Nel vortice del populismo dei media
Uno sguardo critico sulla cultura televisiva del servizio pubblico
Le televisioni pubbliche continuano a essere minacciate dalla perdita di profitti. Si sviluppano in sovradimensionate macchine di intrattenimento. La radiotelevisione pubblica rischia di essere un modello sorpassato? Sicuramente non in Svizzera, dove la SRG si impone con una quota di mercato del 32 percento.
La televisione svizzera è circondata da importanti concorrenti stranieri, ma riesce ad operare con sorprendente successo nella propria nicchia di mercato. Se si guarda ai paesi confinanti, invece, i grossi enti come la ARD, la BBC e la RAI diventano sempre più spesso vittime di una dinamica che gli economi definiscono «tirannia delle piccole decisioni»: i milioni di telespettatori, con le proprie quotidiane scelte fatte attraverso il telecomando, attirano programmi che hanno sempre meno a che vedere con il profilo del servizio pubblico. I medesimi programmi potrebbero essere trasmessi dalle emittenti private alla metà dei costi. E la minoranza di telespettatori che in cambio dei contributi versati ha aspettative più elevate rimane a mani vuote, per lo meno negli orari di punta di trasmissione delle grandi reti.
Una somma di piccole decisioni
Ciò che si è palesemente sviluppato in una tendenza a medio e lungo termine è il risultato di un’infinitesimale numero di piccole decisioni individuali, che potrebbe causare il cambiamento dell’orientamento di queste grandi e potenti aziende: per raggiungere buoni indici di ascolto i format di informazione consolidati, ma anche programmi culturali come «Sternstunde», vengono spostati in fasce orarie secondarie, i talkshow sostituiscono i programmi di approfondimento e in ogni notiziario si parla sempre più di incidenti, catastrofi, sesso, criminalità e cronaca sportiva. Si sceglie ciò che fa audience, insomma.
Sembra quindi che il servizio pubblico non possa sottrarsi alle regole del mercato e della domanda. Questi stimoli economici trasformano i servizi pubblici RTV in macchine dell’intrattenimento sovradimensionate. La ricetta è semplice: più quiz e meno spiegazioni per la piccola nicchia di chi è ancora affamato di cultura. In questo modo si accontenta la maggior parte dei contribuenti.
Al centro degli scandali
Ultimamente le reti pubbliche sono passate da una crisi all’altra: ad esempio la ARD è stata coinvolta in scandali di corruzione e accuse di pubblicità occulta. Il caso più grave è stato quello della soap opera “Marienhof”, durata 10 anni, fino a quando un reporter investigativo ha scoperto l’inghippo. La ARD si è inoltre assicurata l’esclusiva della vicenda di doping del ciclista Jan Ullrich sottraendo i soldi dei contribuenti per sponsorizzare il ciclista. Imbarazzante anche il tira e molla con Günther Jauch, scelto come successore per il Christiansen-Talkshow, come anche il modo in cui è stata trattata la vicenda dei rapporti del giornalista sportivo Hagen Bossdorf con la Stasi, così come l’invito, poi revocato, al russo Kasparow, politico in opposizione all’attuale regime. E questo per citare solo alcuni casi.
Anche la veterana BBC deve combattere con scandali ed episodi scomodi. Particolarmente drammatico: il suicidio dello scienziato David Kelly che, a causa dei reportage della BBC sull’Iraq, finì invischiato in vicende politiche. Il direttore generale Greg Dyke dovette dimettersi per evitare ulteriori danni alla sua emittente. In seguito la BBC diede spazio ad un impostore che, spacciandosi per il portavoce ufficiale della compagnia Dow Chemical nel 20. anniversario delle vittime della catastrofe di Biophal in India, promise risarcimenti per cifre miliardarie. Quest’uomo non era conosciuto né dalla compagnia né tantomeno dalla BBC: eppure la rete trasmise la sua falsa promessa. Diversamente da quanto ci si aspetterebbe dalle emittenti pubbliche, la BBC mantenne il segreto anche sul “Balen-Report” – un’inchiesta che analizzava la cronaca dell’emittente sul vicino oriente perché la considerava unilaterale.
In Svizzera i vertici della tv sono più propensi al dialogo e più aperti che altrove. Questo perché con diverse regioni linguistiche tutto è più frazionato, i personaggi TV tendono ad essere più saldi ed avere un maggiore senso civico. Pressata dalla forte concorrenza estera, la “swissness” viene manifestamente accentuata in ogni occasione, persino nelle previsioni del tempo.
Situazione italiana
La RAI, da sempre nodo conteso dei partiti politici italiani, soprattutto durante il governo Berlusconi è stata spesso oggetto di scandali. Berlusconi fece un uso sfacciato della propria influenza. Ma anche il nuovo governo, fino ad ora, non ha aiutato la rete televisiva ad acquisire una maggiore indipendenza politica, al contrario: i conflitti ai vertici della rete tv sono così aspri che la parola “ingovernabilità” la fa da padrone. Inoltre la RAI continua ad andare in rosso e a perdere ascolti rispetto alle reti Mediaset di Berlusconi.
Anche il canale austriaco ORF è finito nei guai, ad esempio quando il capo del personale trasformò 1000 collaboratori indipendenti in impiegati fissi, mentre altrove avviene esattamente il contrario. Non da ultimo il clamoroso flop della soap “Mitten im Achten”, che dopo appena qualche puntata ha dovuto essere tolta dal palinsesto dai vertici dell’azienda.
