Corriere del Ticino, 16.05.2012
Chi si arrischia alle attuali condizioni ad acquistare ancora i quotidiani? David Carr, il più famoso giornalista di media del New York Times, ha messo in evidenza il drammatico cambiamento che si sta delineando negli USA nell’assetto societario e nella proprietà dei media.
I primi a scappare a frotte dai giornali sono stati i lettori, poi seguiti dagli inserzionisti. Infine se la sono data a gambe le famiglie dei proprietari. A queste sono subentrati gli hedgefund e altri attori del settore della finanza. Costoro si erano illusi di comprare quando il mercato aveva toccato il fondo. Saccenti investitori arrivati con grandi proclami, come riportare questo settore ai fasti del passato e a nuovi profitti, se ne sono andati, incassando perdite milionarie, ridotti in braghe di tela e con la coda tra le gambe. Carr prende a esempio il Philadelphia Inquirer. In cinque anni la proprietà è passata di mano quattro volte. L’ultimo prezzo di vendita che è stato possibile spuntare, 55 milioni di dollari, è appena il dieci per cento di ciò che questo giornale valeva nel 2006.
Ora però si sta delineando un cambiamento di tendenza. Visto che non esiste un modello di business che offra prospettive future, i giornali stanno diventando oggetti da collezione e di prestigio per i super ricchi. Carr afferma che gli acquirenti non sono i veri benestanti ma piuttosto coloro che si sono allontanati dalla noiosa normalità della vita economica di tutti i giorni. Secondo Carr «i giornali non generano profitti ma sono perfetti come nuovo status symbol. È costui abbastanza ricco da permettersi un giornale che gli offra una forte risonanza?».
Negli ultimi tempi si osserva uno sviluppo simile in altre parti d’Europa, come si era già visto in precedenza in Gran Bretagna. In Europa dell’est e del sud sono gli oligarchi regionali che saltano sul carro del business dei media. In Gran Bretagna si trattava di un miliardario russo, che aveva cercato di mettersi in salvo da Putin, e da allora scompiglia il mercato londinese. Negli Stati Uniti Carr fa il nome dei «nuovi baroni dei giornali». Negli USA è Warren Buffett che si è insediato al vertice di questo movimento e nella sua città natale si è pappato l’Omaha World-Herald, nonostante solo tre anni prima avesse spiegato agli azionisti in occasione di un incontro del suo fondo di investimento, il Berkshire Hathaway, che «i giornali promettevano infinite perdite e che lui personalmente non ne avrebbe mai comprato uno a nessun prezzo».
La Svizzera è lontana anni luce da tali perniciosi sviluppi? Oppure anche il nostro Paese zoppicando si avvia a seguire fra un paio d’anni questo trend osservato non solo in America ma anche qui e là in Europa? Un esercizio di fantasia potrebbe venir in nostro aiuto. Anche alle nostre latitudini c’è una forte migrazione dalla carta stampata verso il web. Proviamo allora a immaginarci il seguente scenario. I giornali, anche quelli gratuiti, che per ora generano ancora larghi profitti, diventano sempre meno redditizi.
Chi sarebbe disposto a entrare in Tamedia, in Ringier, nel gruppo NZZ una volta che gli attuali proprietari si vorranno separare da queste proprietà diventate solo un onere? Probabilmente soprattutto un certo tipo di investitori che, grazie all’acquisizione di questi media, vogliono aumentare il loro potere e accrescere la loro influenza.
In Europa del sud e dell’est i nuovi oligarchi stanno facendo senza alcuno scrupolo proprio questo. Lì dove gli investitori occidentali, in Polonia la Mecom, nei Balcani il gruppo WAZ, se ne sono andati, i nuovi zar dei media spadroneggiano totalmente ignorati dall’attenzione dell’opinione pubblica occidentale sebbene il cammino per costruire una comune libera e democratica Europa sia stato già intrapreso. Ahimè, se continuiamo a tenere gli occhi chiusi davanti alla realtà ci dobbiamo aspettare un brutto risveglio.