È risaputo: il futuro del giornalismo è digitale. Una affermazione che contiene in sé diversi paradossi, il primo: sono solo i giornali cartacei che generano guadagni. Potrebbe essere questa una delle ragioni per cui, anche nei paesi di lingua tedesca, durante gli incontri degli esperti di settore si chiacchiera in vero molto di innovazione, ma la maggioranza delle case editrici fanno poi fatica a sbloccare gli investimenti che sarebbero necessari per sfruttare tutte le possibilità che si spalancano in un mondo mediatico convergente e interattivo, influenzato rapidamente dai motori di ricerca e dai social network.
All’inizio dell’anno durante una conferenza sul tema “Giornalismo e tecnica”, tenutasi all’università di Monaco di Baviera, risultati corrispondenti sono stati presentati in gran quantità, per esempio da Sonja Kretzschmar (Universität der Bundeswehr, Monaco di Baviera). Nell’ambito di una sondaggio online tra 90 dei principali caporedattori la ricercatrice ha potuto dimostrare che il giornale stampato oggi è ancora “al centro dell’attenzione” delle case editrici, ma soprattutto che nelle redazioni manca un “change management”, ovvero un gruppo che gestisca sistematicamente la transizione. Wasko Rothmann (Universität Viadrina, Frankfurt/O.) in un suo libro, dove indaga lo sviluppo editoriale dei giornali tedeschi di qualità, conferma la tendenza conosciuta come Organizational Path Dependence, ovvero l’incapacità di cambiare radicalmente, una volta intrapreso un cammino, abitudini non più orientate al futuro. L’economista aziendale ha analizzato in dettaglio le decisioni strategiche del management editoriale della Frankfurter Allgemeine Zeitung, Süddeutsche Zeitung, die Welt e Frankfurter Rundschau. Rothmann trova paradossale che ad un prodotto “che si lascia distinguere grazie alla qualità, non venga abbinata la richiesta di una propensione di spesa maggiore”. Trova anche paradossale che le case editrici “non riescano a vendere il loro prodotto online ad una utenza mirata”, ovvero “allo strato della società più intelligente e più ricco” che al contempo li commercializzerebbe presso l’economia traino del settore pubblicitario.
Anche il secondo paradosso ha il suo perchè. Markus Beiler (Universität Leipzig) teme ciò che viene da lui definito „inversione di rilevanza“. Durante il meeting di Monaco Il ricercatore ha spiegato che i giornalisti, nel tentativo di ottimizzare le scelte dei motori di ricerca, invece di fornire agli utenti informazioni, alle quali i giornalisti professionisti hanno attribuito un alto valore informativo, potrebbero affidarsi agli algoritmi e a “criteri di scelta delle search engines”. Detto in altre parole significherebbe semplicemente che i motori di ricerca si renderebbero indipendenti e deciderebbero in autonomia il “fattore di notizie” e il processo selezione delle stesse. Bel nuovo mondo, saluti da Aldous Huxley.
Ralf Spiller (Macromedia Hochschule, Colonia) e Stefan Weinacht (Westfälische Hochschule, Gelsenkirchen) sono andati sulle tracce di un terzo paradosso. Nonostante in Germania la diminuzione dei posti di lavoro in molte redazioni vada inasprendosi in maniera evidente, tra i giovani giornalisti si trova un gruppetto di coraggiosi che vedono il loro futuro in una disciplina impegnativa di intense ricerche, quella del data mining. In occasione della stessa conferenza di Monaco, i due ricercatori hanno presentato i risultati iniziali di uno studio esplorativo per il quale avevano intervistato 28 giornalisti esperti di dati. Come ci si potrebbe aspettare costoro lavorano principalmente per media sovraregionali come Stern, Spiegel, Süddeutsche Zeitung e taz e hanno un’identità di ruolo molto diversa dal giornalista “medio”. Non sono interessati né agli scoop continui né al vasto pubblico, i due terzi degli intervistati desiderano svelare le malefatte e tenere sotto controllo i potenti, mentre dagli ultimi sondaggi significativi risultava che questa funzione di controllo era ritenuta importante solo da un quarto dei normali giornalisti. Da parte dei loro colleghi a questi data journalists viene spesso concesso uno “statuto particolare/da alieno”, qualcosa che si situa tra il “procacciatore di dati e il riparatore di computer”. Sorprende al contrario l’alta percentuale di giornalisti freelance che esercitano questo impegnativo mestiere. Tra gli intervistati sono solo undici che dispongono di un contratto fisso, ben diciassette i freelance, un modo per guadagnarsi il pane difficile e costellato di privazioni.
Tuttavia i ricercatori non hanno convertito queste cifre in percentuali, altrimenti si potrebbe criticare il risultato di obiettività solo apparente. Il campione del sondaggio era infatti semplicemente troppo ristretto per esercizi artistici di calcolo e quindi anche per conclusioni su vasta scala. Almeno questo livello di onestà dovrebbe essere data per scontata tra i ricercatori. Al contrario molti analisti purtroppo sono in competizione tra di loro per ottenere visibilità e per accedere gli spazi editoriali e non si attengono a questa regola. Ragion per cui i giornalisti, quando citano i risultati di qualche sondaggio, dovrebbero per lo meno accertare le dimensioni del campione e le percentuali di effettive risposte.
Pubblicato in Schweizer Journalist Nr. 4/5 – 2013
Traduzione dall’originale tedesco “Digitale Paradoxien” a cura di Alessandra Filippi