Francia e Italia: Nuovi e vecchi orizzonti del giornalismo politico

24 Ottobre 2008 • Giornalismi • by

Message, 4-2008

Due importanti studi hanno rilevato come i giornali francesi investono sempre meno nel giornalismo politico mentre quelli italiani continuano ad essere legati a doppio filo con la politica

Il giornalismo politico in Francia sta perdendo la sua antica aurea. Le pagine che un tempo venivano dedicate a rubriche, commenti e cronaca politica si sono visibilmente ridotte. Persino sul grande quotidiano Le Monde. E mentre in Francia assistiamo a una depoliticizzazione dell’informazione in Italia avviene esattamente il contrario.

La politica continua –  come è sempre stato dal dopoguerra in avanti  – ad avere un ruolo di primo piano all’interno del quotidiano, per cui la notizia viene data anche come approfondimento e commento. Inoltre persiste lo stretto e malsano connubio tra poteri forti e informazione.
Come e perché lo spiegano due recenti studi condotti in Francia e nella Svizzera italiana di recente apparsi sulla rivista specializzata Comunicazione Politica .
Il primo “Una crisi del giornalismo politico? Un paragone tra l’Italia e la Francia degli anni 80” di Eugenie Saitta, ricercatrice  in scienze politiche all’Università di Rennes in Francia si propone di mettere in discussione l’ipotesi di convergenza (Hallin e Mancini, 2003) dei sistemi mediatici europei e nord-americani attraverso un case study del giornalismo politico ipotizzandone una crisi negli ultimi venti anni. Il merito della ricerca è quello di essersi concentrata sui così detti most similar cases con l’intento di metterne in rilievo le differenze.
Se infatti la teoria di Hallin e Mancini i ipotizza una convergenza dei sistemi mediatici occidentali rintracciabile nella similitudine di prodotti, abitudini professionali e culturali, nel sistema di relazioni con istituzioni politiche e sociali, questa ricerca dimostra come comparando due sistemi mediatici simili risultino invece molte differenze importanti.E il risultato è davvero interessante soprattutto perché analizza non solo il giornalismo nella sua forma e nelle sue caratteristiche ma mette in rilievo anche la funzione e il ruolo del giornalista politico. Con tutte le diversità del caso fra i due paesi.
Saitta inizia col mettere in discussione la tipologia proposta da Hallin e Mancini secondo cui la Francia e l’Italia appartengono a uno stesso modello di giornalismo chiamato “mediterraneo” o “pluralista-polarizzato” che comprende anche la Grecia, il Portogallo e la Spagna. A livello generale la teoria dimostra come questi due paesi presentino chiare caratteristiche comuni: hanno una stampa elitaria con una circolazione debole e media audiovisivi importanti, la libertà di stampa e l’industria commerciale dei media hanno avuto uno sviluppo tardivo, i giornali hanno una redditività economica spesso debole sostenuta con l’aiuto dei finanziamenti pubblici.
Inoltre anche il parallelismo in campo politico è notevole: la carta stampata dimostra un forte interesse per la politica ed esistono un pluralismo esterno e una tradizione di giornalismo orientato al commento. La strumentalizzazione dei media da parte del governo, dei partiti e degli industriali che hanno dei legami politici è diffusa. Lo Stato ha un ruolo importante come proprietario, regolatore e finanziatore dei media.
Francia: meno spazio alla politica
Tuttavia, i risultati della l ricerca mettono in luce un certo numero di differenze importanti che contraddistinguono il giornalismo politico in Italia e in Francia provando che contrariamente alla teoria di Hallin e Mancini, vi sono delle chiare specificità nazionali di cui va tenuto conto.
Vediamone le principali.
In Francia si assiste ad una svalutazione politica a tre livelli:
• le notizie politiche perderebbero la loro newsworthiness (valore d’informazione): ciò si noterebbe dalla diminuzione dello spazio dedicato alla rubrica Politica nelle pagine dei quotidiani. In Le Monde, Le Figaro, e Liberation la paginatura media della rubrica Politica passa dall’8,9% del giornale nel 1981 al 7,7% nel 2002. Bisogna notare che Le Monde era quello tra i tre che dedicava maggior spazio alla rubrica politica all’inizio degli anni 80’;
• il settore politico perderebbe la sua autonomia decisionale nel campo dell’elaborazione dell’informazione politica ormai sottoposto a un forte processo di centralizzazione decisionale, dove le scelte editoriali si fanno dall’alto verso il basso;
•  i giornalisti politici sarebbero privati della loro competenza di commento e di analisi dell’attualità politica, che fondava la loro autorità e legittimità professionale, a vantaggio dei collaboratori esterni.
Va tenuto conto che la base empirica alla quale fanno riferimento i dati ottenuti con l’analisi del contenuto è ridotta. I giornali considerati sono stati analizzati per un mese negli anni 1981 e 2002 – dunque i dati non sono più attuali. Per questo sono da tenere in maggiore considerazione gli ultimi due punti elencati.

