Agcom e pirateria: critiche e modelli a confronto

5 Agosto 2013 • Editoria • by

“Il presente regolamento entrerà in vigore il 3 febbraio 2014”. È così che si chiude la bozza che la scorsa settimana l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni italiana (Agcom) ha diramato in materia di antipirateria online. Il testo che viene messo in consultazione pubblica punta ad essere lo schema con il quale verrà combattuta la circolazione illegale in Rete di contenuti protetti dal diritto d’autore. Il documento ruota intorno alla procedura che prevede, semplificando, una segnalazione da parte dei titolari di diritto all’Authority, una procedura d’analisi da parte di quest’ultima e l’eventuale richiesta di rimozione od oscuramento del contenuto ad opera degli Internet service provider. Una modalità d’azione che, come successo negli ultimi tre anni, ha scatenato subito accesissime polemiche.

Se nelle settimane passate i toni della discussione si erano fatti sereni, almeno in confronto a quelli che hanno caratterizzato la consiliatura presieduta da Corrado Calabrò, il dibattito è tornato infuocato nell’arco di una lettura di pdf. È infatti totale la contrapposizione tra chi vede nel provvedimento un necessario intervento per arginare i danni prodotti dalla violazione del copyright online e chi invece sottolinea tutti i pericoli per la libertà d’espressione contenuti nel regolamento. Soprattutto per una sostanziale mancanza di paletti ai poteri dell’Authority, circostanza che sembra mettere a rischio anche contenuti di carattere informativo e giornalistico, soprattutto se veicolati a mezzo blog.

Le polemiche hanno accompagnato tutto il percorso compiuto dal provvedimento negli ultimi tre anni e il dibattito sulla necessità di ripensare le tutele per il copyright nell’era digitale è sempre rimasto teso. Il Parlamento italiano non ha infatti mai modificato la disciplina del diritto d’autore, ferma alla legge 633 del 1941, e l’Agcom presieduta da Corrado Calabrò, nel 2010, ha presentato le delibere 606 e 607, ritenendole attuazione del Decreto Romani emanato dal governo Berlusconi nel marzo dello stesso anno. La bufera fu immediata; la prima obiezione mossa dai critici fu proprio nel metodo, perché all’Agcom veniva contestata (allora come oggi) una troppo estesa interpretazione della delega fornitale dal testo governativo.

Nel merito, già tre anni fa, veniva criticato un approccio troppo schiacciato sulle richieste di repressione delle major, attento solo alla messa offline massiva di contenuti sospettati di essere in violazione del diritto d’autore senza passare per il giudizio della magistratura, un passaggio ritenuto necessario dato che il takedown di un contenuto spesso solleva questioni che attengono al diritto di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelato. Al centro della discussione anche le procedure e le tempistiche previste per la rimozione dei contenuti.

Con la resa di Calabrò, nel maggio 2012, si chiuse un braccio di ferro e si aprì un vuoto legislativo che è stato riempito nuovamente negli ultimi mesi. La nuova Agcom di Cardani, come testimoniato dalla data di entrata in vigore già messa nero su bianco, sembra intenzionata a chiudere la partita in tempi brevi. L’approcciom che solo poche settimane fa, appariva però diverso, tanto che il 24 maggio l’Authority organizzava un workshop alla Camera dei deputati al quale invita tutti gli stakeholder, dai rappresentanti delle major ai più agguerriti attivisti. Andava così in scena una rassegna dei vari modelli adottati in giro per il mondo.

Modelli in parallelo:
Tra i diversi modelli adottati nel mondo in questa materia, uno dei più controversi è senza dubbio quello francese dell’Hadopi, il modello detto “three strikes”, introdotto durante la presidenza di Sarkozy e ormai considerato un’esperienza giunta al tramonto almeno nella formulazione della disconnessione coatta. Si tratta dunque di un modello al quale rifarsi esclusivamente per sgomberare il tavolo di lavoro da ipotesi rivelatesi fallimentari.

In occasione del workshop romano, un passaggio veniva riservato anche al modello spagnolo; in terra iberica dal marzo dello scorso anno è infatti entrata in vigore la contestata Legge Sinde, che prevede una Commissione sulla Proprietà intellettuale incaricata di ricevere le segnalazioni dei titolari di diritto d’autore e decidere sull’eventuale oscuramento dei siti colpevoli di violazione massiva del copyright in tempi che oscillano tra i 20 giorni e i tre mesi. “È necessario farsi sempre guidare da un principio di prudenza”, affermava davanti a Cardani Carlos Guervos, membro della Commissione spagnola. La stessa prudenza professata dal britannico Campbell Cowie dell’Ofcom: “Dobbiamo scongiurare decisione eccessive e talvolta inutili. È per questo che in Uk non avremo una nuova legge prima del 2015”.

