I titoli “forti” e la libertà di stampa

20 Novembre 2015 • Giornalismi, Media e Politica, Più recenti • by

Jon S / Flickr CC

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Il titolo “Mafia pays no taxes” sarà stato pure dirompente, ma la libertà di stampa va salvaguardata se il contenuto dell’articolo ha una base fattuale sufficiente e contiene critiche su fatti di interesse pubblico, come un progetto di legge che agevola indirettamente la criminalità.

Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza “Stankiewicz contro Polonia” depositata il 3 novembre scorso (ricorso n. 48053/11, CASE OF STANKIEWICZ AND OTHERS v-1. POLAND (No. 2). A rivolgersi a Strasburgo erano stati un giornalista, il direttore e la società editrice del quotidiano polacco Rzeczpospolita, testata che aveva criticato aspramente il progetto di legge in materia di tasse che avrebbe permesso di usare il materiale probatorio raccolto nei procedimenti penali in quelli tributari, ma solo dopo la conclusione del processo penale.

Un vantaggio per chi evade il fisco secondo il giornalista autore di diversi articoli critici nei confronti di una ex funzionaria dello Stato che aveva contribuito all’approvazione della legge. I giudici polacchi avevano inizialmente condannato il reporter a pubblicare una lettera di scuse e a versare 5mila euro di indennizzo alla funzionaria. Una condanna che, per Strasburgo, è una violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che garantisce la libertà di espressione. È vero, osserva la Corte, che il titolo era effettivamente “forte”, ma era controbilanciato dal modo con il quale i giornalisti avevano riportato i fatti, attenendosi alle trascrizioni del dibattito parlamentare.

Quanto riportato, ovvero l’andamento della discussione sull’approvazione del testo normativo, era corretto e il giornalista aveva agito con “due diligence” interpellando le parti coinvolte nell’approvazione del testo. Inoltre, il promotore della legge era una persona pubblica che deve avere un più alto livello di tolleranza. Inoltre, contrariamente a quanto fatto dai giudici nazionali, occorreva notare come l’articolo riguardasse esclusivamente l’attività pubblica della persona coinvolta e non certo elementi della sua vita privata.

Infine, non vi era alcun attacco personale nei confronti della funzionaria. I giudici nazionali non hanno considerato questi elementi e non hanno così effettuato il giusto bilanciamento necessario, trascurando il ruolo essenziale della stampa in una società democratica. Di qui la conclusione della violazione della Convenzione e l’obbligo per lo Stato di versare 5mila euro per i danni patrimoniali e la stessa cifra a ogni ricorrente per quelli non patrimoniali.

Articolo pubblicato originariamente sul blog di Marina Castellaneta

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