Il Mucchio Selvaggio è senza dubbio la rivista musicale specializzata (ma non solo) italiana più influente. Le sue recensioni e gli artisti che ha contribuito a portare in Italia hanno influenzato generazioni di appassionati, rappresentando una delle più felici e longeve esperienze di giornalismo alternativo del Belpaese. Il Mucchio Selvaggio è cambiato molto negli anni: mensile, poi settimanale, poi di nuovo mensile, dal 2005 ha allargato la sua offerta, aprendosi progressivamente anche ad altri settori, attualità compresa. La sua voce è sempre stata un’alternativa ai bisbigli spesso appiattiti della cultura italiana: dal 1977, anno dell’approdo in edicola, molte delle sottoculture e delle sollecitazioni estere – a cominciare da quella punk in ambito musicale – sono filtrate in Italia grazie anche al suo lavoro culturale. Spesso provocatorio – impossibile dimenticare alcune copertine – e sempre fieramente indipendente, Il Mucchio continua a essere Selvaggio, come il titolo del film di Sam Peckinpah da cui ha preso il suo nome; i recenti cambi redazionali, e le dimissioni del direttore/fondatore Max Stefani, avevano portato la rivista a un nuovo corso, fatto di restyling grafico, riorganizzazione e prospettive digitali. I tagli ai contributi statali voluti dal governo Monti hanno messo in crisi la rivista che rischia ora la chiusura, soprattutto a causa della retroattività delle sforbiciate ai fondi: i soldi “promessi” per il 2010 e il 2011, sul passato e non sul futuro, non saranno erogati, lasciando il Mucchio – insieme a molte altre testate – sull’orlo della chiusura.
La redazione si è appellata ai suoi lettori affinché si attivino per salvarla sottoscrivendo un abbonamento, garantendo al Mucchio la liquidità necessaria a proseguire. Servono 2mila nuovi abbonati, o Il Mucchio Selvaggio cesserà le pubblicazioni. La vicenda del magazine musicale è emblematica e rappresenta il modello di altre storie editoriali “di nicchia” che la crisi e i tagli rischiano di spazzare via. Sono storie di vero giornalismo e cultura che non si possono e non devono essere accumulate alle purtroppo frequenti storie di testate, spesso politiche, che esistono con la sola finalità di far cassa sulle erogazioni statali.
Di tutto questo abbiamo parlato con Federico Guglielmi, responsabile delle pagine musicali de Il Mucchio Selvaggio nonché uno dei più stimati critici del nostro paese.
Il Mucchio Selvaggio è una testata edita da una cooperativa, e i tagli voluti dal governo sono andati a colpire anche questa categoria. Il settore è così ampio da giustificare i tagli?
“A quanto pare, il Governo la pensa così… e comunque, con questi chiari di luna, non credo sia sbagliato “sforbiciare” un po’ qua e un po’ là. Insomma, tutto fa brodo, anche se alla fine, rispetto al bilancio dello Stato, si tratta di spiccioli”.
I tagli toccano le testate di partito, ma anche giornali come il Mucchio che svolgono un chiaro lavoro culturale. L’impressione è che l’opinione pubblica non sia granché consapevole di questa faccia della medaglia.
“L’opinione pubblica è obnubilata da qualche decennio di politica demagogica e/o criminale, come al solito all’insegna di giochi delle parti e populismo a-go-go. Da più parti sentiamo ripetere “perché lo Stato deve finanziare i giornali?”, discorso che viene spesso allargato alla cultura in genere, ma credo che la risposta sia ovvia: perché uno Stato ha il dovere di sostenere l’informazione indipendente e le idee, fondamentali al dibattito democratico e alla propaganda di culture alternative a quella dominante della tv-spazzatura e della stampa superficiale, se non frivola. Specie quando, com’è a lungo stato qui da noi, tutto o quasi era di fatto nelle mani di un solo padrone, incidentalmente anche capo del Governo. Il problema, a mio avviso, è trovare un modo equo per destinare queste risorse a chi davvero le merita perché – appunto – “fa cultura”, togliendole a giornali e riviste che in realtà non esistono. E sarebbe anche bello se si organizzasse un valido sistema per una sana suddivisione degli introiti pubblicitari, per esempio imponendo che una quota debba per forza essere destinata alla piccola/media editoria – quella vera, va da sé – e non ai soliti grandi gruppi che fanno il bello e il cattivo tempo. Anche perché certe riviste, al di là del discorso culturale a uso e consumo del pubblico, creano lavoro e professionalità a più livelli… tutte cose destinate a finire o almeno a essere notevolmente ridimensionate, visto che – per esempio – assumere giornalisti o investire in modo serio diventerà un’utopia”.
