La rivoluzione maghrebina e la superficialità della stampa

22 Febbraio 2011 • Giornalismo sui Media • by

Corriere del Ticino, 22.02.2011

Ci siamo emozionati tutti vedendo le immagini del Cairo e di Tunisi. E l’opinione pubblica mondiale, ascoltando le testimonianze degli inviati in Egitto e in Tunisia, si è convinta che le rivoluzioni fossero irrefrenabili e, soprattutto, spontanee. Si è stabilito un “frame” ovvero una verità che tutti hanno adottato, senza nemmeno chiedersi se fosse attendibile. Ma se si analizza la situazione da una prospettiva diversa, considerando sia le tecniche di comunicazione più sofisticate che il contesto politico internazionale, emerge un’altra verità, più credibile.

Premessa: alla fine degli anni Novanta il governo americano ha deciso di far proprie e, soprattutto, di applicare le teorie di Gene Sharp, un docente di Harvard, che per anni ha teorizzato, inascoltato, la lotta non violenta quale strumento per rovesciare le dittature. Poi, alla fine degli anni Novanta, il governo americano decise di provare l’efficacia delle sue teorie. Aggiungendo un elemento che lo stesso Sharp non aveva contemplato: l’organizzazione e il supporto esterno della lotta non violenta. Nacque così una nuova strategia – non convenzionale – da usare nello scacchiere internazionale.

Il primo test fu condotto a Belgrado, nell’ottobre del 2000, quando la coraggiosa protesta degli studenti serbi costrinse Milosevic alle dimissioni. Quel movimento fu ispirato dallo stesso Sharp, ma organizzato e finanziato da organizzazioni non governative, enti privati e filantropici, che pur essendo indipendenti agivano d’intesa con Washington. Fu un successo, a cui seguì la rivoluzione rosa di Tbilisi e, soprattutto, quella arancione di Kiev. In tutte e tre le occasioni i media descrissero straordinarie rivoluzioni spontanee. Nessuno si accorse di un retroscena cruciale, oggi noto agli esperti di comunicazione, ovvero che furono incoraggiate e instradate da fuori. Dunque spontanee non erano.

Dopo il 2005 la formula “Sharp” fu accantonata ed è resuscitata solo in questo impetuoso 2011, come risulta da molti indizi concordanti. Il Daily Telegraph, ad esempio, ha scoperto – è non è stato smentito – che gli oppositori egiziani del movimento 6 aprile oggi esaltati come i coraggiosi condottieri anti-Mubarak usciti dai blog, dai social network , nell’autunno del 2008 parteciparono a un incontro a Washington al Dipartimento di Stato, durante il quale discussero di una rivoluzione democratica da far esplodere proprio nel 2011. Il New York Times ha pubblicato un documento che dimostra come lo stesso Obama, oltre 6 mesi fa, incaricò i suoi esperti di formulare proposte per indurre al cambiamento politici regimi autoritari nel mondo islamico, sfruttando il malcontento delle folle. Lo stesso Sharp ha ammesso, in un’intervista, di essere l’ispiratore di quanto accaduto in Egitto e in Tunisia. Aggiungete il ruolo di Ong americane in Tunisia e in Egitto, il sostegno decisivo degli eserciti di questi due Paesi, lo stanziamento della Clinton di nuovi ingenti finanziamenti per diffondere via internet la democrazia nei Paesi autoritari e il quadro è completo.

Washington, per ovvi motivi di opportunità, non può ammettere più di quanto abbia detto finora. Spetterebbe alla grande stampa spiegare cos’è successo davvero a Tunisi al Cairo, amalgamando notizie e dichiarazioni frammentarie e apparentemente scollegate. Ma ancora una volta si dimostra troppo dipendente dalle fonti ufficiali, troppo superficiale per capire le sottigliezze dello spin, troppo frenetica nella caccia all’ultima notizia. Cattura qualche dettaglio, mai il quadro d’insieme. Non riflette e non approfondisce. E così fallisce.

Per saperne di più sull’argomento leggi questo articolo “Ora tocca alla Libia, ecco perchè e a chi conviene”

Fonte immagine: Gregory Asmolov’s photostream

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