Si può misurare la qualità giornalistica?

19 Marzo 2004 • Etica e Qualità • by

Neue Zürcher Zeitung, 19.03.2004

In America i caporedattori e gli editori di giornale sarebbero, secondo quanto riportato da Jim Chisholm nella rivista specializzata Newspaper & Technology (marzo 2004), divisi su due fronti. Da un lato sarebbero «totalmente sfiduciati» dato che finora è stato fatto molto poco per «misurare quantitativamente e qualitativamente» la produzione dei giornalisti. D’altro canto ogni tentativo di mettere in relazione valutazioni tecniche con «l’arte e la magia del giornalismo» viene respinto con disprezzo.

Anche nel Vecchio continente esistono questi due punti di vista. Tuttavia da quando, qualche anno fa, gli scienziati della comunicazione hanno iniziato a discutere sulla qualità del giornalismo, sono stati fatti progressi notevoli nella misurazione e nella valutazione della produzione. È quanto sostiene un libro recentemente pubblicato dagli esperti di media Hans Jürgen Bucher (Università Trier) e Klaus-Dieter Altmeppen (TU Ilmenau). Circa venti autori che si occupano di ricerca e di giornalismo applicato presentano modelli che portano avanti il discorso sulla qualità della carta stampata, della radio, della televisione e del giornalismo on-line. Bucher, nell’introduzione, chiarisce immediatamente che non esistono ricette patentate: «i dibattiti sulla qualità sono complessi anche perché entrano in gioco principi, misure, norme e regolamenti conflittuali». Anche il diritto dei media e la protezione della persona, i principi della Weltanschauung e della religione, le regole del mestiere e del How-to-do e gli accordi specifici nelle redazioni complicano la discussione. Il libro commenta in maniera pregnante come, nel corso del tempo, la discussione si sia sviluppata.

Tra i venti autori molti o lavorano in Svizzera, o hanno una forte affinità con essa. E questo potrebbe essere un indizio per affermare che nella Confederazione le domande sulla professionalità giornalistica sono poste con più facilità che nel resto delle zone germanofone.

Però irrita sempre vedere quanto poco interesse gli studiosi dedichino a uno dei più importanti problemi del management della qualità giornalistica: la rilevazione, la riduzione e la correzione degli errori che, in questo frenetico lavoro, passano tutti i giorni inosservati. La ricerca in questo ambito è ancora agli inizi.

Eppure la maggior parte delle redazioni potrebbero fare grandi passi avanti anche senza il sostegno scientifico. Jim Chisholm, che osserva – per la World Association of Newspapers – gli sviluppi del management della qualità nelle redazioni giornalistiche di tutto il mondo, si domanda perché la sua proposta riscontri così poco entusiasmo presso i caporedattori. Si tratta di questo. Per un certo periodo di tempo le redazioni dovrebbero controllare l’impatto delle notizie e analizzare, tramite un breve questionario, se «la corrispondenza dei fatti era corretta, se le interpretazioni sono state percepite come corrette e se esistevano altri punti importanti della storia che non erano scritti nel giornale». L’utilità di tale azione sarebbe enorme. Essa sarebbe un «segnale chiaro che la redazione si occupa seriamente della correttezza della corrispondenza.» In questo modo ogni lettore capirebbe di avere ragione ad alzare la mano per parlare. E in breve tempo si avrebbe un quadro di chi, all’interno della redazione, dovrebbe seguire corsi di aggiornamento. «Inoltre», secondo Chisholm, «un feedback su tre contiene spunti per una continuazione della storia».

Hans-Jürgen Bucher/Klaus-Dieter Altmeppen (Hrsg.): Qualität im Journalismus. Grundlagen – Dimensionen – Praxismodelle, Wiesbaden: Westdeutscher Verlag 2003.