Schweizer Journalist, 02+03.2008
I risultati della ricerca di Lisa George, esperta di scienze economiche all’Hunter College di New York, costituiscono una sorpresa. Scopo della ricerca è stato determinare come gli effetti della concentrazione delle imprese mediatiche nelle mani di pochi influiscono sulla diversificazione dei prodotti, dei temi e delle opinioni.
Contrariamente all’idea ampiamente diffusa secondo cui l’accentramento è dannoso per la molteplicità dell’offerta giornalistica, la ricercatrice dimostra come spesso le imprese mediatiche diano una nuova impostazione alle testate da loro acquisite, offrendo contenuti freschi, rivolgendosi a nuovi target e soprattutto ponendosi in modo tale da completare con una pianificazione ragionevole la precedente offerta del gruppo. Dunque secondo la George offrono una maggiore diversificazione e non il contrario. Ne segue che una politica volta a mantenere un numero elevato di media non sempre è nell’interesse del lettore. Tuttavia, se economicamente la teoria sembra plausibile, comporta uno svantaggio. George lascia infatti irrisolta la questione del pluralismo nel caso siano in gioco gli interessi dei proprietari. Infatti, qualora sono in gioco delle ambizioni politiche – come il caso di Silvio Berlusconi – o se – come recentemente per la casa editrice tedesca Springer nella discussione sui salari minimi garantiti – la propria impresa risulta colpita nel vivo, la diversità diventa rapidamente omogeneità. A questo punto spesso le redazioni “indipendenti” si trasformano in sedi distaccate dipendenti dalla propria agenzia PR.
Fonte: Lisa George: What’s fit to print: The effect of ownership concentration on product variety in daily newspaper markets, in: Information Economics and Policy 19 (2007), 285-303.
Traduzione: Marta Haulik