Italia: niente di nuovo
In Italia – così rileva la ricercatrice –  politica e  politicizzazione delle redazioni rimangono sempre forti:
• la politica, diversamente dalla Francia, non ha accusato una perdita di valore della notizia;
• il potere politico continua ad invadere la libertà di stampa e di espressione e le scelte editoriali vengono fatte dall’alto verso il basso;
• i giornalisti politici non sono privati delle loro competenze, tutt’altro. I quotidiani italiani si avvalgono di molti collaboratori esterni preparati e qualificati che sono in linea con il giornale e che vengono considerati dai giornalisti interni alla redazione come “colleghi”, dunque sono perfettamente integrati.
E i recenti sviluppi in Italia non fanno che confermare il quadro che Saitta fornisce rispetto al forte influsso che la politica esercita sui media: la telenovela ancora in corso “Salva Retequattro”, per cui in Parlamento il partito di Berlusconi – contrariamente a quanto deciso dalla legge Gentiloni varata nella scorsa legislatura che prevede il trasferimento di Rai 3 e Rete 4 entro il 2012 sul digitale – cerca in tutti i modi di mantenere le frequenze del quarto canale di Mediaset; il rinnovamento del CDA della RAI che anziché prevedere nuove formule di gestione che favoriscano una conduzione libera e indipendente della tv di stato e di servizio, avverrà molto probabilmente secondo le vecchie logiche di partito e soprattutto lasciando invariata e vigente la famosa “Legge Gasparri” sul conflitto di interessi voluta anche questa dal precedente governo Berlusconi.

La figura del giornalista politico

Come accennato all’inizio, uno dei meriti particolari della ricerca è quello di analizzare la figura del giornalista politico e il suo lavoro di redazione all’interno dei due quotidiani Le Monde e Il Corriere della Sera.

In Francia, l’incarico di commento e di analisi esercitato dai giornalisti politici faceva parte un tempo di una “retorica della competenza critica” (“rhétorique de l’expertise critique”, Padioleau 1976). Era l’espressione di un giudizio che si fondava su un’argomentazione documentata e sulla competenza dello specialista. Costituiva negli anni 1970/80 un modello professionale dominante nella stampa quotidiana francese e in particolare in Le Monde, perché conferiva prestigio e riconoscimento professionale ai giornalisti che l’utilizzavano.

Oggi – osserva la ricerca – la competenza critica è esercitata sempre di più da un altro gruppo, composto di non-giornalisti. Questa expertise esterna crescente poggia su una mancanza di competenze da parte dei giornalisti. Si può parlare di processo di esternalizzazione dei commenti e delle analisi, cioè di “outsourcing” degli articoli che esprimono un’opinione partigiana o semplicemente parziale. La loro formazione professionale rimane molto generica mentre le rubriche dei giornali si moltiplicano e si specializzano sempre di più su argomenti precisi. Questo ringiovanimento della redazione porta alla sparizione di una figura tradizionale di Le Monde; il redattore specializzato (rubricard) garante di una memoria politica e “esperto critico”.
Alla luce di questi elementi, i criteri di definizione del “bravo” giornalista politico si sono fortemente trasformati: la vicinanza al campo politico e la lunga esperienza nel settore politico sono stati sostituiti dalla formazione nelle scuole di giornalismo e dalla diversificazione delle esperienze giornalistiche. Possiamo definire questi “nuovi” giornalisti politici come degli “specialisti successivi” o degli “specialisti flessibili” (Christopherson & Storper, 1989) che subentrano ai redattori specializzati (rubricards).

