Nel 2013 agli sgoccioli, ci sono carte che scottano, sui tavoli della politica nazionale e non solo. Ma pochissimi cittadini sono al corrente dell’importanza di quei dossier nell’articolazione dei rapporti tra comunicazione e potere. L’”affaire copyright”, sul quale gli attivisti di tutto il mondo più volte si sono mobilitati per riportare la regolamentazione nel campo del pubblico dominio, è diventato a tutti gli effetti un tema che riguarda i diritti umani. La visita in Italia di Frank La Rue, il relatore speciale delle Nazioni Unite per la libertà di espressione e di opinione, come vedremo, lo testimonia. Il mese di dicembre sarà determinante negli sviluppi della partita. A livello internazionale, con Obama che preme perché venga siglato entro il 2013 un nuovo accordo portato alla luce da WikiLeaks. Sul versante nazionale, con la bozza dell’Agcom che potrebbe esser licenziata entro dicembre. Ma c’è una particolarità tutta nostrana: nel quadro globale l’Italia rappresenta un’eccezione scivolosa. E quindi, secondo voci autorevoli, un possibile precedente nei rapporti tra i cittadini, il potere e la rete. Vediamo perché.
Copyright, l’Italia fa eccezione:
Cosa spinge Frank La Rue a dichiarare, il 18 novembre a Roma, che “tutte le norme che disciplinano i diritti costituzionali, in particolare se riguardano la libertà di espressione, dovrebbero essere approvate dal Parlamento” e perciò a esprimere motivi di preoccupazione proprio per “il ruolo dell’Agcom nella predisposizione di sanzioni in materia di proprietà intellettuale”? E come mai la stessa preoccupazione verrà espressa pochi giorni prima dal Presidente della Camera Laura Boldrini, che ammetterà: “è in gioco un diritto fondamentale dei cittadini, il diritto a conoscere e a partecipare consapevolmente alla vita pubblica”? La presenza di La Rue in Italia contribuisce a portare alla luce due aspetti controversi. Il primo riguarda la distribuzione di competenze tra Parlamento, Agcom e governo nel regolare il diritto d’autore ai tempi del web, posto che la questione del copyright ha risvolti e implicazioni molto più ampi. Il secondo sta nel merito: la bozza di regolamento prodotta dall’Agcom prevede che sia la stessa Authority a poter disporre la rimozione di contenuti dal web.
Perciò, e non a caso, l’arrivo di La Rue risolleva l’attenzione della politica sulla questione. Alla Boldrini sul fronte parlamentare, si aggiunge anche, sul versante governativo, la voce del ministro Emma Bonino, che chiede pubblicamente che tutte le norme che disciplinano diritti costituzionali e che riguardano la libertà di espressione siano approvate dal Parlamento. E che la rimozione di contenuti dal web non possa prescindere dall’intervento della magistratura. Per quello che riguarda il primo punto – la distribuzione di competenze – sull’Agcom ricade già da tempo l’attenzione critica dell’Ue, come abbiamo visto su Ejo. Occupandosi inevitabilmente di concentrazioni proprietarie, l’Authority però sin dal 2004, l’anno della legge Gasparri, prende in considerazione il “paniere della comunicazione” che include settori molto ampi. Al punto che le sue competenze sono così vaste da non trovare paragoni nel continente (se non, in parte, con Finlandia e Svizzera). Inoltre l’Unione europea tiene sotto la lente d’ingrandimento Agcom perché le sue aree di competenza sono tutt’altro che ben delimitate. In alcuni casi è stato il Parlamento a entrare nella sfera di Agcom (si veda il caso unbundling, che ha attirato le preoccupazioni della Kroes). Oppure è avvenuto il contrario, come stiamo vedendo appunto sul fronte del copyright. A fronte dei timori per la scarsa trasparenza e indipendenza dalla politica dell’Authority, e considerata anche la storica debolezza delle sue capacità sanzionatorie, colpisce ancora di più che nel caso del diritto d’autore l’Agcom intenda promuovere azioni dirette in quanto organo amministrativo, scavalcando l’intervento della magistratura.
