Corriere del Ticino, 04.11.2011
Si sente dire spesso oggi che c’è un imbarbarimento generale della cultura, le pagine culturali dei quotidiani non sono più quelle di una volta, somigliano invece sempre di più a riviste di intrattenimento e spettacolo. L’avvento di Internet, le notizie a consumo veloce, la lettura mordi e fuggi, fanno pensare con imbarazzo a quella che un tempo era la pagina culturale italiana per eccellenza, la «terza pagina» pensata per un pubblico colto e ristretto. Negli ultimi anni la crisi economica ha fatto sì che molte redazioni giornalisti che in Svizzera come in tutta Europa dovessero restringere lo spazio dedicato alla cultura sui giornali così come tagliare il numero di giornalisti impiegati nelle redazioni. In questo modo, pian piano e in punta di piedi, sono scomparsi tutti gli speciali e gli inserti di approfondimento dedicati alla letteratura, al teatro, al cinema, all’arte. E in silenzio, lentamente, è andata sempre più scomparendo anche la figura del critico. Guardando al passato è interessante peraltro notare come quello dell’imbarbarimento della cultura e della decadenza dell’informazione culturale siano temi ricorrenti nella storia del giornalismo. Esaminando le analisi e le riflessioni sulla terza pagina italiana ma anche tedesca durante tutto il Novecento, si nota una sorta di ciclicità e di ricorrenza nel vedere una crisi della pagina culturale. Periodicamente infatti si legge della «morte», «agonia», «cattiva salute», «rinascita», «sopravvivenza» della pagina culturale. C’erano quotidiani che titolavano «Addio Terza» già negli anni Cinquanta.
Tornando ai giorni nostri ed alla Svizzera, il giornalista Ruedi Widmer sulla Neue Zürcher Zeitung, qualche tempo fa, si chiedeva se la tradizionale pagina culturale non fosse appunto in decadenza, mentre il professore e giornalista tedesco Michael Haller accusava il Feuilleton (termine attribuito alle pagine culturali dei quotidiani tedeschi) di essere diventato un «tuttologo», una sezione che parla indistintamente di tutto senza però avere profonda conoscenza di nulla. È indubbio che, come il resto della stampa, anche il giornalismo culturale negli ultimi anni abbia vissuto grandi cambiamenti ed evoluzioni. È indubbio anche che esso, a fronte dei nuovi stimoli tecnologici e sociali, sia in cerca di una nuova identità.
Ma, ci assicura una recente monografia dedicata all’argomento a cura di ProHelvetia, in Svizzera il giornalismo culturale non è mai stato così vivace e multimediale. L’importanza ed il ruolo del Feuilleton quale fiore all’occhiello di un quotidiano, strumento di comprensione dei processi e delle dinamiche sociali, luogo di dibattito, di approfondimento e di conoscenza, qui continuano ad essere valorizzati e apprezzati. Sia da chi il giornale lo fa, sia da chi lo legge. E in questo ha merito anche la rete vista come una preziosa risorsa per raggiungere e soddisfare un nuovo tipo di pubblico e le sue esigenze attraverso blog che rilanciano e alimentano il discorso culturale oltre ad alcuni siti di nicchia che si occupano esclusivamente di cultura come Perlentaucher.de.
Questi siti peraltro utilizzano forme e strumenti di comunicazione differenti dalla carta stampata e dunque sono complementari e non sostitutivi di un’offerta cartacea di qualità già esistente, che gode di buona salute e nella quale di recente si è tornati a investire risorse. Anche perché a differenza di quello che spesso si crede, ovvero che sono lo sport e il gossip a far vendere i giornali, da uno studio sui lettori condotto da Univox, società specializzata in ricerche sociali e di mercato, emerge che il 60% degli intervistati ha una forte preferenza per le pagine culturali dei quotidiani, più della politica e delle notizie dall’estero.
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