I siti dei quotidiani rallentano, in qualche caso addirittura crollano. La minaccia viene dai social network o c’é dell’altro?
Il The Guardian riporta i valori degli utenti unici dei principali quotidiani britannici. I dati non lasciano spazio a interpretazioni o dubbi, anche nella nazione europea con la maggior penetrazione di Internet la maggior parte dei giornali anglosassoni vedono una flessione degli accessi con testate come l’Indipendent e Standard in calo rispettivamente del 15% e del 12,5%. Anche il The Guardian stesso che, nonostante vanti di essere il terzo quotidiano online con il maggior numero di viste al mondo ed il primo in Gran Bretagna, perde il 0,9%.
L’eccezione che (non) conferma la regola viene dal Mail Online. Il quotidiano in lingua inglese con la maggior audience al mondo vede una crescita di quasi il 5% e diventa per la prima volta nella sua storia profittevole. Una crescita basata su un orientamento spregiudicato e contenuti “leggeri” per attirare elevati volumi di traffico ad ogni costo.
E’ proprio il difficile equilibrio tra giornalismo di qualità e sostenibilità economica a caratterizzare questa fase con anche il The New York Times che continua a perdere ricavi dagli investimenti pubblicitari e cresce invece nelle vendite (digitali) del giornale spinte, anche, dalla forte promozionalità come avevamo avuto modo di segnalare nella case history dedicata al quotidiano statunitense.
Se Atene piange Sparta non ride, anzi. L’andamento dei quotidiani italiani è complessivamente disastroso (vedi tabella) con flessioni degli utenti unici che raggiungono il – 54% e il tempo per utente speso sul sito spesso altrettanto in calo. Tempo medio speso da ogni utente sul sito, che ha più a che vedere con la qualità e il giornalismo digitale, ma che purtroppo ha ancora poco peso nelle decisioni degli investitori pubblicitari come sintetizza ottimamente Marco Pratellesi.
Se il tempo investito sul sito di un quotidiano è certamente un indicare importante per valutare interesse e coinvolgimento delle persone sono fondamentalmente due gli aspetti sui quali lavorare.
Da un lato si tratta di trovare modalità che favoriscano tali dinamiche, personalmente, come noto, ritengo che newsgames e gamification siano elementi che se combinati con la disponibilità a pagare per giocare potrebbero, da un lato, rappresentare il cavallo di troia per monetizzare una parte dei contenuti da parte dell’industria dell’informazione e, dall’altro lato, aumentare permanenza sul sito e coinvolgimento delle persone.
Dall’altro lato vanno identificate le giuste metriche che consentano di andare oltre le attuali consuetudini affinché si possa passare da un modello pressoché unico basato sui CPM ad una corretta valutazione del valore espresso da ciascuna testata online.
Sono necessarie ricerche e sperimentazioni in tal senso ma, con testate come il The Guardian sull’ orlo del collasso economico, non si può che rievocare un titolo di giornale che ha avuto ampio eco: “Fate presto, facciamo presto”.
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