Corriere del Ticino, 12.09.2008
Anche chi nel settore dei quotidiani americani si è abituato a scenari da fine del mondo, dovrà trattenere il fiato. 3,8 degli 8 miliardi di dollari che la Tribune Co. ha investito alla svolta del millennio per incorporare il Times, il Mirror e dunque il Los Angeles Times, sono andati persi.
Il New York Times, uno dei pochi quotidiani dall’altra parte dell’oceano Atlantico ad occuparsi di media e giornalismo, ha analizzato l’andamento in Borsa dei titoli delle case editrici, in passato considerati da alcuni come gli investimenti legali più redditizi dopo quelli delle case da gioco.
I grandi gruppi industriali hanno registrato una drammatica perdita di valore di mercato. Il Washington Post dall’inizio del 2008 ha visto una diminuzione del 24% il New York Times Co. del 26% e Gannett – il più grande gruppo giornalistico degli Stati Uniti – una perdita del 52%.
Per quanto riguarda molte altre case editrici quotate in borsa, a partire dagli ultimi due anni le flessioni fra il 50 e il 70% sono all’ordine del giorno. E ci sono anche casi più estremi. Ad esempio la capitalizzazione di mercato della Journal Register Company, gruppo che cura la pubblicazione del New Haven Register, nonché di centinaia di quotidiani minori, nell’agosto di quest’anno è scesa a un milione di dollari.
Ne deriva che a partire dall’inizio dell’anno scorso le testate in questione hanno perso il 99% del loro valore. Nello stesso periodo Gate House Media, un’altra casa editrice di centinaia di piccoli quotidiani locali, ha registrato una flessione di circa il 98% del suo valore in borsa e ora è ancora quotata con un valore di mercato di ventisei milioni di dollari.
Agli speculatori di borsa piacerebbe sapere se questo è il momento di comprare, in buona compagnia di certi investitori non addetti al settore che si dicono «ora o mai più», al fine di sfruttare tale opportunità.
Ma c’è anche chi come Sam Zell negli Stati Uniti e David Montgomery in Europa, sicuro di effetti sinergici e del proprio spiccato talento manageriale è già dovuto correre ai ripari a leccarsi le ferite. Motivo per cui nell’ultimo strascico di vuoto estivo preferiamo non fidarci delle «dritte» sicure e dunque né comprare né vendere.
Piuttosto, ora che le Olimpiadi sono terminate, cogliamo l’occasione per ricordare Al Neuhart.
Nel giornalismo americano della fine del XX secolo era il miglior «maratoneta» e imbattibile «vincitore » di medaglie d’oro. Per più anni e di trimestre in trimestre, ha condotto la casa editrice Gannett a nuovi successi. In un ventennio ha reso USA Today – il giornale scandalistico da lui fondato e scelto – il quotidiano statunitense a più alta tiratura in particolare per le cronache sportive di prima qualità.
Tuttavia – ottimista e gaudente – Neuhart venti anni or sono aveva già previsto la fine del mondo immaginando con quale titolazione i principali quotidiani statunitensi avrebbero riferito il fatto. Il New York Times: «Fine del mondo – I paesi del terzo mondo saranno quelli più colpiti», il Wall Street Journal: « Fine del mondo: l’indice Dow Jones scende a zero»; il Washington Post:» Fine del mondo – I circoli governativi rendono noto: La casa bianca ha ignorato i primi avvertimenti», e poi USA Today: «Siamo tutti morti! Ultimissimi risultati sportivi a pag. 6 ».
Nelle circostanze attuali lo scherzo può apparire ben più macabro rispetto ai tempi in cui lo ha pensato Neuharth.
O, più semplicemente, può contribuire ad una certa tranquillità e rilassatezza nel trattare con i soliti scenari di esodo dai nostri quotidiani, ottemperando ancora una volta al suo scopo. Anche nell’anno delle Olimpiadi 2008.
Traduzione: Mariangela Baglioni