Ma i cinque ragazzi che hanno massacrato a Verona il giovane Nicola, sono o no naziskin? Ad ascoltare la stragrande maggioranza dei media, la risposta è inequivocabile: sì, sono pericolosi neonazisti. La realtà però è diversa, ma, come accade con una certa frequenza, la stampa italiana nella frenesia di stabilire facili parametri per il lettore, dimostra eccessiva disinvoltura e dunque diffonde notizie che risultano poco o per nulla accurate.
Quasi tutti i giornali, ad esempio, hanno descritto Verona come una città dove da tempo covano insani istinti di violenza, soprattutto, tra certi rampolli delle famiglie bene della città, che, annoiati dai lenti ritmi della provincia, cercano emozioni compiendo raid e pestaggi a sfondo politico o razziale. Si sono letti titoli di questo tenore: L’agguato fascista: Pugni, bottigliate e ordine. Le altre «ronde» di Verona. L’immagine romantica del borgo di Giulietta e di Romeo è uscita massacrata. Peccato che dei cinque, quattro non fossero di Verona, ma di paesi limitrofi e che si conoscessero appena. Le loro origini sociali? Uno è un metalmeccanico, uno un venditore di assicurazioni, gli altri studenti di famiglie piccolo borghesi. Il quadro non torna, così come l’accusa di nazismo. Basta guardare le foto: non hanno le teste rasate, né indossano croci celtiche. I loro volti sono abbastanza anonimi, potrebbero essere persino dei bravi ragazzi e invece si sono trasformati in assassini. Un omicidio assurdo.
Dei cinque solo uno era stato schedato dalla polizia come estremista fascista ed era già stato indagato per associazione a delinquere e istigazione all’odio razziale. Altri tre hanno precedenti, ma non per ragioni politiche: sono ultras della squadra di calcio Hellas Verona, e tempo fa erano stati coinvolti in incidenti allo stadio Bentegodi.
Il quinto era sconosciuto sia alle forze dell’ordine sia alla giustizia.
Il procuratore Guido Papalia lo ha ripetuto fino alla nausea, non appena conclusi gli accertamenti: trattasi non di una gang nazista, ma di cani sciolti, balordi di periferia che hanno ucciso Nicola, reo di aver rifiutato una sigaretta, sotto gli effetti dell’alcol. Una storia tragica di degrado urbano e sociale, che ricorda quella di Locarno dello scorso febbraio costata la vita a Damiano, e che certo turba e deve far riflettere, ma che non può essere catalogata come il sintomo di un rinascente nazifascismo.
Eppure la stampa non ha corretto il tiro, salvo quale eccezione. Avendo iniziato a parlare di naziskin ha continuato sullo stesso registro. I giornali di sinistra avevano ovviamente una certa propensione a proporre questa chiave di lettura, ad esempio Unità, Manifesto, Liberazione. Ma la maggior parte dei grandi media ha fatto lo stesso, a cominciare dalla Rai e dal Tg5. E non certo per calcolo politico, ma per consuetudine. Una volta attribuita un’etichetta, è praticamente impossibile cambiarla in corsa, salvo in presenza di clamorosi colpi di scena, come accadde ad Erba, dove il tunisino Azouz Marzuk fu additato come il killer, in fuga, della propria famiglia. E invece al momento dell’omicidio se ne stava a oltre mille chilometri di distanza. Allora come oggi la stragrande maggioranza dei giornali non resistette alla tentazione di emettere un verdetto sulla base delle prime, fugaci impressioni. La differenza è che a Erba le redazioni corressero il tiro, mentre oggi la retromarcia non è stata innescata: giovedì i radiogiornali italiani continuavano a parlare dell’odioso agguato naziskin.