In Italia, e dunque al Corriere della Sera, – secondo Saitta –  l’autonomia dei giornalisti e le loro competenze dipendono dal loro status. Da un lato, i redattori base fanno un lavoro su ordinazione in una redazione fortemente centralizzata, occupano la posizione più bassa nella gerarchia del loro settore e vengono utilizzati come giornalisti “tuttofare”. La distribuzione dei compiti fra redattori base è molto flessibile perché l’organico del settore politico è poco numeroso: ad essi vengono affidati certi compiti perché nessun altro è disponibile al momento. Questo tipo di polivalenza non è valorizzante. All’opposto, i giornalisti politici con uno status alto, in particolare gli editorialisti e gli inviati, hanno una forte legittimità professionale. Cumulano una lunga esperienza come giornalisti politici e appartengono in media da 14 anni al settore politico del Corriere della Sera (da 9 anni minimo a 22 anni massimo), ma hanno anche un’esperienza precedente nel giornalismo politico superiore ai 6 anni 11.

Al contrario di Le Monde dove i giornalisti “anziani” sono spariti dal settore politico, nel Corriere della Sera essi rimangono dei riferimenti professionali. Ne testimonia il loro peso numerico, la loro anzianità e la loro lunga pratica del giornalismo politico. Il loro status assicura loro un certo numero di prerogative.

Un giornalismo partigiano  e fragile

La seconda ricerca “Giornalismo fragile” osserva invece il comportamento della stampa nazionale italiana negli ultimi 52 giorni delle elezioni politiche italiane del 2006 che videro “fronteggiarsi” i  due candidati premier Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Attraverso un’analisi del contenuto del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore essa conferma come il giornalismo politico italiano sia passivo e vittima del collateralismo, attraversato in modo significativo da dinamiche di spettacolarizzazione e bloccato nella possibilità di determinare autonomamente la tematizzazione della propria agenda politica. Da questa analisi l’informazione italiana è risultata permanere in una condizione di fragilità strutturale. Subordinata rispetto al sistema politico che si estende oltre la lottizzazione del Servizio radiotelevisivo pubblico e del conflitto di interessi in seno a Mediaset.