Restando nel modello anglosassone, un aperto appoggio all’approccio Agcom arrivava dallo statunitense Standford McCoy e dal Trade Representative for Intellectual Property and Innovation, che ogni anno stila la lista dei “nemici del copyright” all’interno della quale l’Italia è considerata Paese sotto osservazione”. Negli Usa è il principio notice and takedown a regolare la rimozione di contenuti che violano il copyright, così come stabilito dal Digital Millennium Copyright Act del 1998. In quella legge, faceva notare il docente di Competition law and policy dell’Università di Siena Eugenio Prosperetti, “si afferma chiaramente che un titolare di diritto, qualora volesse segnalare una presunta violazione, oltre a fornire tutto il materiale necessario a provare la sua rivendicazione, deve firmare un’assunzione di responsabilità in merito a ciò che dice. E se risulta in torto, paga i danni”. Un tipo di responsabilizzazione del titolare di diritto che sembra mancare nell’iniziativa Agcom. Sullo stesso “notice and takedow”, inoltre, negli anni non sono mancate autorevoli pareri che palesavano scetticismo sul modello, dalle Nazioni Unite all’Ocse.

Dal fronte repressivo a quello dell’immersione nella realtà mediata dalle nuove tecnologie, in sede di workshop, Cardani e gli altri commissari esprimevano il desiderio di aiutare lo sviluppo dell’offerta legale. Durante il suo intervento, il professore dell’Università di Amsterdam, Nico Van Eijk, mostrava delle statistiche che parlavano chiaro: se nel 2008 si registrava un 32% di download illegali in Europa, nel 2012 la stessa rilevazione era scesa al 22%, un dato messo in diretta correlazione con il concomitante aumento dell’offerta legale. Van Eijk differenziava inoltre in maniera categorica, nell’ambito del file sharing in odore di pirateria, i comportamenti dei singoli protetti dal fair use e le organizzazioni dedite alla violazione massiva del copyright. Un approccio che sembra ben confermato dal clamoroso caso norvegese, dove la pirateria in quattro anni è crollata dell’82,5%.

Peccato però che nelle bozze dell’Agcom la promozione dell’offerta legale venga liquidata con generiche dichiarazioni di intenti, mentre le disposizioni in materia di rimozione e repressione sono ben dettagliate. Come accennato sopra, e torniamo a queste ore, le strette di mano che chiusero la giornata alla Camera dei deputati sono state quindi nuovamente sostituite dalle spade incrociate dopo la diffusione delle bozze, tanto che c’è chi reputa questo testo anche più pericoloso di quello precedente.

Al centro della discussione, al netto delle divisioni sulla reale legittimazione ad agire che l’Agcom si auto-riconosce, restano le procedure e le tempistiche previste per la rimozione dei contenuti in violazione di diritto d’autore. Senza contare che oggi appare più preoccupante la situazione che potrebbe crearsi per le nuove forme di editoria online.

Pro e contro:
Tra i commenti più favorevoli alle nuove norme, trovano spazio quelli di Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura Italia: “Questo potrebbe cambiare la storia dello sviluppo dell’economia digitale nel nostro paese”. Mentre Alberto Gambino, ordinario di diritto privato presso l’Università europea di Roma e già presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, dichiara: “Ad una prima lettura, la bozza di regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica appena varato dall’Agcom appare più equilibrato rispetto a versioni precedenti. In particolare – afferma Gambino – vanno valutati positivamente i richiami all’educazione alla legalità e alla promozione dell’offerta legale, strumenti essenziali al fine di favorire la creazione di un mercato dei contenuti digitali”. Gambino esprime apprezzamento anche per quello che definisce “un enforcement mite”, fondato cioè su un ordine di rimozione dei contenuti inviato ai prestatori di servizio che in caso di inottemperanza viene sanzionato amministrativamente. Soluzione che per il professore “appare certamente più garantista di una disconnessione automatica o dell’oscuramento del sito”.

Sul versante opposto, invece, si levano parecchie voci contrarie. Su tutte quella di Guido Scorza e Fulvio Sarzana. Il primo, in particolare, intervistato da Tommaso Canetta su Linkiesta dice: “Trovo sbagliata la parificazione tra pubblicazione di un contenuto pirata e pubblicazione di un link che rimandi a un contenuto pirata. Chi pubblica il link potrebbe anche non sapere se il contenuto a cui sta rimandando è stato pubblicato legittimamente o meno”.

