Sicuramente la campagna elettorale che ha caratterizzato le elezioni Municipali della Città di Lugano tenutesi lo scorso weekend è stata la più combattuta e mediatizzata della storia della Città. In particolare ciò che l’ha contraddistinta è stata la personalizzazzione attorno ai suoi due pincipali protagonisti e contendenti: il sindaco uscente Giorgio Giudici e colui che nel frattempo è stato eletto, Marco Borradori. Una campagna che per i toni, la vicinanza geografica e gli interessi in comune ha attirato l’attenzione anche dei media mainstream italiani che, in qualche caso, anzichè riportare il vero spirito e le notizie dell’evento hanno preferito affidarsi ai luoghi comuni e dare spazio a tematiche controverse ma non centrali. Ne ha parlato Marcello Foa sul suo blog “Il Cuore del Mondo” in un articolo che qui riproponiamo.
Questo é un piccolo esempio concreto di come funzioni l’informazione e di come sia facile creare miti basati sul nulla.
La settimana scorsa mi telefona la giornalista di una nota trasmissione pomeridiana italiana, dal taglio popolare. Mi dice:
“Vorremmo intervistarla sulle prossime elezioni a Lugano”
“Volentieri”, rispondo sorpreso.
“Sa vogliamo capire perché i ticinesi vogliono cacciare gli italiani”
“Scusi?”
“Sì abbiamo letto degli articoli sulla stampa italiana. La campagna elettorale è stata incentrata sull’eccessiva presenza degli italiani nel Canton Ticino. ”
“Si sbaglia di grosso – replico – L’elezione a Lugano è stata segnata dalla morte del leader della Lega dei Ticinesi, Giuliano Bignasca e dalla sfida dal candidato leghista Marco Borrradori al sindaco uscente, il liberale Giorgio Giudici”.
“Ma ci sono stati anche dei manifesti e una forte propaganda anti italiana”.
“Il manifesto a cui lei si riferisce è stato affisso da un partito Udc con lo slogan “giovani, restiamo in mutande” ed è passato praticamente inosservato. La questione dei frontalieri che lavorano in Ticino è nota da tempo, la Lega ne ha fatto un cavallo di battaglia, ma questa volta non ne ha parlato quasi nessuno.”
“Ma lo ha scritto la Repubblica”
“E la Repubblica ha preso un abbaglio. Scrivere che gli italiani vogliono cacciare gli italiani fa titolo, ma non corrisponde a quanto avvenuto in campagna. E nell’intervista lo dirò chiaramente”.
“Capisco, la ringrazio tanto. Allora la chiamo entro domani e fissiamo l’appuntamento per l’intervista”, mi risponde lei con un filo di imbarazzo.
Era mercoledì e ovviamente non mi ha più chiamato. Non so cosa sia andato in onda, ma è molto probabile che la tesi iniziale non sia stata corretta. Come capita quasi sempre – soprattutto in tv ma non solo – quando un giornalista – o una fonte – smentisce o relativizza la tesi che piace al caporedattore o all’autore del programma, il quale non giudica nel merito ma cerca solo ciò che fa audience. E non gliene importa nulla se quel che va in onda non solo non è vero, ma nemmeno verosimile. Quando la notizia falsa rafforza un luogo comune o un pregiudizio radicato nell’opinione pubblica, la possibilità di correggere il tiro è praticamente impossibile.
Questo episodio è minore, ma emblematico di una consuetudine consolidata nei grandi media e che ho avuto modo di verificare personalmente più volte. Perchè fare audience con notizie vere interessanti, emozionanti è molto più difficile e faticoso, mentre basta un bel luogo comune, basato su un indizio apparentemente credibile (l’articolo di Repubblica) per far salire lo share. Vuoi mettere?
Pubblicato sul blog di Marcello Foa “Il Cuore del Mondo“