo far altro che pubblicarle, anche perchè il diritto di vederle era stato negato ai lettori italiani […] Ogni informazione che riteniamo utile e rilevante per il dibattito politico, in Spagna o nel resto del mondo, abbiamo l’obbligo di diffonderla […]La stampa internazionale, di destra o di sinistra, critica Berlusconi perchè ha elementi per farlo. Pubblichiamo informazioni che riteniamo importanti. É il nostro dovere, tutto qui. Nessun complotto.”

In Germania il giornale scandalistico Bild Zeitung non poteva che andare a nozze con gli scandali e I sex gate del nostro politico. Anche la stampa di qualità però, non ha rinunciato allo scoop. Die Welt: “La crisi in casa del premier è oramai un affare di stato”, la Tageszeitung, più severa “lo scandalo Noemi avrebbe provocato le dimissioni del premier in qualsiasi paese”, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, con toni piuttosto canzonatori, ha raccontato ai suoi lettori della canzoncina “Silvio forever” che le adepte del premier canterebbero in suo onore alle riunioni di partito e della farfalla tatuata sulla gamba di una attrice di fiction della RAI con la dedica “l’uomo che mi ha cambiato la vita” e le iniziali S.B. Per non parlare poi del settimanale di politica e cultura Die Zeit che ha pubblicato una lunga intervista a Ezio Mauro, direttore di Repubblica , e della Süddeutsche Zeitung che titola “La vostra è tutta invidia” e prosegue “sesso, bugie, registrazioni audio eppure gli italiani sono orgogliosi del playboy che siede in Consiglio: come i bizzarri costumi del premier fanno ormai parte del patrimonio culturale italiano.”

Persino la grigia signora elvetica, la Neue Zürcher Zeitung si è occupata delle vicende del Presidente: “Cinque reti per Berlusconi non sono abbastanza” titolava l’articolo contro le accuse del premier al Tg3: “Il presidente del Consiglio italiano riesce a lamentarsi dell’unica rete a diffusione nazionale che diffonde idée divergenti dalle sue e critica la sua politica. Questo attacco testimonia la strana concezione che il premier ha della libertà di informazione e della democrazia.”

Dove la stampa estera ha visto giusto e dove ha mancato

Partiamo dal presupposto che lavare i panni sporchi degli altri in casa propria, può essere molto più divertente del lavare i propri e che di un paese, all’estero, spesso passano solo certi clichés e stereotipi. Ma teniamo anche conto del fatto che dal di fuori si dispone di maggiore distacco e obiettività e che, rispetto all’Italia, per tradizione, stampa e tv nelle altre democrazie occidentali sono molto meno politicizzate. E facciamo a questo punto due considerazioni.

La prima: non si può far finta di non vedere le enormi proporzioni mediatiche che le vicende del nostro presidente del Consiglio hanno assunto oltre confine e soprattutto credere che sia tutta e solo colpa dei media. Perchè le notizie ci sono state eccome, simili a una matrioska russa, scoperta una, sotto l’altra. E, se inizialmente, le ilazioni di un complotto della stampa di sinistra e dei giornali di Murdoch a sue spese, potevano trovare qualche riscontro, in un secondo momento non è più stato così. La stampa intera, di sinistra o di destra, conservatrice o liberale, si è interessata al caso, con un impeto, una frequenza e toni tali da spiazzare lo stesso premier. I suoi tentativi di difesa, dagli attacchi alla tv pubblica, alla stampa estera, fino alle sue interviste su Chi, non sono riusciti a smorzare gli effetti della spirale mediatica o ad ottenere un’inversione di tendenza. E per un premier abituato ai riflettori e profondo conoscitore e utilizzatore dei meccanismi della comunicazione, non deve essere una piacevole sensazione. Segno che le regole del gioco, quando si tratta dei mezzi di informazione delle altre democrazie occidentali, non sono le stesse. Segno, che la tradizione del nostro paese di legare a doppio filo i mezzi di informazione ai poteri forti, nel resto dei paesi occidentali non è concepile. Segno anche che il berlusconismo, con la sua cultura e le sue regole, non è un modello esportabile all’estero, dove anzichè riscuotere consenso e simpatia, suscita piuttosto clamore e incomprensione, in qualche caso addirittura delle grasse risate (basta vedere le vignette satiriche sul premier apparse sul Times).

