Giornalismo e notorietà al centro del Convegno europeo sulla comunicazione

26 Novembre 2010 • Cultura Professionale, Etica e Qualità • by

Schweizer Journalist, Nr. 10/11

Wiebke Schoon, una ricercatrice dell’università di Amburgo, parla con entusiasmo di “svolta cosmopolita” nella ricerca sui media e sul giornalismo

Solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile: in questi giorni circa un migliaio di ricercatori sono affluiti nella città anseatica per il convegno europeo sulla Comunicazione. Partecipando a 66 tra panel e workshop i partecipanti hanno esposto per ben quattro giorni i loro progetti di ricerca al ritmo pazzesco di 12 minuti per presentazione. Un volume di circa 350 pagine in formato DIN A-4, che include gli abstract dei contributi della conferenza, dà prova sia della diversità degli approcci e dei metodi adottati dai ricercatori sia della varietà dei sistemi mediatici e delle culture giornalistiche presenti in Europa.

Peccato però che il giornalismo e i media stessi non si “europeizzino” in egual misura. Sono stati infatti ben pochi i giornalisti che, incuriositi, si sono precipitati sulle conoscenze acquisite dai ricercatori per poter imparare qualcosa dai loro studi così come dai colleghi dei paesi vicini. Ad Amburgo i ricercatori sono rimasti tra di loro, il ché rimanda l’integrazione europea ad un tempo molto lontano, perché senza comunicatori e giornalisti  che imparino reciprocamente (nonché dalla ricerca stessa!) e adeguino i propri livelli di professionalità, l’integrazione europea molto difficilmente riuscirà.

L’informazione: un bene prezioso

Per lo meno, dal punto di vista mediatico, i ricercatori della comunicazione sono sempre più “visibili”.  Ricordiamo Miriam Meckel dell’università di S. Gallo, che, di recente, nello Handelsblatt tedesco, non ha mancato di fare una bella ramanzina ai produttori dei media: “Il giornalismo deve smetterla di lamentarsi di modelli commerciali in estinzione e deve, piuttosto, mostrare in tutta consapevolezza cosa è in grado di fare”. L’esperta ha sottolineato inoltre l’incompletezza della citazione di Stewart Brand del 1984 durante un convegno sugli hacker che per anni ha infuocato il dibattito sui modelli a pagamento: “Information wants to be free, because the cost of getting it out is getting lower and lower all the time,”(L’informazione vuole essere libera perché il costo per ottenerla sta diventando sempre più basso”). E’ una cosa “da anni tristemente” nota a tutti noi, sostiene la Meckle.

Ma la dichiarazione di Brand è costituita anche da una seconda parte, citata molto di rado: “L’informazione deve costare perché, in tal modo, è di valore. La giusta informazione al posto giusto può cambiare la vita.” Una bella strigliata per tutti coloro che credono ancora che il giornalismo di qualità debba essere gratuito.

E’ degno di nota chiunque si fa notare.

Alla maggior parte dei ricercatori sembra piacere particolarmente la propria esistenza di nicchia, all’ombra della popolarità. Ancora prima che il comitato di Stoccolma palesi la propria decisione, accade regolarmente che tra i giornalisti non ci siano futuri premi Nobel. Con trucchi assurdi, invece, molti altri si fanno largo per calcare le luci della ribalta dell’attenzione pubblica.

Se i ricercatori di Tubinga, Bernhard Pörksen e Wolfgang Krischke, hanno ragione, siamo sulla strada della società del casting, in cui “immagine e io” si mescolano “in modo indissolubile”; si sta sviluppando una “cultura della continua esaltazione del sé e della messa in scena mediatica – sospinta sia dai media tradizionali che dai nuovi, soprattutto dalla televisione e dalla rete”.

Cosa ci riguarda di più se non esaminare coloro che sono attivi in prima linea nella società del casting, gli autori che guadagnano grazie a questo delirio di protagonismo e le loro vittime, smaniose di conquistare l’attenzione pubblica? Pörksen e Krischke hanno fatto proprio questo, ma, non da soli -e qui sta la cosa sensazionale –  bensì in collaborazione con 25 studenti che, in qualità di intervistatori, hanno più o meno agganciato altrettanti “vip”. Ne è stato ricavato un libro avvincente che fa luce sulla società dell’esibizionismo da tutte le prospettive immaginabili.

Tra gli intervistati vi sono anche tre persone note, di casa nell’ambito della ricerca: il filosofo dei media Norbert Bolz, l’economista sui media Georg Frank, austriaco, e lo psicologo sui media Jo Greoebl. Quest’ultimo ritiene “scandaloso” il fatto che negli ultimi dieci-quindici anni “la scienza non si sia fatta sentire con continuità e autorevolezza”. Per lo meno simpatico il fatto che non abbia affatto tentato di imputare la sua notorietà televisiva alla sua attività scientifica: “E’ un sistema autoreferenziale: è degno di nota chiunque si fa notare”. Chi si sa esprimere mediaticamente, sarà sempre invitato a parteciparvi.

Letture consigliate:

Miriam Meckel, Information muss frei sein – und teuer

Bernhard Pörksen/Wolfgang Krischke (Hrsg.) (2010): Die Casting-Gesellschaft. Die Sucht nach Aufmerksamkeit und das Tribunal der Medien, Köln: Halem Verlag

Traduzione dall’originale tedesco “Im Windschatten der Casting-Gesellschaft” a cura di Mariaelena Caiola

Foto: www.flickr.com, Rob DiCaterino photostream


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