Avanzano le donne nel servizio pubblico radiotelevisivo svizzero

14 Maggio 2012 • Giornalismi, Giornalismo sui Media • by

per.corsi, aprile 2012

Intervista a Krysia Bynek, referente Pari Opportunità RSI e a Nelly Valsangiacomo, Responsabile per l’Università di Losanna del progetto di ricerca nazionale “Uguaglianza dei sessi: un’idea svizzera? Pari opportunità nella SSR dal 1980 ad oggi”

A guidare il New York Times in un momento critico e difficile per il settore della carta stampata è stata designata una donna, Jill Abramson. Ai vertici della Bbc per fine anno all’attuale Mark Thompson molto probabilmente succederà una donna, sarebbe le prima nella storia dell’emittente pubblica inglese. Alle nostre latitudini, facendo le dovute proporzioni, c’è un esempio recente, quello della nomina di Prisca Dindo a capo del sito del Corriere del Ticino. Proporzioni a parte, la nomina è di per sé importante perché secondo quanto pubblicato in un recente articolo proprio dal CdT (“Il potere è ancora maschio”) nel settore della carta stampata ticinese le donne nelle redazioni sono ancora una netta minoranza rispetto agli uomini.

Al CdT su 50 giornalisti 6 sono donne, alla Regione su 43 giornalisti 7 e al Giornale del Popolo sempre 7 su un totale di 30 giornalisti. Dunque se da un lato qualche cosa sta cambiando nel panorama dell’informazione e dei media, dall’altro è anche vero che molto c’è ancora da fare e che, seppur in passato molte conquiste importanti sono state fatte, oggi per le donne non è tempo di stare sedute sugli allori o di pensare di poter vivere di rendita. In Italia si stanno muovendo diversi movimenti femminili e blog di informazione e di opinione. In Inghilterra di recente diverse associazioni femminili si sono unite denunciando un marcato sessismo da parte della stampa britannica. Forse è proprio per questo che il Guardian nella sua versione online ha deciso di distinguersi dedicando invece un’intera sezione alle donne declinata per tematiche specifiche “pari opportunità”,“femminismo”, “questioni di genere”“donne e politica”. E in effetti i fronti sui quali oggi ci si muove con tutte le diverse specifiche a seconda dei paesi sono, da un lato, la promozione, il raggiungimento e la salvaguardia delle pari opportunità all’interno delle aziende mediatiche, dall’altra la battaglia per una corretta rappresentazione e comunicazione del femminile nei vari programmi che sia libera da stereotipi di genere e non offensiva nei confronti delle donne. E se una politica che promuove le pari opportunità e dunque un “diversity management” è auspicabile per tutte le aziende, in qualunque settore e a qualsiasi livello, lo è in particolare per il servizio pubblico televisivo che di questo dovrebbe farne una sua missione.

E allora vediamo la politica e le attività che la Srg Ssr porta avanti e come questa si traduce e si caratterizza in particolare  nel Canton Ticino e nella Rsi. Partiamo da qualche numero per vedere subito come le donne sono rappresentate e a quali livelli: tra i collaboratori con un contratto fisso e a tempo indeterminato, le donne fino al 2010 costituivano il 37%. Tra I quadri, uno su cinque è di sesso femminile, quota che poche aziende pubbliche e private della Svizzera italiana oggi possono vantare. Del Comitato direttivo Rsi inoltre fanno parte tre donne su un totale di 10 membri. Per quanto riguarda invece la ripartizione tra i sessi, considerando tutto il personale Rsi, prevale la popolazione maschile (63.6%) rispetto a quella femminile (36.4%). L’elevato bisogno di professioni tecniche, rappresentate nel mercato del lavoro per lo più da uomini, fa sì che le donne siano percentualmente sottorappresentate in Rsi. Infatti, solo 48 donne su 320 collaboratori (15% donne, 85% uomini) lavorano al Dipartimento produzione. Le donne sono sottorappresentate anche nel Dipartimento sport.  Cresce la proporzione di donne con funzioni di conduzione e con il 20% tocca la quota più alta mai raggiunta in Rsi. Un quadro che per poter meglio interpretare e conoscere abbiamo arricchito facendo qualche domanda a chi di pari opportunità si occupa da tempo in Rsi, Krysia Binek, e a chi invece con interesse dal di fuori studia e verifica quanto succede all’interno del servizio pubblico radiotelevisivo nazionale attraverso un progetto di ricerca attualmente in corso d’opera promosso da un programma nazionale del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca sulla parità tra uomini e donne (Pnr 60) dal titolo “Uguaglianza dei sessi: un’idea svizzera? Pari opportunità nella Ssr dal 1980 ad oggi”. L’idea alla base del progetto è quella di analizzare contemporaneamente come i media presentano il tema nei propri programmi e come applicano il principio nella propria struttura aziendale.

