Sulla vicenda anche un acceso scambio di tweet tra la Presidenza egiziana e l’Ambasciata Usa al Cairo. L’arresto del “Jon Stewart egiziano” non è però un caso isolato. Si susseguono arresti e investigazioni nei confronti di altri comici, blogger, attivisti e giornalisti.
Non è un caso che venerdì scorso, in prima fila ad assistere alla puntata di El-Bernameg, nota trasmissione egiziana – letteralmente “Il programma”, di fatto una sorta di Daily Show, la popolare trasmissione americana condotta da Jon Stewart – ci fosse Hamdeen Sabahi, politico e leader del Fronte di Salvezza Nazionale, un’alleanza di partiti di opposizione, di cui Sabahi è a capo insieme a Mohamed ElBaradei e Amr Moussa: strenuamente opposti al presidente egiziano Mohamed Morsi e al governo dei Fratelli Musulmani. Sabahi, è da esempre oppositore dei regimi che si sono susseguiti in Egitto ed è stato incarcerato per ben 17 volte, alcune di queste quando il presidente era Anwar Sadat, altre quando in carica vi era Hosni Mubarak: “Sto seguendo le tue orme. Per questo, dopo quello che è successo, ho anche pensato di candidarmi alle prossime elezioni” gli dice ironizzando il conduttore dello show Bassem Youssef.
Perché una settimana prima, il 31 marzo, Bassem Youssef era stato arrestato con l’accusa di aver offeso il presidente Morsi e di incitare alla protesta contro il governo. Dopo aver pagato una cauzione di 15 mila lire egiziane (l’equivalente di 1.700 euro circa), nel giro di ventiquattro ore è stato rilasciato. Le lacune della Costituzione approvata dopo la rivolta del 2011 sotto la presidenza di Morsi e l’inefficacia delle norme in essa contenute sono state al centro della puntata di ritorno in video di Bassem Youssef.
“Non si tratta di un arresto, ma di un mero interrogatorio” twittavano i Fratelli Musulmani dal loro account ufficiale @Ikhwanweb e incalzati dalle critiche di diversi utenti hanno anche dichiarato di non c’entrare nulla con la vicenda del popolare comico egiziano.
Fatto sta che, dopo aver abbandonato la sua professione di cardiochirurgo, dal 2011 in poi Bassem Youssef rivolge aspre critiche e si batte contro quella che alcuni hanno chiamato “brotherhoodisation”, cioè la penetrazione dei Muslim Brotherhood, i Fratelli Musulmani, a tutti i livelli della società, compreso quello politico-governativo.
Lo ha fatto prima attraverso un proprio canale Youtube e da alcuni mesi a questa parte con una trasmissione che va in onda sul canale dell’emittente privata Cbc.
A onor del vero, nemmeno Kim Jong-un sembra piacere molto a Bassem Youssef, dal momento che sul suo profilo facebook, Bassem Youssef Sarcasm Society negli ultimi giorni ha postato diverse immagini satiriche aventi come protagonista il dittatore della Corea del Nord.
Di recente, con l’arma della satira, aveva portato l’attenzione del pubblico sull’escalation di violenze ai danni delle donne che sono scense a protestare in piazza Tahrir negli ultimi tempi e sulle prese di posizione dei partiti al governo. Dichiarazioni mai smentite, su cui il comico ha ironizzato, che individuavano nel comportamento delle donne le cause della violenza.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso sembra però essere stata una puntata in cui Bassem Youssef ironizzava sulla pronuncia in inglese di Morsi e sulla divisa accademica indossata dal presidente nel corso di una sua recente visita in Pakistan, dove ha ricevuto un dottorato ad honorem in filosofia da un’università di Islamabad. Nel corso della puntata il comico egiziano ha anche preso in giro per una divisa accademica di colore “rosa-Barbie” indossata in passato da ElBaradei in una situazione analoga.
Ma le battute sull’abbigliamento erano il preludio ad un’ironia più sottile: il comico si domanda come mai un dottorato ad honorem proprio in fiolosofia a Morsi che è laureato in in ingegneria e fingendo di pensare tra sè e sè sussurra tre parole una dopo l’altra: “Morsi, filosofia, Pakistan”. Seguendo questo gioco di parole, il pensiero approda all’estremismo islamico e il terrorismo di matrice islamica diffusi in Pakistan. Probabilmente è questo riferimento a non essere andato particolarmente a genio alla procura generale egiziana, il cui capo è Talat Abdullah, nominato da Morsi nel novembre 2012 dopo un lungo braccio di ferro con la magistratura. Lapuntata in questione è andata in onda il 22 marzo, il mandato di arresto è stato emesso il 30 marzo successivo. Senza successo invece è stata la richiesta, respinta dal giudice, di revocare la licenza all’emittente Cbs, che ospita il programma El-Bernameg.
