La decisione del CdA della RAI di sospendere la messa in onda dei programmi di approfondimento informativo, sostituendoli con tribune elettorali (per i cardini del regolamento www.francoabruzzo.it), non è certo una notizia spendibile sui media mainstream esteri come la recente gaffe del cuoco Bigazzi e i gatti in pentola. Fa però riflettere che a qualche giorno dal provvedimento i maggiori quotidiani non ne abbiano parlato. Fatta eccezione per alcuni come il londinese Independent e il francese Le Figaro. Nemmeno giornali come il Times o la Süddeutsche Zeitung che solitamente seguono le vicende dell’Italia con molto interesse.
Certo il regolamento in questione non è di facile lettura. Si tratta di un argomento più adatto ad un pubblico specialistico e per gli addetti al settore. D’altra parte la sospensione dei talk show e il fatto che il provvedimento sia stato approvato dal CdA dello stesso editore dovrebbe costituire motivo di interesse per tutti quegli organi di informazione e di controllo della democrazia da mesi attenti al problema della libertà di stampa e di informazione in Italia.
Non sarà che il provvedimento non fa notizia perché per una volta non è tutta colpa di Berlusconi?
Il dubbio viene. E confermerebbe una tendenza comune non solo ai media del Bel Paese – che da mesi si accapigliano per questioni di escort, minorenni, transessuali e complotti di varia natura – ma anche a quelli delle altre democrazie: l’ingordigia per il gossip e gli scandali politici, i pettegolezzi dello star system e i fatti privati di personaggi pubblici e famosi.
A questa analisi ben si presta il libro «Politica Pop. Da “Porta a Porta” a “L’isola dei famosi”» di G. Mazzoleni e A. Sfardini che così bene illustra lo stato di salute della comunicazione politica italiana mettendo in luce proprio quelle caratteristiche connaturate al sistema televisivo che oggi – in nome di una informazione e di una comunicazione politica equilibrate – sono sotto accusa. Stiamo parlando di quel modo di fare informazione e di intendere la politica di cui oggi la Tv si avvale definiti come «infotainment» (informazione e intrattenimento) e «politainment» (politica e intrattenimento), per cui programmi come «Porta a Porta» e «Annozero» trattano temi di attualità e politica in modo leggero e frammentato, condendoli con ingredienti populistici e slogan d’effetto comprensibili anche dalla massaia di Voghera.
Ma c’è dell’altro. Se da una parte i media scadono in linguaggi popolari e contenuti gossipari, dall’altra è anche vero che i politici per arrivare al loro elettorato si prestano volentieri al gioco improvvisandosi provetti attori. Guai a mancare nei salotti di Vespa e Santoro. E sono i primi a rinunciare ad un dibattito civile educato e onesto prerogativa di un rispetto intellettuale e morale verso chi guarda e ascolta. Bisogna sfatare il mito per cui «è sempre colpa dei media». Anche la classe politica ha le sue colpe. Troppo comodo penalizzare i talk show che poi, sono davvero in grado di spostare voti?
Ma la questione vera è un’altra: il conflitto di interessi tra chi governa e chi gestisce la Tv pubblica. E non è tutta colpa di Berlusconi come si vuol far credere perché è più comodo e fa vendere di più, anche all’estero. Ma di quella parte dell’Italia che si nasconde dietro a grandi teoremi e poi, di fatto, si ostina a non volere guardare avanti ad una democrazia moderna in cui pluralismo e libertà di espressione sono dei diritti. Non degli impedimenti. In cui politica e informazione non vanno a braccetto ma guardano l’una all’altra senza mai sposarsi o confondere i propri ruoli. Infine, quell’Italia che non si indigna nemmeno di fronte ad una così manifesta «ingordigia della politica» che, come ha detto G. Floris, «si mangia l’editore, l’azienda, i conduttori, i giornalisti e anche gli ospiti. Oltre, naturalmente, ai telespettatori che pagano il canone». E questa, come ha scritto il Corriere della Sera, «la chiamano informazione».
Tags:Berlusconi, conflitto di interesse, Giovanni Floris, informazione, Pierluigi Battista, Rai, talk show