Krysia Binek, referente Pari Opportunità RSI

Signora Binek, in quale misura si occupa di pari opportunità in Rsi?

“La denominazione ufficiale attribuita a questo incarico è referente pari opportunità e me ne occupo con una per- centuale massima del 30%, mentre per il 70% lavoro al programma. Da dieci anni mi occupo di pari opportunità inserite in un contesto più articolato quello del “Diversity management”, cioè di come valorizzare le potenzialità al femminile, partendo dal presupposto che essere donna rappresenta un valo- re e una ricchezza nella gestione delle risorse umane, che forse vale la pena di implementare”.

Di che cosa si occupa il Gruppo Antenna che lei coordina?

“Il Gruppo Antenna (Ga), istituito dalla Direzione regionale Rsi, oltre alla sotto- scritta conta due uomini e due donne. Questo team multimediale deve monitorare la situazione e il rispetto delle pari opportunità in Azienda; ogni anno propone alla Direzione misure concrete, da realizzare poi in sinergia con l’area delle risorse umane. Misure che devono incidere su un cambio effettivo della cultura aziendale. All’inizio del nostro lavoro ci siamo avvalsi della supervisione esterna di una professionista, la dr. C. Bombelli della Wise-Growth, un’esperta di Diversity Management che da anni si occupa di queste tematiche in azienda.Tra le misure individuate nel corso degli anni, direi che la più riuscita è stata la proposta di un Coaching al femminile”.

Che cosa è esattamente il coaching al femminile e quali sono le sue potenzialità?

“Si tratta di un’opportunità unica nel suo genere a cui la direzione Rsi ha aderito subito, esprimendo la volontà dell’azienda di una maggior attenzione al fenomeno del “soffitto di vetro” che continua a penalizzare le carriere al femminile. Aziendalmente parlando e quindi da un punto di vista economico, promuovere una politica improntata sulla diversità è vantaggioso e redditizio. Il Coaching non è solo occasione di crescita personale per chi lo segue, ma è anche per l’azienda un modo di verificare se gli strumenti in vigore sono in grado di cogliere il merito là dove esiste, indipendentemente dal genere, dal colore della pelle o dall’età della persona. Come strumento formativo il Coaching si rivolge a piccoli gruppi, focalizzati sulla gestione di problematiche lavorative con le quali si è confron- tati. L’obiettivo è quello di finalizzare l’intervento a tematiche specifiche, for- nendo suggerimenti pratici, ma sostanziati da teorie di riferimento. Si tratta quindi di un percorso di apprendimen- to il più possibile personalizzato, che aiuti le persone “qui e adesso”, evitando temi non pertinenti e teorizzazioni spesso distanti dalla propria realtà professionale”.

Perché al femminile?

