Lo strumento principe della campagna elettorale USA resta la televisione
Ad esempio, lo scorso dicembre si diceva che queste sarebbero state le prime elezioni dominate da Internet a scapito della televisione; molti annunciavano l’avvento dell’era del blog elettorale; più in generale gli osservatori dei centri di ricerca erano impazienti di verificare lo stato di salute dei media statunitensi, che da un lato erano chiamati a riscattarsi dopo il comportamento non certo esemplare tenuto durante la guerra in Iraq, quando la stragrande maggioranza delle testate fu incapace di svolgere il ruolo di «cane da guardia» del sistema e dunque di smascherare imprecisioni e bugie dell’ Amministrazione Bush; d’altro canto ci si chiedva come questo atteso miglioramento qualitativo potesse conciliarsi con un settore, quello dell’editoria, in rapida, sofferta evo-luzione, con una continua erosione degli utili, diffusi piani di ridimensionamento delle redazioni (anche in testate gloriose come New York Times e Los Angeles Times) e un trasferimento di risorse dalla carta stampata alle edizioni online. Il bilancio è contrastato e per molti versi sorprendente.
I politologi hanno sbagliato le previsioni su Romney, Mc Cain, Obama e la Clinton? Altrettanto è avvenuto tra gli esperti dei media.
Altro che era di Internet; questa è più che mai l’era della televisione. Le grandi svolte in questa campagna elettorale sono partite dal piccolo schermo. Le lacrime di Hillary prima delle primarie del New Hampshire sono state versate durante un colloquio con alcune elettrici in un caffè ritrasmesso in diretta tv. Il dibattito in cui lei e Obama se le sono dette fuori dai denti è stato organizzato da un grande network americano. E scrutando i bilanci di questa campagna, ci si accorge che le maggiori risorse sono state utilizzate per finanziare spot televisivi, sia sui network nazionali che su quelli locali. Anzi, non si è mai speso tanto in pubblicità per un’elezione alle primarie, soprattutto in campo democratico. Uno spot è risultato vincente, prima delle primarie negli Stati bagnati dal Potomac: quello in cui il candidato afroamericano ha ricordato la madre morta di tumore, per dimostrare l’ingiustizia dell’attuale sistema sanitario americano, che non garantisce copertura a tutti i cittadini. Nel filmato Obama sostiene che la madre negli ultimi mesi della sua vita era preoccupata più dal pagamento delle cure mediche che dalla propria salute. E che è stufo di sentire storie analoghe. Un spot non proprio di buon gusto, ma commovente e molto efficace.
Doppio effetto
Se fosse stato diffuso solo via Internet avrebbe raggiunto solo una parte della popolazione Usa, quella under 30 che ormai vive online; diffondendolo invece sul piccolo schermo, e rendendolo scaricabile sui siti, si ottiene invece un doppio effetto: lo spot riuscito viene visto dall’insieme dell’elettorato e poi ripreso e commentato su Internet; gli si prolunga la vita. L’insegnamento di questa campagna elettorale è che la Rete è sempre più importante non come mezzo primario, ma come strumento secondario; per diffondere e rinforzare il messaggio generato sul piccolo schermo. Il che smentisce le previsioni degli esperti. Su un punto Internet ha stravinto: la raccolta di fondi, soprattutto tra i piccoli e i medi sostenitori, ma questo è un aspetto che riguarda il finanziamento della campagna e non il mondo dei media.
Anche i blog elettorali si stanno rivelando meno efficaci del previsto. Ce ne sono, e tanti, ma non sembrano capaci di generare volumi di lettura tali da mettersi in concorrenza con le testate principali; anche in questo caso una previsione ampiamente accreditata si è rivelata perlomeno prematura. Solo una piccola parte degli elettori matura le proprie scelte leggendo i blog, che però risultano assai persuasivi nei confronti dei media tradizionali, dimostrando un potere di condizionamento indiretto considerevole. E questo non è affatto positivo per i grandi network, che hanno sguinazagliato decine di cronisti al seguito dei candidati, ma che non si sono segnalati per l’originalità dei loro servizi, né per la frequenza dei loro scoop.
Rincorrendo Internet
Anzi, spesso si sono ritrovati a riprendere e ampliare notizie pescate su siti minori e questo spiega il successo dei siti, come Drudge Report (il sito di informazione e pettegolezzi), Politico (esclusivamente alla politica) e l’ Huffington Post (il primo blog trasformatosi in una testata online), tre testate che rappresentano un ibrido giornalistico: sono più solidi e strutturati di un blog, ma non hanno le rigidità e i vincoli dei grandi media. E si dimostrano vincenti nel riprendere e rilanciare le migliori notizie trovate sul Web, senza violare l’esclusiva altrui. Per spiegarmi: se Mc Cain dà un’intervista alla Cbs, che pubblica il testo sul proprio sito, il Drudge la riprenderà con grande evidenza, ma cliccando sul titolo il lettore si troverà direttamente sulla pagina online della Cbs.
