Il Digital News Report del Reuters Institute for the Study of Journalism di quest’anno è basato su una ricerca condotta in 12 paesi e su un campione di circa 23mila persone. I risultati principali includono una forte crescita nell’uso dei social media per raggiungere le audience, un’ondata di news in mobilità, un declino del consumo di Internet da desktop e una crescita significativa della fruizione di video news online. Il report completo è disponibile qui per il download in formato Pdf, insieme ai grafici interattivi per ogni paese e tema.
In questo post mi concentrerò su quattro aspetti fondamentali che emergono dai risultati del report: la sfida al dominio della televisione, il livello di fiducia riposto dagli utenti nei confronti dei media, l’ascesa di player mediatici globali e le prospettive per il pagamento dell’informazione in rete.
La tv è messa in discussione?
Ci sono differenze sostanziali nel modo in cui le news sono consumate, trovate e distribuite nei diversi paesi. La televisione, complessivamente, rimane la prima fonte di informazione in molti contesti ma questo suo posizionamento dominante è sempre più messo in discussione dal pubblico più giovane, che sta dimostrando di avere abitudini mediatiche diverse.
La Germania, però, si scosta da questo trend e il suo dato sul numero di persone che usano la tv come fonte di notizie è rimasto sostanzialmente invariato dal 2012 e anche tra i più giovani: il 58% dei tedeschi under-35, ad esempio, guarda ancora stabilmente un notiziario a orario fisso. Anche la crescita dei social media è meno pronunciata in Germania rispetto agli altri paesi coinvolti nello studio.
La televisione è ancora molto popolare in Danimarca, invece, ma i social media sono cresciuti più velocemente qui negli ultimi 4 anni che in Germania. Nonostante l’avanzamento dei social, comunque, il numero di persone che ancora guardano la tv è rimasto sostanzialmente invariato anche qui.
Negli Usa e nel Regno Unito, invece, i segnali del declino della tv sono più accentuati. Negli Stati Uniti, in particolare, il 44% delle persone coinvolte nello studio ha dichiarato che la tv è la sua principale fonte di news – un dato in netto calo rispetto al 53% registrato nel 2013 – e la differenza è ancora più accentuata tra gli under-45 statunitensi: solo il 31% dei partecipanti in questa ultima fascia d’età ha infatti citato la tv come sua principale fonte di informazione. Erano il 42% nel 2013.
Lo scenario è simile nel Regno Unito, dove, in tutte le fasce di età, tra tutti coloro i quali hanno avuto accesso alle news nella settimana precedente, la televisione è stata citata come prima fonte nel 62% dei casi, mentre due anni fa questo dato era del 69%. Tra gli under-45, inoltre, solo il 46% degli interpellati ha citato la tv come prima fonte di informazione, mentre nel 2013 la pensava così il 56%.
Dal Digital News Report di quest’anno, complessivamente, si vede come la Francia, la Germania e il Giappone dimostrino più fedeltà ai media tradizionali e siano stati anche più lenti ad adattarsi ai trend digitali. In Francia, ad esempio, il 58% degli utenti sceglie la tv come sua prima fonte di news, solo il 29% considera Internet come tale, mentre appena e il 5% ha invece citato la carta stampata.
Anche nei paesi meno digitalizzati, dal punto di vista del consumo mediatico, permangono comunque sensibili differenze generazionali: per esempio, anche i giovani tedeschi e giapponesi – dove la tv è complessivamente ancora molto forte – preferiscono complessivamente le news online e i social media alla tv, alla radio o a un giornale di carta.
Facebook e le sue app, come Instagram o WhatsApp, emergono dal report come porte di accesso privilegiato alle news per il pubblico più giovane. Il 41% complessivo, in tutti i paesi, accede alle news via Facebook ogni settimana, un numero che è circa il doppio rispetto ai concorrenti di Mark Zuckerberg (YouTube: 18%; Twitter: 11%). Nel caso specifico di Facebook, la crescita è del 6% rispetto lo scorso anno.
Nonostante le critiche recenti nei confronti delle grandi aziende tecnologiche, secondo le opinioni del campione del Report, i social media aiutano un numero sensibile di utenti ad avere accesso a una più vasta quantità di news rispetto a quella che sarebbe garantita loro dai soli media tradizionali.