Insomma, persino la figlia Barbara, riferendosi al padre, è arrivata a dire “non credo che un uomo politico possa permettersi la distinzione tra vita pubblica e privata”, per non parlare della Chiesa che dalle pagine di Avvenire ha lanciato più volte dei forti messaggi chiedendo al premier di chiarire pubblicamente la situazione.

La seconda: guardando al nostro Paese con occhio politico e sociale, non possiamo prescindere da alcuni fattori fondamentali: il nostro presidente del Consiglio è stato eletto democraticamente e con una larga maggioranza di voti; i suoi scandali sessuali e politici interessano all’estero ma non alla maggior parte degli italiani, stando ai sondaggi. Il mondo s’indigna, l’Italia, a quanto pare no; e certo non chi lo ha votato che, non solo ne condivide le idée politiche ma spesso anche stile di vita e atteggiamenti. Gli italiani sono abituati alla mentalità cortigiana e clientelare che vige negli ambienti istituzionali e governativi, prerogativa di tutti i partiti, di destra come di sinistra; ci sono problemi nazionali, aggravati dalla recente crisi economica, di portata tale, che una larga maggioranza di italiani non ha nemmeno il tempo di occuparsi e preoccuparsi dei “giochi e dei divertimenti dell’imperatore”, piuttosto crede in lui per risolverli; infine, ma non meno importante, come scriveva qualche anno fa Aldo Grasso, “l’Italia è il paese della tele-visione. Un paese dove la tv è tutto: realtà quotidiana, ma anche forma del pensiero.” E in Italia la televisione è Berlusconi, fatta a sua immagine e somiglianza. Per una maggiore chiarezza ecco il recente commento di Domenico Mogavero, numero tre della Cei, il quale è convinto che in Italia ”il problema è il modello di vita che Berlusconi diffonde, soprattutto tra i giovani, cioé: contano solo il successo e la possibilità di far tutto perchè il potente di turno non ha leggi che lo tengono. Un’immunità morale perchè è premier e non deve rendere conto a nessuno.”

La stampa estera continua a non capire come Berlusconi possa restare al potere, ma nel raccontare questa crisi raramente ha cercato di spiegare come gli italiani l’abbiano interpretata e perché non si scandalizzino, fatta eccezione degli elettori di sinistra e di una parte dell’opinione pubblica cattolica.

Fatte poche eccezioni, come quelle di New York Times e Guardian, la tendenza delle altri grandi testate dunque è stata quella di seguire il flusso, con qualche sbandata. Ne è un esempio la bufala del Times che riportava un’intervista esclusiva fatta alla mamma di Noemi Letizia. Per degli errori che vi erano contenuti si è poi scoperto che l’intervista non era mai stata fatta, semplicemente era stata ripresa da un altro giornale.

L’ editorialista de Il Giornale, Giordano Bruno Guerri – che in una lettera all’Herald Tribune, intenzionata a spiegare l’Italia agli inglesi – scrive “ebbene, non ho problemi a dichiarare che le (lecitissime) attività sessuali di Silvio Berlusconi possono diventare un problema quando il protagonista è anche capo del Governo. E che Mister Berlusconi, oltre ad ammettere di non essere un santo, dovrebbe vigilare su se stesso affinché le sue attività più intime non diventino, comè accaduto, un problema nazionale e internazionale. Democrazia e moralità non centrano, centra il doveroso rispetto del ruolo istituzionale che il personaggio ricopre […]”.
Poi, in merito al largo consenso politico di cui il presidente del Consiglio continua a godere in Italia, nonostante tutto, spiega come “viene da fatti concreti: la reazione efficace alla crisi economica mondiale, l’avvio di riforme finalmente moderne e liberali, le opere pubbliche, la rapida soluzione dell’assurdo problema dei rifiuti in Campania, la gestione del post-terremoto in Abruzzo e il trionfo internazionale del G8. Naturalmente, però, è degli scandali che, soprattutto all’estero, si vuol sentir parlare.”

Per finire, Giordano parla di cultura: “piuttosto è vero, verissimo, che la destra deve ancora lavorare molto per migliorare la propria produzione culturale, e non solo quella televisiva.”

Come andrà a finire?