Fulvio Sarzana non è da meno e in dieci punti analizza cosa è emerso dalla stampa nelle passate settimane e cosa poi effettivamente è stato fatto, focalizzandoci sull’editoria online. “I blog sono espressamente inclusi nella disciplina di rimozione selettiva e di cancellazione – e  continua – qualsiasi blog, o forum, dovesse pubblicare una sola parte di un’opera, o un’opera intera (ad esempio una fotografia, un video, una parte, anche molto limitata, di qualche secondo di un’opera sonora) sarà soggetta al regolamento”. L’avvocato continua esprimendo preoccupazione per le ricardute che il regolamento potrebbe avere nei confronti di siti d’informazione come Linkiesta o Il Post, il quadro disegnato dall’Authority appare ancor più minaccioso per qualunque blog che abbia natura informativa.

Anche l’ex commissario Agcom Nicola D’Angelo, interpellato dall’Ejo, si mostra preoccupato come quando si mise di traverso al disegno di Calabrò:  “Sono stato notoriamente contrario al regolamento e lo sono da sempre. Lo ero come commissario Agcom e lo sono anche adesso. Il decreto Romani non ha fondamento giuridico e presenta un eccesso di delega rispetto alla direttiva europea ‘Tv senza frontiere’. Non trova una giustificazione nelle fonti primarie”.

È come se avessimo una forma di processo senza le regole di un processo – afferma D’Angelo – “L’oscuramento dei siti, oltre a rappresentare un elevato pericolo, è anche difficile dal punto di vista tecnico, oltre a essere difficile da concretizzare. Sono molto perplesso sulle modalità tecniche che verranno applicate. Dicono che verso l’utente finale non ci siano provvedimenti. Ma questa non è una cosa positiva perché la Costituzione Italiana garantisce ai cittadini la libertà d’espressione”.

Sull’impatto che possono avere queste norme sull’editoria online, sui siti d’informazione e sui blog, D’Angelo afferma: “Per l’informazione online, non saprei, si tratta di capire nel concreto come le regole andranno a incidere, invece, sui blog, ho molto dubbi su come reggeranno di fronte ad un giudice. Per il resto mi trovo d’accordo con Sarzana, le sue tesi sulla pericolosità dell’impostazione del regolamento sono ampiamente condivisibili e il vero tema non è stato risolto”.

Anche Marco Pierani di Altroconsumo critica il provvedimento e chiede l’intervento del Parlamento: “Non c’è neanche un articolo o una definizione nelle premesse che si occupi di riconoscere i diritti degli utenti in questo settore di mercato, quando invece per promuovere il mercato legale prima di educare gli utenti andrebbero evidentemente chiariti, definiti e riconosciuti i loro diritti”.

Da ultima, ma non per importanza, arriva la levata di scudi da parte dell’Assoprovider, la cui posizione viene appoggiata dallo stesso Sarzana, Pierani e dall’avvocato Marco Scialdone, che in un comunicato stampa diffuso giovedì contestano aspramente il ruolo assegnato agli internet provider dall’Agcom. A loro ha replicato duramente Francesco Posteraro, commissario dell’Authority, sul Corriere delle Comunicazioni: “Senza voler in alcun modo alimentare sterili polemiche mi permetto solo di rispondere con un sorriso alla pretesa dei tre avvocati di insegnarmi a leggere un dossier del Servizio studi della Camera”.

Pronta la contro-replica degli interessati che scrivono: “I provider italiani di accesso, qualora si trovassero di fronte ad un ordine dell’autorità giudiziaria concernente un sito collocato all’estero, non possono rimuovere selettivamente i contenuti sullo stesso ospitati, ma possono unicamente rendere inaccessibile l’intero sito, quand’anche il contenuto ‘illecito’ sia di modesta entità o sia relativo ad una minima parte del sito in questione”.Questo – continuano – “significa che fan-site o blog personali potranno diventare inaccessibili dall’Italia anche laddove presentino un unico contenuto illecito, posto che, come sopra esposto, nel caso di siti esteri non sarà possibile ordinare ai provider di accesso una “rimozione selettiva” dello stesso”.

La consultazione pubblica è aperta. E il rumore dell’artiglieria, su entrambi i lati, sembra più forte che mai.

Photo credits: Horia Varlan / Flickr CC

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