Sono passati esattamente 40 anni da quando, negli Stati Uniti, nacque il primo ombudsman della stampa. Il compito principale di questa figura professionale è quello di reagire alle lamentele dei lettori e di mediare tra chi reclama e la redazione. Spesso gli ombudsman mettono anche a tema il funzionamento di una redazione, illustrano al pubblico come sono prese determinate decisioni editoriali e ne chiariscono le problematiche – svolgendo il ruolo di «coscienza pubblica» del giornalismo. Non da ultimo, essi hanno un influsso sui giornalisti operando un controllo sul loro lavoro e ponendosi frequentemente come un punto di riferimento in redazione, una sorta di «coach» al quale attingere in caso di problemi.
Benché questa figura professionale sia ormai quarantenne e nonostante abbia raccolto vari consensi, il suo potenziale è solo parzialmente sfruttato e la sua diffusione rimane tuttora limitata. Pur non essendo numerosi nemmeno negli Stati Uniti, Oltreoceano essi hanno un peso: i circa 35 ombudsman attivi nella stampa americana lavorano infatti per quotidiani con una grande tiratura – come ad esempio USA Today, il New York Times, il Washington Post o il Los Angeles Times. Si stima quindi che circa il 38% dei lettori nord americani abbiamo il “loro” ombudsman.
Numerosi studi svolti negli Stati Uniti mostrano come questo strumento di auto-regolazione giornalistica, sotto forma di una persona di contatto tra il giornale e la propria audience, può avere effetti positivi sia sulla credibilità sia sulla qualità del prodotto. Fino ad ora mancavano dati empirici riguardanti la situazione in altre zone: quando si menzionavano gli ombudsman attivi in altri paesi spesso si liquidava la questione dicendo che ne esistono alcune manciate anche in Europa e in Sud America. Ma si tratta davvero di una figura tanto marginale al di fuori degli Stati Uniti? Quanto è evoluta alle nostre latitudini? In cosa differisce nelle diverse culture giornalistiche? Sulla base di 50 questionari compilati, divisi in tre grandi aree di analisi*, è stato possibile studiare comparativamente questa figura evidenziando alcune significative differenze.
L’ombudsman europeo – una carica di fine carriera
L’ombudsman della sfera europea è sensibilmente più anziano, ha una decina di anni in più degli altri. Questo è indicativo del punto della carriera in cui si trova: con un’età media di 66 anni, si tratta dell’ultima fase della vita professionale di un giornalista – se non addirittura di un’occupazione che si porta avanti dopo il pensionamento. È infatti comune il caso di ex-direttori o ex-giornalisti che dopo il pensionamento si prendono carico, part-time, delle funzioni di ombudsman per le testate per le quali lavoravano. Guardando i dati più attentamente, coloro che sono nati prima del 1941 (e che hanno quindi più di 65 anni, in genere l’età del pensionamento) sono ben il 57% degli intervistati. Anche nell’area anglosassone, in passato, gli ombudsman erano più anziani: secondo il ricercatore americano Neil Nemeth si trattava di giornalisti di lunga data che «non avevano più il potenziale per avanzare nel top management del giornale e che vedevano l’incarico come l’ultimo passo prima del pensionamento». I paesi anglosassoni sembrano ora muoversi verso una nuova fase in cui persone sempre più giovani assumono questa funzione, trasformando la posizione di ombudsman in una tappa dell’avanzamento professionale invece dell’ultimo stop prima del ritiro – spesso seguita da una carriera in ambito accademico. Ad esempio, molti dei mediatori del Washington Post – il prestigioso quotidiano statunitense che fu uno dei primi ad impiegare un ombudsman – sono diventati professori: Ben Bagdikian, Joann Byrd e Geneva Overholser hanno infatti fatto fruttare la propria esperienza di ombudsman ottenendo prestigiosi incarichi accademici.
Poche donne e impiego part-time
Un’altra sostanziale differenza demografica riguarda la percentuale di donne attive nella professione: nella sfera anglosassone le troviamo quasi nel 40% dei casi, mentre in quelle europea e latina la situazione è molto arretrata, con una percentuale che non arriva nemmeno al 6%. Dal punto di vista delle pari opportunità nella professione, la situazione è uguale a quella riscontrata dai professori Ettema e Glasser negli Stati Uniti ben 20 anni fa.