Credi che in genere le sovvenzioni statali all’editoria siano una necessità inevitabile o una garanzia imprescindibile di democrazia?
“Per quanto riguarda i giornali di partito e assimilati credo senz’altro di sì, non vedo come potrei pensarla diversamente. Specie in un Paese come il nostro, dove la coscienza politica e sociale non è esattamente radicata come sarebbe il caso”.
Nel caso del Mucchio a quanto ammontano (anche in proporzione) i contributi che la manovra ha cancellato?
“Al 15% del totale, con previsione di passare al 50% l’anno prossimo. Il problema grave, però, è che questo 15% è relativo al 2010, così come il 50% è relativo al 2011: quindi si parla di rimborsi decurtati sul passato, su soldi già spesi e “promessi “nella loro interezza. Una delle cose più irritanti, di questa faccenda, è che la gente comune crede che questi rimborsi vengano elargiti a mo’ di regalo, mentre per potervi accedere è indispensabile sostenere una serie non indifferente di oneri: dipendenti assunti, contabilità complessa, revisori dei conti… Per capirci: le cooperative editoriali hanno impostato il loro lavoro per il 2010 e il 2011 contando su un sostegno dello Stato che, all’improvviso, è venuto in parte a mancare, creando in primis carenza di liquidità e in seconda battuta maggiori difficoltà a ottenere credito dalle banche, visto che i contributi futuri saranno ridotti in misura ancor più consistente per essere poi eliminati. Il paradosso, almeno per una rivista assolutamente sana come il Mucchio, che è nelle edicole dal 1977 e ha iniziato a percepire contributi solo vent’anni dopo, è che la sopravvivenza non sarebbe affatto in pericolo se i tagli avessero riguardato il futuro e non il passato. Se non fosse stato decurtato il 15% non ci sarebbero state difficoltà immediate, e sapendo di poter contare integralmente sui contributi dell’anno prossimo – quelli, scusa la pedanteria, relativi alle spese del 2011 – ci sarebbe stato un anno per riorganizzare il tutto, riducendo drasticamente le spese obbligatorie per l’accesso ai contributi. È stato il taglio retroattivo a creare il caos”.
Tradizionalmente avete sempre puntato sugli abbonamenti e anche in questo passaggio difficile avete chiesto ai vostri lettori di sottoscrivere un abbonamento. Questo va in direzione contraria rispetto alle normali abitudini italiane. Per il Mucchio e in genere le riviste “di nicchia” invece sembra essere il contrario.
“Sono fermamente convinto che, nel prossimo futuro, le riviste specializzate si venderanno solo tramite abbonamento, sia cartaceo che in pdf o altro formato per tablet… con, al limite, una piccola distribuzione mirata nelle edicole delle città principali. Uno dei più grandi punti di forza del Mucchio, assieme alla qualità dei contenuti, è il fortissimo legame con i lettori, con conseguente fidelizzazione degli stessi: da anni gli abbonamenti costituiscono un buon 20% delle nostre vendite. In questi primi giorni la risposta al nostro appello è stata commovente, sia in termini di abbonamenti che di acquisto di arretrati: l’obiettivo è ancora lontano, dato che il destino del Mucchio dovrà essere deciso entro fine gennaio, ma siamo moderatamente ottimisti”.
Quali sono i vostri piani per l’imminente futuro?
“Ci auguriamo che la nostra campagna di abbonamenti e vendita arretrati porti nelle casse della società quei centomila euro che occorrono per far fronte all’emergenza, in modo da poter continuare con il programma avviato con il restyling grafico del numero di gennaio (già in edicola): applicazioni per smartphone e tablet, ristrutturazione e potenziamento del sito”.
Per saperne di più: http://www.ilmucchio.it/.
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