“Primo, perché storicamente le donne sono entrate relativamente tardi nel mercato del lavoro e imporsi in un mondo economico maschile non è sempre facile. Inoltre le stesse donne a volte faticano a imporsi professionalmente a causa di stereotipi e pregiudizi ancora diffusi. Declinare al femminile uno strumento formativo nasce dalla consapevolezza della diversità, che spesso porta le donne ad affrontare in modo difforme le tematiche legate al mondo del lavoro. Per alcuni un approccio di genere costituisce un pericolo di ghettizzazione. Il rischio sussiste e va preso in considerazione, ma un’azienda come la Rsi ha un piano di formazione e di sviluppo che coinvolge tutto il personale e un intervento al femminile costituisce un “di cui” che non sostituisce altre occasioni di apprendimento miste”.

Funziona, quali sono i risultati?

“Siamo molto soddisfatti, perché ormai siamo alla terza edizione del Coaching. Nell’ultimo, iniziato a novembre e che terminerà alla fine di marzo, alcune collaboratrici pensavano si trattasse del solito corso, ma già al secondo incontro hanno afferrato la diversa modalità dell’esercizio, apprezzando  in particolare il ruolo e l’esperienza delle coacher. Una volta concluso questo ciclo, a distanza di sei mesi segue una verifica puntuale, il “follow up”che permette di evidenziare i risultati raggiunti. A detta di tutte le collaboratrici che vi hanno partecipato in questi anni l’esperienza è stata più che positiva”.

Altre iniziative ?

“Il Ga sta cercando di intensificare le giornate di formazione di Diversity al maschile, rivolte non necessariamente ai quadri ma alle persone che hanno una funzione di responsabilità e a cui è affidata la conduzione di un gruppo. Tre anni fa abbiamo rivisto il regolamento aziendale sulle molestie sessuali e il mobbing, che ora ha una base legale. Tutte norme oggi accessibili facilmente in “Intranoi”, a cui si aggiungono alcune giornate formative organizzate sul tema. Non dimentichiamo poi i 10 anni da poco compiuti dall’Oasi della gioia, l’asilo nido Rsi, che è un must per eccellenza visto che siamo l’unica unità aziendale Srg Ssr a disporre di una struttura simile anche se ci sono voluti quasi vent’anni per concretizzare que- sta misura…L’Oasi della gioia è stato tra i primi nidi per l’infanzia aziendali aperti nella Svizzera italiana, è una realtà che continua a essere un model- lo, da noi come all’estero.

… Tre anni fa è stata aperta anche una sezione neonati dai 3-4 mesi. Una realizzazione che si è rivelata una delle misure vincenti della stra- tegia Rsi, per conciliare responsabilità famigliari e professionali”.

Progetti per il futuro?

“Il mio sogno sarebbe che il coaching al femminile entrasse a pieno titolo – e quindi diventi un appuntamento fisso del programma di Diversity. Certo non è semplice riunire e coordinare una dozzina di persone dalle professioni più disparate per questo tipo di formazione, ma sono convinta che da qui si debba passare.

Oggi è in corso una ricerca del Fondo Nazionale sulle pari opportunità in Srg Ssr, però qualche anno fa era già stato fatto qualche cosa del genere? Si, è stato un lavoro complesso, durato due anni e conclusosi nel 2010.

Un progetto di ricerca nazionale dal titolo “Carriere professionali eque: un’opportunità per l’azienda” che la Supsi ha condotto in tre aziende del terziario abbastanza rappresentative: Banca Stato, l’Associazione delle cliniche private ticinesi e Rsi. La ricerca si proponeva di individuare gli ostacoli impliciti ed espliciti alle carriere di donne attive sul mercato del lavoro.

L’ipotesi di un’influenza congiunta, sull’evoluzione dei piani di carriera, dei meccanismi organizzativi (la pianificazio- ne dei tempi di lavoro, I processi di assunzione e di promozione) e della percezione dei ruoli femminili e maschili in azienda ha guidato l’analisi. Delle tre, secondo i risultati dello studio, Rsi è sicuramente l’azienda che ha fatto e sta facendo di più. Questo ci sprona a continuare anche se la strada a volte è in salita…

Vedremo a quali risultati arriverà prossimamente la nuova ricerca del Fondo Nazionale”.

