Il Corriere del Ticino, 13.11.2006
Negli Stati Uniti, i testi narrativi sono fonte di riscoperta del piacere della lettura per utenti internet e lettori di giornale. Un modello anche per l’Europa?
Che rabbia! I giornalisti investono ore, persino giorni, in un articolo e sempre meno lettori degnano il loro lavoro di uno sguardo. Non c’è da stupirsi, affermano i ricercatori e i giornalisti americani e tedeschi che si sono incontrati il mese scorso a Lipsia, al Campus dei Media di Villa Ida: il problema è che si racconta troppo poco. L’obiettivo di questi ricercatori è quello di imprimere al giornalismo narrativo in Europa un nuovo slancio, così come da tempo è successo negli Stati Uniti.
Laggiù la crisi ha avuto inizio con anticipo rispetto all’Europa: il sempre maggior calo nella tiratura e le nuove generazioni che non leggono i quotidiani hanno spinto giornalisti ed editori a prestare più attenzione al lettore. Tra le vie percorse c’è quella dal giornalismo narrativo. I giornalisti che si adattano a questo stile uniscono il lavoro di cronaca alle tecniche del romanzo al fine di raccontare in modo avvincente le notizie quotidiane e di attualità.
Negli anni sessanta, i cosiddetti «Nuovi Giornalisti» come Tom Wolfe, Norman Mailer e Hunter S. Thompson portarono questo genere alla sua prima fioritura. Negli ultimi cinque anni è stato rilanciato: le Università della California-Irvine e dell’Oregon, così come la Fondazione Nieman dell’Università di Harvard, propongono corsi pratici per raccontare fatti di attualità sotto forma di avvincenti storie. Il giornalista, e da lungo tempo professore di giornalismo, Mark Kramer partecipa attivamente alla realizzazione di questi congressi. A Lipsia ha invitato i giornalisti a stringere «un patto di fiducia» con i loro lettori: attinenza ai fatti, evitando di costruire immagini al solo scopo di drammatizzare una notizia.
Un racconto può essere breve, veloce, ricercato e illuminante, ha ribattuto Jacqui Banaszyinski alle argomentazioni di editori e direttori che temono invece il contrario. Ad esempio una notiziola tratta da un rapporto di polizia fornì ad una giornalista– e professoressa della Scuola di giornalismo del Missouri –lo spunto per un racconto. L’appunto diceva che una bambina di 11 anni, dopo un incidente, era corsa a chiedere aiuto in una fattoria molto distante. Dopo due ore di ricerche, alla giornalista fu possibile scrivere la storia di una bambina molto timida alla quale, in quella fredda notte, si strinse il cuore al pensiero della madre e del fratellino feriti e bloccati in macchina.
Ciò che accade ai singoli individui vale la pena di essere raccontato soprattutto se serve come immagine di verità più ampie, afferma Banaszyinski, portando l’esempio di un racconto ad opera di una sua collega del Los Angeles Times. L’autrice, raccontando la storia di un giovane delle Honduras alla ricerca dei propri genitori, descrisse il destino comune di molti immigrati in America. Nel caso specifico l’impegno fu enorme: all’autrice occorse un anno affinché la storia, in sei puntate, fosse completa. Ebbe un enorme impatto: mille e-mail giunsero alla redazione, alcuni lettori raccontarono persino la loro esperienza. « Non sappiamo se la tiratura aumenta perché nel giornale compaiono più testi narrativi» riassume Banaszyinski: « Certo è che il marchio del giornale si rafforza». I lettori sentono il proprio quotidiano come più veritiero, anche i giovani sono disposti a dargli un’occhiata. Soprattutto i giornali più piccoli potrebbero trarre vantaggio da questo approccio.
Il professore di giornalismo Michael Haller ha fatto i conti: «in termini di marketing, riguadagnare un lettore costa dai 400 ai 600 Euro». Sarebbe molto più vantaggioso investire per aumentare la qualità e migliorare il rapporto con i lettori. E sarebbe ora: egli ha potuto analizzare le abitudini dei lettori attraverso l’uso del Reader-Scan (che permette di tracciare il flusso di lettura) e dell’Eyetracking (che segue il movimento della pupilla mostrando dove il lettore si ferma a leggere). Ha analizzato testi provenienti da 40 giornali tedeschi per scoprire cosa vuole il lettore e lo ha individuato: dinamismo. Questo significa basta con i vecchi errori – pochi verbi rafforzativi, molti passivi, stile normale – per raccontare di più. La vecchia idea di stampare semplicemente testi più corti, non funziona. Ma chi lo sta a sentire?
A Lipsia si sono riuniti giornalisti che da lungo tempo sono pronti per un giornalismo che, in tutti i sensi, vuole afferrare la realtà. « In ogni frase deve essere racchiusa un’informazione. Non racconto notizie per occupare il tempo, ma perché voglio comunicare qualcosa», ha spiegato Anne Hull (Washington Post). Wolfgang Büscher (Die Zeit) si è pronunciato a favore «della forza costruttiva » dell’io-autore nel caso in cui egli, grazie alle sue esperienze, può contribuire in modo pertinente all’andamento del racconto. Jürgen Leinemann (Der Spiegel) ha consigliato, invece, una riflessione personale: « Devo sapere, prima di descrivere qualcuno, se mi piace o meno, così da saper distinguere tra Persona e Accaduto al momento della valutazione».
Quando Kramer istituì il primo incontro sul giornalismo narrativo ad Harvard, vennero trecento persone, al terzo se ne contarono già mille. L’organizzazione di Lipsia vuole dare un impulso molto simile. Ma molti, in questa occasione, erano gli assenti importanti: nessun direttore di un qualsiasi quotidiano regionale ha fatto seguito all’invito e alcuni editori, quasi in forma di rappresentanza, al loro posto hanno inviato un giornalista. A questo punto tutto dipende da come questi concetti saranno accolti dalle redazioni. Quanti più colleghi si dedicheranno ad una scrittura creativa, tanto più si apriranno porte per tutti: testi a misura di lettore non faticano a trovare consenso.