Ascoltate più campane, cercando di restituire un quadro generale della situazione e, dove possibile, di dare qualche spunto di riflessione in più rispetto alle informazioni a senso unico diffuse in questi mesi dalla stampa mainstream, l’intento in origine era quello di concludere dicendo che se politicamente in Italia le cose difficilmente sarebbero cambiate, visto il largo consenso che il premier continua ad avere, sul fronte mediatico e della libertà di informazione – non solo per le pressioni della stampa estera ma anche in visione del passaggio dall’analogico al digitale che nel lungo termine romperebbe il duopolio RAI-Mediaset – qualche speranza in tempi migliori si sarebbe potuta nutrire.

Ma le notizie di questi giorni dicono il contrario. Dopo una meditazione estiva il presidente del Consiglio sembra aver deciso: la migliore difesa è l’attacco e chi non condivide le sue idee va fatto fuori.

In questa prospettiva non è casuale il ritorno di Vittorio Feltri (ex direttore di Libero) al vertice del giornale di famiglia che subito ha fatto scoppiare la prima bomba: Il Giornale ha attaccato Dino Boffo, direttore del quotidiano cattolico Avvenire, pubblicando una informativa giudiziaria che proverebbe presunte molestie sessuali da parte del direttore. L’articolo esce nel giorno della festa della Perdonanza a l’Aquila e salta la cena fissata tra Berlusconi e il Cardinal Bertone, organizzata proprio per ricucire i rapporti tra il premier e i suoi sostenitori cattolici. Berlusconi si dissocia dall’azione di Feltri e dice di non esserne stato al corrente.

Come casuali non sono le querele del presidente del Consiglio a Repubblica, al quotidiano spagnolo El Pais e al settimanale francese Novel Observateur.

Per non parlare delle nomine ai vertici della RAI decise in questi ultimi mesi e il ritiro dei canali della tv di Stato dalla televisione di Murdoch, competitor d’eccellenza di Mediaset Premium sul digitale.

Il dado è tratto e lo scenario che va profilandosi non sembra lasciare dubbi: il presidente del Consiglio non tornerà sui suoi passi, anzi. Come ha rivelato il suo amico Fedele Confalonieri, nonché presidente di Mediaset e Consigliere di Amministrazione della Arnoldo Mondadori, in un’intervista al Corriere della Sera “c’è chi ha voluto accendere il fuoco. E ora ci si lamenta se qualcun altro fa il suo mestiere di giornalista e pubblica notizie.” E ammette “è un momento di imbarbarimento” per il nostro paese.

Inutile dire che in questo contesto anche media esteri sono tornati alla ribalta. L’inglese Sunday Telegraph del 30 agosto ha titolato “L’Italia è indignata, avrà ripercussioni” ; Laurent Joffrin direttore di Libèration in un’intervista a Repubblica ha commentato “in Francia, non sarebbe pensabile una denuncia come quella che ha fatto Berlusconi a Repubblica. Sarebbe uno scandalo. Esiste una tacita regola che impedisce al presidente del Consiglio di portare in giudizio giornalisti e oppositori”; Peter Scheer, una delle maggori autorità statunitensi in materia di diffamazione a mezzo stampa e libertà di parola, sempre su Repubblica ha detto“…Altro che allusioni alle loro scappatelle extra maritali, qui in America i politici vengono rivoltati come se fossero dei calzini dai mass media. Dall’uso di medicinali al loro profilo psichiatrico tutto viene passato al setaccio. Fa parte del processo democratico…”

Ma questa è l’Italia e qui è tutta un’altra storia. Il nostro è il paese del conflitto di interessi, della lottizzazione delle poltrone in RAI, della legge Mammì, delle leggi ad personam, delle veline che diventano ministre o europarlamentari, dell’editto bulgaro, di giornalisti e scrittori che vivono sotto scorta. Un paese che non vuole e non riesce a guardare avanti, a crescere, ad andare oltre il berlusconismo e a risolvere quei problemi che da tempo ne logorano le fondamenta istituzionali, politiche e sociali. E se democrazia e libertà di stampa non sono in pericolo, di certo però noi italiani, in particolare alcuni giornalisti ed editori, ne abbiamo dimenticato il significato e il valore, i diritti e i doveri che comportano. Altrimenti, come ha scritto il Sunday Telegraph, ci saremmo già indignati da un pezzo e non solo per la vita sessuale e il mal costume del presidente del Consiglio.

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