Durante il primo minuto della sua presentazione di fronte a una platea di giornalisti inglesi di lungo corso, Allison Rockey ha ammesso a) di non essere una giornalista b) di lavorare nei media digitali da meno un anno e, se non fosse già abbastanza, ha parlato con un vistoso accento americano e una sicurezza effervescente. Forse l’audience è rimasta stupita inizialmente, ma non è servito molto tempo per capire perché Allison Rockey fosse stata invitata a parlare al News Impact Summit di Londra la scorsa settimana.
Rockney è infatti l’Engagement Editor di Vox, il nuovo sito di news americano con un anno di vita la cui missione è “spiegare le news” a un’audience quanto più vasta possibile, per lo più mobile, che trova l’attuale offerta mediatica in un qualche modo intimidatoria. A marcare la differenza di Vox, tra le altre cose, sono le “card”, set di note embeddabili in ogni articolo e associate a singole parole di testo sottolineate negli articoli. A ogni sottolineatura corrisponde infatti una “card” cliccabile, che porta a una definizione, allo scioglimento di un acronimo o a dati di contesto sulla storia che si sta leggendo.
Le “card” di Vox sull’Isis, ad esempio, sono state un grande successo e vengono aggiornate di continuo dal team di 35 persone che lavora alla testata, che sta anche spingendo affinché altri giornali online usino ed embeddino i suoi contenuti nei propri articoli. Gli utenti sono 5 volte più motivati a interagire con le “card” embeddate e il 32% dei lettori che ne ha letta una, di norma, legge l’intero set.
In passato, il ruolo di Rockey come Engagement Editor sarebbe stato visto come una funzione di semplice marketing: aiutare i giornalisti di Vox a impacchettare i loro articoli per la resa massima sui social media al fine di introdurre la testata a un’audience vasta nel modo più veloce possibile, invece di aspettare la crescita lenta del traffico da motori di ricerca. Le ragioni dell’esplosione mediatica di Vox Media, che è l’editore anche di altre testate solo online di successo come The Verge, o Racked e che dichiara di avere 150 milioni di visitatori al mese sul suo sito, sembrano essere evidenti.
Al Summit londinese, Rockey ha usato uno dei colpi maggiori di Vox in tempi recenti, un’intervista di un’ora con Barack Obama, come esempio: l’intervista non è stata resa disponibile solo in formato video, Vox, al contrario, si è preoccupata di fornirla in una varietà di pacchetti, da una citazione minima su Twitter a una serie di video condivisibili su Facebook. Rockey ha anche illustrato un estratto di due minuti dall’intervista, dove Obama parlava di politica estera. Il filmato è stato riempito di dati in forma di grafici, inseriti proprio davanti il naso del Presidente: un grafico a torta sul budget di aiuti Usa all’estero e una mappa che mostrava i paesi destinatari. Una semplicità tale da far disperare un qualsiasi corrispondente dall’estero, ma capace di rendere familiare concetti complessi nella memoria di chi legge o ascolta.
Il modello di Vox si affida fortemente all’entusiasmo dei lettori e sulla possibilità che questi condividano i contenuti del sito sui social media, un tratto umano che alcuni potrebbero considerare una premessa rischiosa su cui basare le attività di un’azienda mediatica. Ma Rockey ha dimostrato tutta la sua fiducia per il futuro della sua testata.
Articolo tradotto dall’originale inglese