Arriva Tpp, il gemello di Acta:
Riguardo alla bozza di regolamento Agcom, qualcosa si è mosso: basti pensare al disegno di legge presentato al Senato da Felice Casson, che tocca a suo stesso dire tre punti cardini, “la depenalizzazione delle fattispecie non lucrative, il diritto dei consumatori e la chiara attribuzione delle competenze sanzionatorie alla magistratura”. L’intervento del relatore delle Nazioni Unite ha poi contribuito a riportare l’attenzione pubblica sul problema. Così la pensa Fulvio Sarzana, uno dei massimi esperti in materia, che a Ejo spiega: “Ora quanto mai, appare chiaro che il blocco compiuto attraverso i provider, e l’inibizione ai cittadini dell’accesso al Web, è un tema che sconfina nel campo della libertà di accesso all’informazione e dei diritti umani. Diversi disegni di legge pendono in Parlamento, ma c’è una cosa che li accomuna: tutti ribadiscono che l’eventuale azione repressiva deve passare dalla magistratura, non può essere intrapresa autonomamente da un organo amministrativo nel giro di 72 ore”. Insomma l’Authority all’italiana rischia di rappresentare un’eccezione in tutta Europa? “In qualsiasi esperienza giuridica, la questione è affrontata dal Parlamento o dalla magistratura. Non a caso negli Usa, dove il traffico internet è ai massimi livelli, non si adotta la strada che vorrebbe intraprendere l’Agcom: violerebbe il primo emendamento”. Insomma, secondo Sarzana, se in Italia il Parlamento prima, e la magistratura poi, venissero estromessi, si costituirebbe un precedente pericoloso, che le lobby economiche interessate potrebbero far valere per estendere lo stesso metodo nel resto d’Europa. Qui sta uno dei nodi dell’affaire Agcom: come si intreccia con le battaglie intraprese sul fronte internazionale contro Sopa, Pipa, e infine contro Acta? Chi mastica per mestiere e per passione questi settori, come lo stesso Sarzana, non esita a riconoscere che è difficile coinvolgere fasce ampie di cittadini su questioni come queste, “anche perché mancano da noi gruppi avanzati e organizzati di attivisti digitali come può essere la Electronic Frontier Foundation. Da noi queste battaglie sono meno sentite”. Tra le realtà attive c’è per esempio Agorà Digitale, mentre su Change.org si trova l’immancabile petizione da firmare.
Ma la patina di opacità che circonda questioni come questa rimane, e va oltre i confini italiani. Nel 2009 ci fu bisogno di Wikileaks per rivelare al mondo cosa si nascondesse tra i garbugli dell’Anti-Counterfeiting Trade Agreement, di cui le alte sfere della politica internazionale già discutevano da qualche anno e che era in realtà molto più di un accordo commerciale. Intendeva di fatto riformare l’architettura della rete, costruendo filtri e persino una sorta di polizia privata in versione digitale. Ora, a poco più di un anno dalle mobilitazioni anti Acta, ancora una volta è Wikileaks a rendere pubblici documenti della Tpp, la Trans-Pacific Partnership, un accordo nelle cui maglie si nascondono anche stavolta i tentativi segretissimi di regolare i rapporti tra la rete e la proprietà intellettuale, con l’ombra ingombrante delle major. “Se passa l’accordo, il timore è che vengano esportati in tanti altri Paesi gli aspetti peggiori della legge sul copyright americana”, avverte Olivia Solon sulle colonne di Wired Uk. E mentre gli Stati Uniti di Obama premono per chiudere l’accordo entro la fine dell’anno, in Italia pochissimi ne parlano e portano a galla la novità. O meglio, l’ennesimo tentativo.
Per approfondire: Agcom e pirateria: modelli a confronto
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