Boris, il giornalista che conquista Londra

13 Maggio 2008 • Digitale • by

Il Giornale, 04.05.2008

Si è presentato davanti alle telecamere per il tradizionale discorso di ringraziamento dopo l’elezione a sindaco di Londra con un ciuffo di capelli fuori posto, l’aria sbarazzina, la parlata veloce. Non era commosso e tantomeno solenne. Era il solito, irriverente Boris, il «biondo» e ora lo «sceriffo». Ha vinto puntando sulla lotta alla criminalità. E non nei quartieri chic, ben protetti, ma in quelli poveri.

Boris, che di cognome fa Johnson, è nato 44 anni fa a New York, ha studiato a Eton e poi si è laureato a Oxford. Il percorso tipico dell’upper class britannica. Giornalista di successo e poi parlamentare, in questa campagna si è immerso in una realtà a lui sconosciuta, quella della immensa periferia della capitale britannica. Ha ascoltato la gente, ha denunciato un degrado civico che, a suo dire, ha reso Londra «meno sicura di New York». Troppi scippi, troppa gente ubriaca e molesta per le strade, troppi omicidi; l’ultimo proprio nella notte del trionfo elettorale, vittima un quindicenne accoltellato da una baby gang. Per quattro mesi ha promesso agli elettori tolleranza zero e ora intende essere di parola: «La mia prima priorità sarà la lotta alla malavita», ha dichiarato nel discorso di insediamento a City Hall, poche ore dopo la proclamazione ufficiale dei risultati. Le forze di polizia saranno potenziate entro pochi giorni con 500 nuovi agenti. Altre misure seguiranno. La gente già lo considera un potenziale Rudolph Giuliani londinese.

Straordinaria metamorfosi di un personaggio che nella sua brillante e rapidissima carriera si era ritagliato la fama di commentatore polemico al limite dell’impertinenza, impulsivo, tagliente, facile alle gaffes, come quando fece arrabbiare gli abitanti di Liverpool definendoli dei lazzaroni mantenuti o quando descrisse in termini dispregiativi i ragazzini neri dei sobborghi di Londra. Più di una volta ha dovuto innescare la retromarcia e scusarsi pubblicamente, senza però mai rimettersi in discussione; perché la provocazione nell’era informazione-spettacolo paga, sia in tv sia in edicola.

Giovane corrispondente a Bruxelles per il Daily Telegraph, divenne rapidamente una delle firme più seguite dai lettori, per gli articoli in cui quotidianamente ridicolizzava le istituzioni comunitarie, assecondando l’euroscetticismo dell’opinione pubblica conservatrice inglese e dei suoi leader; come Margaret Thatcher di cui, a quanto pare, divenne il giornalista prediletto.

Nel 1999 ad appena 35 anni fu nominato direttore della rivista The Spectator, che ovviamente rilanciò, portandola a nuovi record di vendita. Ma Boris era ambizioso e quel traguardo non poteva certo bastare a soddisfare il suo sviluppatissimo ego. Da ragazzino diceva di voler diventare presidente degli Stati Uniti, carica a cui, in teoria, avrebbe potuto ambire essendo nato sul suolo americano. E alla politica inevitabilmente approdò due anni dopo, non negli States ovviamente, ma nel Regno Unito: nel 2001 venne eletto in Parlamento. Poi tornò al giornalismo, non più sulla carta stampata, ma in tv, come conduttore di una seguitissima trasmissione settimanale di satira politica, durante la quale si faceva chiamare rigorosamente con il nome di battesimo. Boris prendeva in giro gli altri, ma spesso anche se stesso, risultando scandalosamente simpatico e dunque popolare in tutto il Regno.

Un altro successo, ma, ancora una volta, non tale da acquietare l’arrembante, istrionico giornalista. Quando, nel 2007, il partito conservatore si accorge di non avere un candidato credibile per il posto di sindaco di Londra, lui capisce di avere un’opportunità irripetibile. Senza avvertire nessuno – nemmeno il leader dei Tory David Cameron, suo compagno di classe a Eton – decide di candidarsi. Sembra una trovata fine a se stessa, e invece va a buon fine. La base crede allo scavezzacollo biondo e gli affida il mandato.

Boris è intelligente e sa di non poter condurre la campagna da solo, ma non si fida degli spin doctor del partito, che conosce bene. E allora pesca in Australia lo stratega Lynton Crosby, che lo trasforma. «Crosby lo convince a puntare sulla sicurezza – spiega al Giornale Nicholas Jones, raffinato commentatore della Bbc -. È lui a spingerlo in periferia ed è sempre lui a renderlo finalmente credibile». La cura fa effetto: in quattro mesi Johnson, pur mostrandosi disinvolto e graffiante come nella sua natura, non fa gaffe. Da giornalista conosce i suoi pari e li evita. Non concede interviste, limita allo stretto indispensabile i contatti con i reporter per scongiurare il rischio di farsi trascinare in inutili polemiche. Parla direttamente ai cittadini, senza mediazioni. E vince, come sempre.

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