Anche per ciò che concerne la tipologia di lavoro emergono differenze fra le tre sfere analizzate: circa l’80% degli anglosassoni svolge la professione a tempo pieno, mentre gli europei e i latini mostrano una situazione capovolta con più del 70% degli ombudsman che svolge la funzione solo a tempo parziale. Questi dati sono indice di una fase di maturazione più avanzata dei paesi anglosassoni, dove il ruolo è meglio definito ed ha assunto maggiore importanza rispetto alle altre sfere analizzate.
I canali di comunicazione e l’importanza delle nuove tecnologie
In generale emerge un dato positivo: ben 9 ombudsman su 10 si esprimono pubblicamente attraverso la stesura di una rubrica a scadenza regolare – una piattaforma comunicativa particolarmente importante, poiché permette al lettore di capire cosa succede in redazione e gli fornisce le nozioni necessarie a capire i meccanismi del giornalismo. L’eccezione riguarda la sfera europea, dove la percentuale degli ombudsman che non scrive una rubrica supera il 20%, con la conseguenza che essi risultano meno visibili alla propria audience e che svolgono solo in parte la propria funzione di ‘coscienza pubblica’ del giornalismo.
In generale, tutti hanno sottolineato come le nuove tecnologie abbiano migliorato la propria comunicazione. Nell’interazione con i lettori l’e-mail ha surclassato ogni altro canale: lo usa ben il 98.4% degli intervistati. Da un’analisi più dettagliata dell’uso delle e-mail emergono due risultati principali: innanzi tutto, con una media di 50 e-mail ricevute al giorno, i paesi anglosassoni superano ampiamente le altre zone – in centro e Nord Europa ci assestiamo intorno alle 14 e-mail al giorno, nell’area latina a 18. Il secondo dato interessante emerge dal confronto con una ricerca precedente che mostra quanto, nel corso dell’ultimo decennio, l’uso delle e-mail ha preso piede: secondo un sondaggio svolto da Elissa Paprino, solo 10 anni fa ben la metà degli intervistati riceveva meno di 5 e-mail al giorno e solo il 10.7% ne riceveva più di 10.
L’analisi individua inoltre alcuni canali di comunicazione meglio sfruttati nei paesi anglosassoni: ad esempio sono molto più usati gli incontri con gruppi della comunità, la partecipazione alle conferenze di redazione o la stesura di rapporti di attività, come anche un uso sempre più frequente di blog e chat per interagire con i lettori.
In conclusione, i dati suggeriscono che gli anglosassoni si trovano in una fase di maturazione più avanzata dovuta presumibilmente ad una più lunga tradizione (sia nella professione di ombudsman, sia più in generale nell’uso di tutti i meccanismi di auto-critica giornalistica, i cosiddetti media watchdog), come ad una maggiore propensione all’uso delle nuove tecnologie. Gli anglosassoni hanno assunto da tempo il ruolo di coscienza pubblica del giornalismo, mentre alle nostre latitudini l’ombudsman spesso agisce ancora da semplice mediatore – nonostante ovunque sia stata riscontrata una spiccata propensione a voler alzare gli standard giornalistici e a formare un’audience più critica, trasformando così l’ombudsman in una sorta di educatore per quei lettori e quei giornalisti che troppo spesso dimenticano di offrire, o di riconoscere, prodotti di qualità.
* Sfere di analisi:
- «sfera latina»: Europa mediterranea (Francia, Spagna, Portogallo) e centro-sud America
- «sfera europea»: Danimarca, Germania, Norvegia, Svezia, Svizzera)
- «sfera anglosassone»: U.K., Irlanda, Canada
Bibliografia consigliata:
- ETTEMA, JAMES E GLASSER, THEODORE (1987). Public Accountability or Public Relations? Newspaper Ombudsmen Define Their Role, Journalism Quarterly, Vol. 64, No. 1: 3-12
- NEMETH, NEIL (2003). News ombudsmen in North America: assessing an experiment in social responsibility, Westport, Praeger.
- Website ORGANIZATION OF NEWS OMSBUDSMEN http://www.newsombudsmen.org
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Una versione simile è apparsa sulla rivista Problemi dell’informazione, numero 1, marzo 2007, con il titolo L’ombudsman ha quarant’anni. Un’indagine sugli ombudsmen nel mondo