Ovunque lo stesso dramma
Ovunque la televisione pubblica giochi un ruolo di rilievo si profila uno scenario simile, che vede il populismo troneggiare nei media. Anche le emittenti di servizio pubblico dipendono dalla tirannia e dal gusto della massa. Invece di mettere a disposizione un bene pubblico e riempire le nicchie di mercato che non possono essere soddisfatte dalle emittenti private, i programmi del servizio pubblico si mettono in concorrenza con i privati. E investono i soldi dei contribuenti per aggiudicarsi diritti sportivi o star tv invece di proporre programmi di informazione, intrattenimento, cultura e innovazione. E nemmeno si investe in esperienze televisive innovative, che tipicamente trovano poco spazio nelle emittenti private.
Offerte strepitose per i diritti sportivi
Le cifre a disposizione dei giganti come la ARD e il ZDF sono astronomiche. Esse sono usate sistematicamente per impedire l’accesso al mercato alle reti private laddove ci sono prospettive favorevoli. In compenso le reti pubbliche hanno investito pochissimo dove in realtà avrebbero dovuto essere più forti: reti di informazione come N-TV o N-24 – fatta eccezione per Euronews – sono in mano a privati e la televisione culturale viene lasciata alle Università. E il coordinamento internazionale di programmi culturali come Arte o 3sat pare essere così complicata che non si osa impegnare altre risorse in progetti europei più grandi. Candidamente gli stessi vertici delle emittenti pubbliche assicurano che attualmente, in tutti gli ambiti strategici, la parola d’ordine è risparmiare. I Richiami di Cassandra ci sono, ma le grandi compagnie fanno orecchie da mercante. L’ex corrispondente cinese della ARD Jürgen Bertram, facendo un punto della situazione molto lucido, ha dichiarato “la fine della televisione culturale”. Al suo ritorno dall’Oriente non riconosceva più la sua rete.
“SOS ORF”
Anche in Austria c’è fermento. La piattaforma civica “SOS ORF” lo scorso anno, con successo, ha raccolto più di 60.000 mila firme e ha presentato una raccolta di 57 autori di diversa estrazione politica e sociale che hanno trattato il tema del futuro della radiotelevisione pubblicfa. Il titolo dell’opera – “L’incarico” – mette in guardia su ciò che può andare perso anche alla ORF.
Mancano inoltre vere e proprie piattaforme dove si informi in modo critico dell’attività dei media o se ne possa discutere. In compenso le reti fanno sempre più autopromozione: i canali di informazione tedesca sono diventati un eldorado per programmi con pubblicità occulta. Si parla talmente bene della propria azienda che sembra che gli uffici stampa di ARD e ZDF siano direttamente responsabili dei notiziari televisivi. Il che è sufficientemente imbarazzante per aziende per le quali concetti come distanza, obiettività e qualità dovrebbero essere i valori fondanti della loro esistenza.
Grasso e lento
Molti indizi suggeriscono che il servizio pubblico soffra perché gli enti radiotelevisivi sono diventati grassi e lenti, rischiando così di soffocare sotto una montagna di burocrazia. Questa situazione è particolarmente evidente presso ARD. “La libertà radiotelevisiva si può anche soffocare nel feltro” osservava anni fa il ricercatore Harry Pross, un tempo direttore di Radio Bremen.
Il noto esperto Kurt Biedenkopf, negli anni novanta fece notare come gli esponenti delle reti pubbliche tendevano a cartellizzarsi al di là dei confini di partito. Chi si spalleggia a vicenda diventa immune a qualsiasi critica e controllo. Il problema, dunque, non sta nemmeno nella politicizzazione.
Un modello di finanziamento anacronistico
Anche il modello di finanziamento del servizio pubblico non si adatta più ai tempi: in Germania ha gonfiato l’apparato del servizio pubblico in modo gigantesco. Ciò che C. Northcote Parkinson descrisse nel suo bestseller sull’ammiragliato britannico, un centinaio di anni dopo si è avverato come frutto del federalismo culturale e, recentemente, a causa della mancanza di istanze di controllo del settore radiotelevisivo. Anche per quanto concerne le finanze in Svizzera abbiamo una situazione particolare: la tassa pro capite è addirittura più elevata che in Germania. Ma gli introiti totali della SRG, in confronto a ARD e ZDF, risultano modesti a causa dei soli otto milioni di abitanti, anziché gli ottanta milioni di potenziali contribuenti germanici. A questo occorre sommare il pluralismo linguistico, che impone di proporre programmi in tre diverse lingue.
Considerato dal lato economico, il servizio radiotelevisivo pubblico è un caro errore di costruzione. Eppure per molti resta ancora insostituibile. Nei grandi paesi confinanti si compra la propria sopravvivenza adattandosi alle reti private piuttosto che sfidarle con valide alternative. Il servizio pubblico svizzero ha più possibilità di sopravvivere senza rinunciare alla propria identità. Ma anche in Svizzera il mercato, cioè la domanda della massa, spinge i progetti ambiziosi all’angolo.
Programmi alternativi come punto cruciale
Può sembrare un paradosso: proprio quelle istituzioni che in quanto servizio pubblico dovrebbero contrapporsi al mercato sembrano soccombere alle forze dello stesso. Chi in ciò vede del marcio sognando il ritorno “dei bei vecchi tempi” del monopolio pubblico, dovrebbe anche ammettere che così facendo toglie la parola ai cittadini partecipi e responsabili. Proprio per questo il compito del servizio pubblico dovrebbe essere quello di incrementare la libertà di scelta. Proposte di programmi alternativi, non adattamento ai privati, sono e restano la ragion d’essere del servizio pubblico.