Fiducia nei media
Per quanto riguarda la fiducia riposta negli organi di informazione, le differenze nazionali sono sensibili. In Finlandia, ben il 68% degli intervistati ha detto di fidarsi dei media nel complesso, mentre sono solo il 32% a pensarla in questo modo negli Usa, il 34 in Spagna e il 35 in Italia, paesi che chiudono questa graduatoria.
Il grafico illustra il livello di fiducia generale e lo compara con quello riposto nella fonte di informazione che gli intervistati hanno citato come quella usata più di frequente. Comprensibilmente, la fiducia è più alta nel secondo caso, ma la discrepanza è prevalente in quei paesi con i media più politicamente polarizzati, come l’Italia. I paesi con i livelli di fiducia più alti, invece, sono generalmente quelli che combinano servizi pubblici indipendenti e player commerciali ben finanziati.
Ma ci sono eccezioni. Il Brasile, ad esempio, mostra un livello piuttosto alto di fiducia, ma il nostro campione è composto per lo più da persone che vivono nelle aree urbane, di conseguenza più benestanti del resto del paese. L’altro caso sorprendente è invece quello degli irlandesi, che si fidano meno dei media di quanto ci si potrebbe aspettare.
Cresce la competizione tra i player globali
Le organizzazioni mediatiche tradizionali devono anche affrontare diverse e nuove forme di competizione. Alcune di queste, nello specifico, vengono da brand nativi digitali nei propri paesi, ma in questa edizione del Digital News Report si vede chiaramente come grandi marchi globali, come l’Huffington Post, attivo ora in 14 paesi, stiano guadagnando terreno in molti contesti. Il report ha riscontrato, ad esempio, come il 10% degli interpellati in tutti i paesi abbia avuto accesso ai contenuti dell’HuffPost e il 4%, invece, a quelli di BuzzFeed, testata che ha raddoppiato la sua reach negli Usa e nel Regno Unito negli ultimi 12 mesi.
I risultati del report fanno notare il successo di altri grandi brand tradizionali come la BBC (8% di reach complessivo), la CNN (6%), il New York Times (5%), il Guardian (2%, nel contesto anglosassone) e il Mail Online (2%, sempre nei paesi dove si parla inglese).
Pagare per le notizie
La percentuale di persone disposte a pagare per le news rimane bassa, soprattutto nel Regno Unito, dove solo il 6% degli intervistati ha speso dei soldi per l’informazione nell’ultimo anno. Il dato più alto è quello finlandese, 14%. In Gran Bretagna, inoltre, il 75% ha dichiarato di non avere intenzione di pagare per il giornalismo online, qualunque sia il prezzo richiesto. Lo stesso vale per il 67% degli americani, il 63% degli australiani e il 59% degli spagnoli. Per chi potrebbe pensare di pagare in futuro, il prezzo massimo accettabile è di circa 8,50 dollari per gli americani e 4.50 dollari in Australia.
Altre forme di finanziamento, in ogni caso, non incontrano miglior fortuna, dato che ben il 47% degli americani e il 39% degli inglesi usa “abitualmente” un software per bloccare i banner pubblicitari sul proprio browser. Il recente annuncio di Apple di un ad blocker per Safari farà probabilmente crescere questi dati in futuro.
Nel report si trovano anche analisi specifiche sul native advertising nel Regno Unito e negli Stato Uniti che dimostrano come questa strategia venga vista con sospetto da parte di molte persone, soprattutto quando viene attuata insieme alle news.
Conclusioni
Anche quando i paesi analizzati mostrano livelli simili di accesso a Internet esiste ancora una diversità sostanziale nel modo in cui i cittadini accedono alle news. Guadagnare dalle news digitali è inoltre ancora una sfida complessa per gli editori. Come ha dichiarato Rasmus Kleis Nielsen, Director of Research del Risj, “la nostra ricerca mostra che la maggior parte delle persone ama e legge le notizie, ma non vuole pagare, non vuole vedere la pubblicità e non vuole che gli articoli si mischino con i contenuti sponsorizzati. Questo significa che i modelli di business sono ancora elusivi anche per quelle testate che riescono a costruire una audience”.
Nel suo saggio “Mind the Gap”, scritto per il report, James Harding, Head of News della BBC, fa notare come il gap tra chi vuole e chi non vuole pagare per le news, oltre a quello generazionale, si sta ampliando. Il suo testo si concentra sull’uguaglianza di accesso all’informazione, ma molti giornalisti ed editori concorderanno con la sua conclusione che “il futuro digitale è favoloso, ma poco equo”.
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