In questo modo il lettore, leggendo questi siti trasversali trova una selezione vivace, completa e originale delle informazioni diffuse da tutti i media. Il sito del New York Times invece pubblica solo propri servizi e raramente rimanda a siti altrui e, pertanto, certi giorni risulta meno interessante dell’ Huffington Post.
Ma che ruolo hanno avuto finora i media tradizionali, ovvero giornali e informazione televisiva? Molto alto, ed è un altro paradosso di questa campagna. Ma non è una buona notizia. Si sono mossi ancora una volta in branco, riuscendo ad essere molto influenti, in certi frangenti decisivi. Ad esempio all’inizio delle primarie, quando i risultati nei primi Stati non erano così netti come ci era stato detto. John Edwards poteva vantare un solidissimo terzo posto complessivo e a un certo punto, nel conteggio dei delegati, superava Hillary e tallonava Obama, ma sui media è sempre stato trattato come un outsider senza speranza. «I media hanno deciso che un duello tra un nero e una donna suscitava da un punto di vista giornalistico molto interesse », accusa il professor Robert M. Entman, della prestigiosa George Washington University. E infatti Washington Post, Cnn, Abc, Los Angeles Times e Usa Today hanno privilegiato il duello Obama-Hillary, fornendo notizie, analisi e commenti univoche. Edwards è stato costretto in un angolo, ha perso visibilità e dunque voti, finendo per ritirarsi.
Missione tradita?
Altri candidati come il pacifista Kucinich sono stati ignorati. La stampa ha dimostrato la propria capacità d’influenza, ma c’è da chiedersi se non abbia tradito la propria missione, che dovrebbe essere quella di raccontare la campagna, separando i fatti dalle opinioni, lasciando al lettore-elettore l’ultima parola.
Lo stesso è avvenuto in campo repubblicano. John Mc Cain sarà il candidato, ma fino all’ultimo sono rimasti in corsa l’ex pastore Mike Huckabee e il libertario Ron Paul; eppure il primo è sempre stato trattato con sufficienza, mentre il secondo è stato letteralmente cancellato da media, sebbene abbia ottenuto circa il 10% dei voti e abbia vinto il caucus nella Louisiana. Non solo i giornali non gli hanno dedicato spazio, ma sono giunti persino a cancellarlo dalle tabelle dei risultati, che, dopo il ritiro di Mitt Romney, indicavano solo due nomi: Mc Cain e Huckabee; per conoscere il risultato di Paul, bisognava cliccare sotto la voce «altri». Perché i giornali hanno deciso di ignorarlo? Mistero. Così come insolito è risultato il comportamento del New York Times, che alla vigiglia del voto in Florida, ha pubblicato un ritratto devastante di Rudolph Giuliani, descritto come un approfittatore senza scrupoli, un arrivista, un politico immorale. Quell’articolo ha dato il colpo di grazia alla candidatura dell’ex sindaco di New York, ma perché la celebre testata della Grande Mela ha deciso di distruggerlo ora, dopo averne parlato bene per anni? Perché le informazioni di cui disponevano non sono state pubblicate prima?
Silenzi inspiegabili
E ancora:nel New Hampshire sono circolate voci circostanziate di pesanti brogli in favore della Clinton e di Mc Cain, al punto che tre candidati hanno chiesto il riconteggio delle schede; ma nessuna delle grandi testate ne ha parlato. Un silenzio inspiegabile, che contrasta con la frenesia con cui è stato seguito Bill Clinton, ex presidente e marito di Hillary. Un centro di ricerca ha calcolato che fino al supermartedì del 5 febbraio l’ex capo della Casa Bianca ha ricevuto una copertura mediatica enorme, spropositata:solo Hillary e Obama hanno fatto più notizia di lui, ma lui ha «staccato» per numero di articoli e di servizi televisivi Mc Cain, Romney, Huckabee, Giuliani. Com’è possibile che qualcuno che non è in corsa per le presidenziali riceva più attenzione della maggior parte dei candidati veri? La risposta è ovvia: perché Bill Clinton è un personaggio da sempre amato dai media, che però si sono lasciati prendere la mano e hanno così dato a Hillary un vantaggio notevole: per molte settimane Obama ha dovuto battersi contro due candidati (uno vero e uno di fatto), anziché uno. Un comportamento che non ha fatto onore ai media, né bene alla democrazia statunitense.