Corriere del Ticino, 13.11.2009
Seguendo in questi giorni la ricorrenza della caduta del muro di Berlino, pare incredibile che siano già passati vent’anni. I media tedeschi ne hanno parlato in modo così esteso che si aveva l’impressione che l’evento del secolo fosse appena accaduto.
In questo senso i tempi sono propizi anche per ricordare come i media e il loro sistema funzionassero al di qua e al di là del muro ai tempi della guerra fredda: nell’est l’informazione era controllata dallo Stato e i giornalisti erano dei propagandisti al soldo del regime, indottrinati di marxismo e leninismo al «Convento rosso» (Roten Kloster) di Lipsia, la fucina di formazione dei quadri. Lì i giornalisti venivano preparati per diventare megafoni del potere politico. Nessuna traccia di Rosa Luxemburg: «la libertà è sempre la libertà di dissentire».
In Occidente al contrario vigevano libertà di stampa e di pensiero. Naturalmente non solo gli spin doctor ma anche i servizi segreti – con più o meno successo – cercarono di influenzare fortemente i media in ambito politico. La Stasi in questo ha avuto probabilmente più successo degli altri: oggi sappiamo che non manovrava solo le campagne contro l’editore Springer e i movimenti di protesta studenteschi. Il governo socialista, per esempio, seppur nella DDR vi erano corrispondenti dall’ovest, riuscì a far credere che l’economia funzionasse. Persino quando il paese andò in bancarotta e fu in grado di sopravvivere solo grazie ai crediti dell’Occidente, le alte cariche politiche così come i servizi segreti e i giornalisti dell’ovest credevano ancora alla favola della DDR come decima potenza economica mondiale.
In altri casi furono gli stessi media occidentali a trasfigurare spontaneamente il proprio ruolo e a romanzare le storie. La fine del «muro di protezione antifascista», cosi la mostruosa demarcazione veniva chiamata nella DDR, sarebbe – secondo il mito – soprattutto opera della televisione occidentale che, con i suoi notiziari, ma anche la pubblicità tentatrice, si è infiltrata ad est come un cavallo di Troia e ha fatto cadere il regime repressivo. Fosse stato così semplice allora la pacifica rivoluzione che ha donato la libertà all’Europa centrale e all’Europa dell’est avrebbe avuto inizio nella DDR, visto che per mancanza di barriere linguistiche subiva molto di più l’influenza dei programmi televisivi della Repubblica Federale tedesca che non quelli trasmessi dai satelliti dell’allora Unione Sovietica.
Inoltre in Russia, Polonia e in altri paesi regnava da tempo la Glasnost, prima ancora che i tedeschi dell’est cacciassero Honecker e Krenz. Questo non significa che i media, per lo meno la televisione, non abbiano avuto alcun ruolo. Senza dubbio vi è stata un’influenza mediatica, ma ha agito in modo molto meno diretto di quanto molti giornalisti e ricercatori dei media vogliono credere.
In questo senso sono rimasto molto sorpreso nel vedere che persino nel più grande museo dei media del mondo, il Newseum di Washington inaugurato lo scorso anno, si ricami su questa leggenda. Il museo e la caduta del muro costituiscono d’altra parte una calzante occasione per ricordare che oggi una fortificazione non meno mostruosa divide gli USA dai suoi vicini meridionali. Non è però stata costruita dai messicani per difendersi dagli «Imperialisti» del nord. Autori e architetti del disonore sono gli americani che terrorizzano loro stessi e i vicini nell’illusione che il terrorismo e l’immigrazione clandestina si possa combattere così. A questo punto attendiamo di vedere quanto impiegherà la televisione a far cadere anche questa cortina di ferro….