Corriere del Ticino, 30.06.2012
Di recente sono stati fatti nuovi tentativi politici per rianimare le trattative per l’entrata nell’UE della Turchia. Chiunque sia l’attore di queste manovre dovrebbe osservare con maggior attenzione la situazione della stampa in quel Paese. Infatti è con rammarico che dobbiamo constatare quanto poco i media occidentali parlino delle continue vessazioni di cui i giornalisti e le redazioni in Turchia sono vittime.
Come ricercatore ed esperto di giornalismo non mi vergogno ad ammettere quanto poco io stesso fossi informato rispetto alla pervicacia con cui il primo ministro Recep Tayyip Erdogan forza la stampa ad aderire alla sua linea di Governo, come perseguita gli artisti e gli intellettuali, come impone l’educazione religiosa nella scuole e come cerca di limitare i diritti delle donne.
In Turchia di fatto il premier sta procedendo ad una silenziosa islamizzazione, riuscendo a mandare in frantumi persino il maggiore gruppo mediatico, critico verso il Governo mentre il suo genero è stato nominato alla testa dell’altro grande conglomerato, facendo piazza pulita dei capo redattori non compiacenti. Mentre i giornalisti che esprimono qualsiasi forma di critica devono aspettarsi le ire di Erdogan. Oppure, peggio, vengono arrestati e finiscono in carcere con l’accusa di essere sospettati di terrorismo.
Nella classifica mondiale di «Reporters without Borders» la Turchia in fatto di libertà di stampa occupa il 148. posto – dunque insieme alla Bielorussia è il fanalino di coda dell’ Europa (sempre che questo Paese si possa considerare Europa)-. Per fare un confronto: la Svizzera si trova all’ottavo posto, la Germania al sedicesimo, la Francia al trentottesimo e l’Italia al sessantunesimo. Persino la Russia e l’Ucraina si piazzano meglio della Turchia. E non sorprende che il numero dei giornalisti detenuti in Turchia sia maggiore di quello della Cina o dell’Iran.
Le mie informazioni ho potuto raccoglierle in occasione del convegno annuale organizzato da EJTA, European Journalism Training Association, l’associazione mantello che raggruppa tutte le scuole di giornalismo in Europa. Tenutosi ad Istanbul esso ha dato la possibilità a rinomati ricercatori e giornalisti turchi di esternare la loro costernazione rispetto agli sviluppi drammatici nei riguardi della libertà di stampa nel loro Paese.
Dopo questo convegno, grazie al suo potere mediatico, la star del pop Madonna ha reso attento il globo intero della minaccia alla libertà di stampa in Turchia. Come ha riportato il settimanale tedesco Der Spiegel durante il suo concerto sulla sua schiena c’erano impresse sei lettere, grandi alcuni centimetri, «No fear». Chiunque fosse tra il pubblico ha capito il messaggio: Madonna voleva incoraggiare il popolo turco a non aver paura dei nemici della libertà, dei patriarchi, dei filistei e della polizia che vigila sulla morale e i costumi. La cantante ha anche mostrato un seno sul palco, un chiaro gesto di solidarietà.
Per completare il quadro pochi giorni dopo l’incontro una giovane professoressa che aveva participato al convegno sembra abbia rischiato di perdere il posto. Pare che il decano volesse licenziarla perché un giornale di estrema destra aveva insinuato che fosse un membro del PKK, Partito curdo dei lavoratori, vietato per legge. Solo grazie alle proteste degli studenti il rettore è riuscito ad evitare che fosse cacciata. È evidente che tali tentativi non fanno altro che incrementare il clima avvelenato dalle intimidazioni. Sono queste le giuste premesse per integrare un Paese di tali enormi dimensioni in un’Europa già così scossa dalla crisi?
Traduzione dall’originale tedesco “Finsteres aus der Türkei” a cura di Alessandra Filippi