 

Intervista a Nelly Valsangiacomo, sulla ricerca del Fonda Nazionale Svizzero “Egalité des Sexes: une idée Suisse?

Signora Valsangiacomo, ci parli della ricerca alla quale collabora.

“Il progetto si svolge su due piani: una collaborazione tra l’Università della Svizzera italiana per la quale il direttore del progetto è la prof. Ruth Hungerbühler e l’Università di Losanna alla quale io appartengo. Insieme abbiamo sviluppato un progetto su due livelli, uno che prevede un’analisi istituzionale e quindi verifica come dagli anni 80 a oggi la Srg ha integrato o applicato le norme di pari opportunità e come queste sono evolute, e in un secondo livello come la Srg veicola il messaggio delle pari opportunità all’interno della sua programmazione”.

Ma non era già stata fatta una ricerca simile dalla Supsi.

“Diciamo che lo studio che è stato compiuto dalla Supsi è uno studio con un’impronta molto sociologica mentre in questo caso si tratta di uno studio con una forte valenza storica che non si basa esclusivamente  sulle inter vsite a campione ma indaga tutto il materiale archivistico a disposizione, quindi tutti i documenti che sono stati sviluppati, nel limite del possibile, perchè la Srg come azienda ha degli archivi non sempre coerenti e disponibili, in particolar modo per quanto riguarda le aziende regionali. Il nostro lavoro avviene su diversi tipi di fonti, da un lato abbiamo le fonti cosidette cartacee, con l’archivio centrale della Srg e nel limite del possibile quello che recuperiamo dalle tre aziende regionali quindi tedesca, romancia e italofona, poi lavoriamo sugli archivi sindacali e sulle interviste. Questo per quanto riguarda l’aspetto istituzionale, mentre per quanto riguar- da l’aspetto prevalentemente di programmazione, abbiamo fatto un’indagine a tappeto interrogando le teche audiovisive. L’idea è quella di verificare come è stato impostato l’archivio audiovisivo rispetto a certe parole chiave, interrogare l’archivio stesso non i programmi in quanto tali e poi fare delle campionature per capire il tipo di programmazione”.

Avete un periodo preciso di osservazione?

“Il periodo che ci è stato imposto dal programma generale nazionale, il Dnr 60 al quale noi aderiamo, e dunque dagli anni 80 ai giorni nostri. Noi poi però siamo rusciti a risalire un po’ più indietro nel tempo sia per l’aspetto audiovisivo ma soprattutto istituzionale, perchè evidentemente i mutamenti si sono compiuti anche tra gli anni 60 e gli anni 80: penso ad esempio a tutta la questione delle donne sposate.

La ricerca è in corso d’opera e terminerà nel 2013. La sensazione però che emerge rispetto alla politica Srg per le pari opportunità quale è? La questione è abbastanza complessa anche a livello istituzionale. Fino agli anni 90 esisteva soprattutto quello che veniva definito “l’eguaglianza dei sessi”, intesa come eguaglianza tra donne e uomini che poi si è trasformata in quella che sono oggi le pari opportunità nel senso più ampio del termine. Significa che all’interno delle pari opportunità non si prende più solo il parametro donne ma si prendono in considerazione tutta una serie di parametri che possono essere legati all’handicap etc. Dunque c’è uno slittamento a livello concettuale che avviene a partire dalla fine degli anni 90. In secondo luogo bisogna considerare il problema della discriminazione orizzontale e ver- ticale, perchè se da un lato si rileva un attenuamento della discriminazione orizzontale, grazie all’aumento di un numero considerevole di donne in ambiti come per esempio il giornalismo che prima era tendenzialmente più maschile, la discriminazione invece verticale, quella che concerne la posizione delle donne all’interno dei quadri dirigenti, in particolare quelle correlate non direttamente alla programmazione ma alla gestione aziendale, non lascia intuire un avanzamento in particolare del ruolo delle donne in questo campo”.