Corriere della Sera: il foglio di Prodi
Per quanto riguarda l’analisi del contenuto del Corriere della Sera i  risultati sono inequivocabili: negli ultimi 52 giorni di campagna elettorale il quotidiano è stato assolutamente pro Prodi e anti Berlusconi.
È vero – dice la ricerca – che Paolo Mieli direttore del Corriere della Sera il 28 marzo 2006 in un suo editoriale ha apertamente dichiarato che il giornale avrebbe sostenuto il partito di centro destra di Romano Prodi. Ma disse anche che era una linea scelta dalla direzione del giornale che non avrebbe influito sulla libertà d’opinione e di espressione dei propri giornalisti, perseverando anzi nella tradizione di “dare ed approfondire notizie nel modo quanto più possibile obiettivo e imparziale” (Mieli 2006).
Un proposito che purtroppo i risultati dell’analisi del contenuto descrivono come decisamente mancato e in contraddizione con la stessa  dichiarazione di indipendenza del giornale (Dichiarazione di indipendenza 2003) che recita “bisogna dare sempre spazio alle molteplici verità del mondo” senza mai prestare il fianco a “ogni condizionamento politico ed economico, sia esterno che interno alla redazione”.
Il Sole 24Ore: manca un’ agenda propria
Se il Corriere della Sera si è dimostrato essere partigiano Il Sole 24Ore invece ha dimostrato di non avere una propria autonomia di tematizzazione che – come ricorda Zavaritt –  è invece auspicabile in un sistema di informazione sano. Il giornalismo infatti dovrebbe possedere una certa indipendenza nel proporre all’attenzione del pubblico temi nuovi  e scottanti, diversi da quelli proposti dal flusso comunicativo ufficiale e strategico, offerto dai partiti e dalle istituzioni. Un’autonomia di tematizzazione che accenda i riflettori sulle ombre di tutti i protagonisti dell’arena pubblica, esercitando quella funzione di guardia “morale” della società che non può restare solo retaggio romantico o un vezzo deontologico da manuali di giornalismo.
Nella campagna elettorale del 2006 non è stato così neppure per Il Sole 24Ore – il primo quotidiano economico italiano, di proprietà di Confindustria e di solito il più imparziale tra i quotidiani nazionali. I due candidati hanno adottato due strategie comunicative nettamente diverse tra loro che hanno sortito effetti diversi sugli elettori ma che a giudicare dai risultati dell’analisi del contenuto hanno con ogni probabilità fatto centro sui processi produttivi della notizia.
Le ragioni vanno ricercate strategie comunicative dei due leader politici che sono state in grado di influenzare in modo evidente le agende tematiche dei quotidiani. Quella di Berlusconi molto autoreferenziale e continua (l’attuale Presidente del Consiglio appariva continuamente sulle sue reti e sui suoi quotidiani), quella di Prodi più pacata e incentrata su pochi e grandi temi.
Insomma, dice Zavaritt, se si pongono in relazione le loro esigenze strategiche da una parte e le pagine dei quotidiani dall’altra, sembra infatti di poter tracciare più di un’analogia, in un processo di tematizzazione al contrario che suggerisce l’immagine di politici direttori e di giornalisti d’orchestra. Il potere di agenda building del giornalismo politico italiano, storicamente già esiguo, sembra essere rimasto decisamente limitato.
I  risultati di questa analisi di contenuto  mostrano come in Italia, in una circostanza cruciale come quella fornita da elezioni politiche nazionali, il giornalismo abbia dimostrato di attraversare diverse criticità, permanendo in una situazione radicata di fragilità nei confronti del sistema politico.
Da un lato l’abbondanza di notizie Campaign e la sostanziale assenza del genere giornalistico dell’inchiesta hanno dimostrato come anche l’Italia sia interessate alle dinamiche tipiche della comunicazione politico/elettorale del resto dei paesi occidentali. Dall’altro la relazione tra il giornalismo scritto e il sistema politico ha dimostrato di vivere le stesse problematiche che lo hanno caratterizzato dal dopoguerra ad oggi.
Anche analizzando il più quotidiano nazionale, emergono con chiarezza elementi di collateralismo e di polarizzazione, tipici di una cultura giornalistica partigiana e parte in causa nella lista politica. I dati dimostrano anche infine la passività dei media tradizionali rispetto alle esigenze comunicative dei due candidati, che hanno saputo e potuto determinare la tematizzazione dell’agenda del Corriere della Sera e del Sole 24Ore.
Nelle elezioni politiche del 2008 tutto è stato diverso: i toni sono stati meno accesi, la campagna politica e quella mediatica si sono concentrate più sui contenuti e sui programmi e hanno lasciato da parte lo scontro politico. Tanto che i giornali parlavano di “Inciucio” fra i due leader politici Silvio Berlusconi (Partito delle Libertà) e Walter Veltroni (Partito Democratico).
Una cosa però è rimasta uguale: il rapporto simbiotico tra politica e informazione, per cui una contamina l’altra in un circolo vizioso che in Italia pare essere senza fine.
Bibliografia:
Hallin, Daniel. & Mancini, Paolo (2004), Comparing Media Systems: Three Models of Media and Politics. Cambridge: Cambridge University Press.
Padioleau, Jean G. (1985). Le Monde et Le Washington Post. Précepteurs et mousquetaires. Paris: Puf.
Saitta, Eugénie (2007): Una crisi del giornalismo politico? Un paragone fra l’Italia e la Francia dagli anni ’80, Comunicazione Politica vol. VIII, n. 2 Autunno 2007, Franco Angeli Editore, Roma, pp.187-209.
Zavaritt Giovanni (2008): Il Giornalismo Fragile. In: Comunicazione Politica, Vol. IX, Nr.1, Primavera 2008, Franco Angeli Editore, Roma, pp. 61-73.
Dichiarazione di indipendenza del Corriere (2003) http://www.corriere.it/speciali/cdr/dichiaraITA.shtml