La stretta sui media in Turchia

20 Gennaio 2012 • Libertà di stampa • by

97. Questo secondo il sindacato della categoria il numero di giornalisti, professionisti, editori e operatori dell’informazione attualmente in carcere in Turchia per un numero complessivo che supera quello dei detenuti cinesi. Ankara, però, nega le accuse di censura: fatto salvi 8 casi, scrive il New York Times, a detta delle fonti governative le persone arrestate non sarebbero in prigione a causa della loro professione. Ma il numero è enorme e preoccupante e se a questo dato si aggiunge quello dei siti internet, circa diecimila, bloccati dall’agenzia di monitoraggio della Rete, le tinte dello scenario turco si fanno ancora più fosche: fino a settembre YouTube non era raggiungibile a causa di alcuni video che insultavano Mustafa Kemal Ataturk. Con circa novemila segnalazioni, il paese è uno di quello su cui maggiormente si è posato l’occhio della Corte europea per i diritti dell’uomo e la libertà della stampa. Il premio Nobel Pamuk, scrittore e intellettuale turco conosciuto e letto in tutto il mondo, è stato multato per circa 3mila dollari per aver accusato la Turchia, sulle pagine di un giornale svizzero, di essere responsabile del genocidio armeno e della morte di trentamila curdi.

Ma il segnale più grave della stretta nei confronti dei media ad opera dal governo Erdogan riguarda il processo che vede coinvolti 13 giornalisti, tutti accusati di far parte di Ergenekon, un gruppo terrorista che complotterebbe contro il governo in carica.

Tra di loro si trovano anche i nomi di Ahmet Sik e Nedim Sener: il primo, arrestato lo scorso marzo, è un cronista che da oltre vent’anni si occupa di scandali e poteri deviati e stava lavorando al volume “L’esercito dell’imam incentrato sulle infiltrazioni all’interno delle forze dell’ordine di un gruppo islamista vicino all’imam Fethullah Gülen. Il libro è stato sequestrato venti giorni prima che per Sik scattassero le manette. Insieme a lui e ad altri 11 giornalisti è finito dietro le sbarre anche Nedim Sener, firma della rivista Posta e vincitore nel 2010 del premio World Press Freedom Hero per il suo lavoro di investigazione sulla morte sospetta di Hrant Dink, un giornalista assassinato a Instabul nel 2007. Sener, imprigionato nel marzo dello scorso anno, stava lavorando a sua volta su Ergenekon quando è stato accusato di far parte della medesima associazione, pronta a un colpo di stato contro Erdogan.

I legali di Sener sono convinti che la sua detenzione dipenda dalle accuse rivolte al governo dal giornalista per non aver difeso a sufficienza Dink, di origini armene, e di non aver fatto abbastanza per evitarne l’uccisione. Sener è rimasto in carcere per oltre 7 mesi senza un’accusa ufficiale e ora rischia fino a quindici anni di carcere. Il processo contro Sik e Senser è tuttora in corso, ma non è l’unico procedimento che vede coinvolta l’informazione in Turchia: a fine dicembre altri 38 giornalisti sono stati arrestati con l’accusa di far parte del Pkk. Ma anche in questo caso, secondo la difesa, il vero movente delle operazioni di polizia riguarderebbe il supporto dato dagli arrestati ai diritti dei curdi, minoranza a lungo oppressa sul Bosforo. La detenzione, come nel caso di Sener, può scattare anche sulla base di semplici indizi: la ragion di Stato – la Turchia ha subito ben 4 colpi di stato nella sua storia – e la sempreverde minaccia curda sono argomenti sufficientemente forti per “giustificare” gli arresti agli occhi dell’opinione pubblica.

La stretta sui media in Turchia mette in discussione il ruolo, assegnato al paese dagli Usa e dall’Europa, di modello per le democrazie islamiche. A detta di molti osservatori, da quando il processo di avvicinamento all’Ue si è allentato, anche la qualità della democrazia turca ha smesso di migliorare: il rischio è che negli intrighi dei poteri deviati rimanga incastrata anche la libertà di stampa. Il libro di Amhet Sik è finito in Rete ed è stato scaricato più di 20mila volte prima che l’autore venisse arrestato, ma in Turchia sembra essersi messo in moto un meccanismo sistematico di imbavagliamento delle voci scomode, macchiato da giochi di potere indecifrabili. Lo scenario, unito al recente filtraggio di Internet, si fa fosco. “Benvenuti a teatro” ha dichiarato Sik, entrando in aula.

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