La notizia dell’arresto ha fatto il giro delle principali testate internazionali, riaccendendo i riflettori sul paese che ormai vive uno stato di rivoluzione quasi permamente, con scontri e violenze all’ordine del giorno. La vicenda ha anche portato ad un acceso scambio di tweet tra la Presidenza egiziana e l’Ambasciata Usa al Cairo, dopo che quest’ultima ha segnalato con un tweet l’imminente puntata del Daily Show dedicata al caso del comico egiziano.
Jon Stewart, infatti, ha dedicato al “collega” egiziano un episodio del suo programma: “Beh, cosa c’è di strano a prendere in giro il presidente per il cappello che indossa. Io non l’ho fatto per otto anni consecutivi” (il riferimento è al cappello da cowboy di George W. Bush). E aggiunge: “E dovreste sentire cosa diciamo del presidente che in teoria ci piace” riferendosi a Obama. Scherzi a parte, il conduttore americano ha sottolineato che “senza Bassem Youssef e tutti gli altri giornalisti che hanno protestato in piazza Tahrir, Morsi oggi non sarebbe nella posizione di reprimerli”.
L’arresto di colui che la stampa estera ha ribattezzato come il “Jon Stewart egiziano” non rappresenta però un caso isolato nella terra dei Faraoni, ma è avvenuto in un momento in cui si susseguono arresti e investigazioni, con accuse simili, nei confronti di altri comici, blogger, attivisti e giornalisti. Pochi giorni prima, martedì 26 marzo, era toccato al blogger Alaa Abd El Fattah (su twitter @alaa) accusato di incitare all’aggressione contro i membri dei Fratelli Musulmani. El Fattah non è nuovo al carcere, essendo stato detenuto più volte in passato per la sua incessante opera di protesta già dai tempi del rais Mubarak. Pochi giorni dopo, è stata la volta di un altro comico, Ali Kandil, accusato di avere offeso l’Islam mentre era ospite proprio di El-Bernameg.
Il Committee to protect journalists ripetutamente denuncia restrizioni alla libertà di stampa e di espressione in Egitto e perfino una loro collaboratrice, Shaimaa Abulkhair sarebbe indagata per un’intervista rilasciata all’emittente ONtv in merito al caso di Bassem Youssef e di numerosi altri giornalisti perseguiti a suo avviso ingiustamente. ONtv è un’emittente privata nata a ridosso dei giorni della protesta di piazza Tahrir nel 2011. Ha svolto un ruolo fondamentale nel rovesciare il regime di Mubarak, ma oggi è a sua volta oggetto di forti pressioni per la sua linea editoriale che, dopo l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani, ha continuato ad essere tutt’altro che filo-governativa. Nel corso dell’intervista la collaboratrice del Cpj aveva detto che “l’interrogatorio si era svolto in modo corretto da un punto di vista formale, con possibilità di contradditorio”, ma che il punto era “che non avrebbe dovuto nemmeno svolgersi, perché infondate erano le accuse”. Al termine dell’intervista il giornalista conduttore, con una misuratissima attenzione alle parole che sta per pronunciare, invita Shaimaa Abdulkhair ad approfondire ulteriormente quanto stava dichiarando sulla situazione dei giornalisti in Egitto, per contribuire a tutelare la libertà dei giornalisti, sottolineando che si trattava di “affermazioni gravissime”. Un invito rivolto con parole ponderate e con uno sguardo, che invece che essere rivolto in camera, sembra quasi cercare rifugio sulla scrivania, tra fogli di notizie ancora difficili da raccontare in Egitto.
Nella Costituzione egiziana approvata nel dicembre scorso, la libertà di espressione viene sancita nell’articolo 48, ma apponendo un enorme limite che di fatto rischia di annullare quotidianamente tale libertà, prevedendo in sè una sorta di sospensione della libertà: la censura è infatti prevista e consentita durante periodi di mobilitazione pubblica, mentre piena libertà è data alla magistratura nel definire i casi di sequestro di stampa.