Medienheft, 21.6.2004
RESEARCH
Il giornalismo nelle mani del terrore
La strumentalizzazione dei media da parte del terrorismo internazionale non è diventata oggetto di discussione solo in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre o dopo la decapitazione del cittadino americano Nicholas Berg. Già negli anni Settanta i terroristi usavano i media nell’ambito di una strategia comunicativa che consentiva loro di raggiungere le masse. Ciò solleva questioni fondamentali relative al ruolo del giornalista e alla sua deontologia professionale.
Dove terminano le norme professionali sull’oggettività e inizia il sensazionalismo? In quale misura i media si possono usare nella lotta contro il terrorismo? E infine: il terrorismo sarebbe possibile senza i mass media? Il fatto che le routine produttive delle redazioni siano a volte sfruttate per altri fini è evidente non solo nell’imperativo per le immagini nelle trasmissioni TV, ma anche nella tendenza alla personalizzazione. Questo articolo indaga le sfaccettature della presunta simbiosi tra media e terrorismo – a partire dalla mistificazione dei leader terroristici con i loro sforzi per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica attraverso dirette televisive e l’uso di infrastrutture tecniche. Tuttavia le moderne forme di comunicazione, e soprattutto la possibilità per i terroristi di diffondere messaggi via internet, sembrano spezzare la relazione simbiotica tra terroristi e giornalisti, in quanto i media tradizionali sono scavalcati. Per non offrire ai terroristi un inutile spazio nei media, l’autore auspica una maggiore riservatezza giornalistica, un forte autocontrollo e un grande senso di responsabilità nell’uso di immagini e messaggi di natura terroristica.
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