In questa analisi c’è anche da considerare la componente dei tipi di contratto?

“L’altro aspetto importante da considerare è che esiste un problema correlato a quelli che sono i diversi tipi di contratto: l’azienda Srg ha contratti molto diversificati. Noi purtroppo dovremmo concentrarci solo su un certo tipo di professione, ad esempio le giornaliste o tutti i quadri dirigenti, proprio per una questione di dimensione, però non va dimenticato che uno degli aspetti dietro cui spesso una discriminazione di genere si nasconde è quello legato ai tempi di lavoro e alle esternalizzazioni.

E per quanto riguarda l’analisi della programmazione? Fino ad ora abbiamo interrogato gli archivi chiedendoci come i documenta-risti e dunque l’azienda stessa hanno integrato all’interno degli archivi il termine pari opportunità. Secondo quello che abbiamo potuto verificare fino adesso all’interno della Rsi il termine pari opportunità, eguaglianza dei sessi o altro è poco presente. Piuttosto si privilegia il termine “donne” e quindi “donne e salute”,“donne e cultura”, “donne e violenza”, un elemento interessante perchè mostra un certo tipo di approccio alla questione. L’altro aspetto che abbiamo potuto verificare attraverso i primi grafici è appunto il fatto che negli anni 80 c’è un certo interesse per quella che è l’eguaglianza dei sessi con un picco durante gli anni 90 da mettere in correlazione anche con l’agenda politica e poi una netta diminuzione. Dagli anni 2000 in avanti i temi più diffusi rispetto a questa idea di “donne” e riguardano soprattutto l’aspetto di “donne e politica” e “donne e violenza”. L’aspetto del ruolo delle donne o della discriminazione delle donne all’interno del lavoro sembra essere stato maggiormente marginalizzato a favore invece del doppio aspet- to “donne e politica” e “donne e violenza.”

Quale è l’interesse preponderante di questa ricerca?

“Per noi la Srg è un’azienda esemplare perchè è presente su tutto il territorio nazionale e si definisce di servizio pubblico, quindi ci sono due elementi forti per valutare se esistono per esempio delle differenze forti tra un’azienda privata e una di servizio pubblico, per quanto concerne il ruolo delle donne all’interno dell’azienda stessa e se esistono delle differenze regionali forti, di tipo culturale o fattuale. In effetti quelle regionali sono aziende che si gestiscono parzialmente in maniera autonoma, poi dipende dai tempi perchè la Srg passa da una centralizzazione a una regionalizzazione e poi di nuovo ad una centralizzazione. L’altro aspetto interessante che abbiamo integrato è quello sindacale, cioè come tra i par- tner sociali hanno o non hanno trattato l’aspetto delle donne e dell’uguaglianza di genere e se esistono delle differenze”.

È importante avere una referente pari opportunità?

“Il problema di fondo una volta che si nomina un delegato alle pari opportunità è capire quanto tempo ha a disposizione, quale e quanto è il suo margine di manovra e anche quale è in effetti la sua formazione perchè molto spesso questi delegati non hanno delle formazioni specifiche o hanno delle formazioni più di tipo culturale che non correlate al mondo del lavoro. Parlando della Srg quello che noi vediamo è che il programma di promozione delle donne che si è sviluppato teoricamente negli anni 90, accettato a suo tempo e composto di 21 principi e proposte con una organizzazione di delegate alle pari opportunità nelle varie regioni è stato poi smantellato in pochi anni. Si vede come esistono delle difficoltà all’interno di questa azienda, ma anche di altre, in una continuità del messaggio, del lavoro per cui evidente- mente la società cambia, le aziende, le donne sono più presenti però bisogna vedere come queste aziende reagiscono. Io le posso dire che quando abbiamo lanciato il progetto, un membro delle risorse umane o della direzione, per altro la Srg è stata molto gentile perchè ci ha messo a disposizione quanto possibile, ci ha risposto che il problema delle pari opportunità all’interno della Srg non sussisteva”.

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