Dalle proteste di piazza in Grecia alla manifestazione No Tav di sabato 25 febbraio, il tema della contestazione entra di diritto nella narrazione giornalistica di questo mese. Ma come e quanto viene raccontata? Vecchi stereotipi, stili di linguaggio abusati ma anche informazione alternativa veicolata sfruttando le nuove tecnologie: ecco cosa emerge da una panoramica di informazione e “controinformazione” .
La violenza in prima pagina
“Una camionetta della polizia in fiamme. Sulla destra, a terra, due agenti contro i quali i dimostranti stanno scagliando sassi e altri oggetti”. La didascalia è di cinquanta anni fa, anche se potrebbe essere scambiata per una di oggi. E’ stata pubblicata il 1 luglio 1960 sul Corriere della Sera . I termini più usati per descrivere le contestazioni di allora sono “folla accaldata” sul Giorno, “gruppi di scalmanati” sul Corriere. Quest’ultimo ricorre di frequente anche a “estremisti”, “violenti”, “facinorosi”, “i tumultuanti”, “la schiera dei violenti”. Una panoramica sui linguaggi davvero interessante che è possibile rispolverare attraverso il saggio di Mario Isnenghi “Forme e ideologia della informazione quotidiana”, pubblicato da Laterza nel 1976 all’interno del volume “La stampa italiana nel neocapitalismo”. La narrazione di episodi di contestazione sulla stampa italiana a maggior diffusione viene anche oggi imperniata sul tema della violenza.
Se consideriamo le recenti proteste in piazza Syntagma, troveremo che ad esempio sul sito di Repubblica le immagini più frequenti sono quelle di una città in fiamme. Anche sul piano linguistico, l’esplosione (quindi l’azione discontinua di rottura) è ricorrente: “in piazza esplode la rabbia”, “violenti scontri”, “infuria la protesta”, “bruciano banche e negozi, Atene in fiamme”, “brucia Atene, i palazzi in fiamme”, “Atene, in piazza esplode la rabbia”, “scontri”, “battaglia a oltranza”, “molti feriti, edifici in fiamme”. Espressioni che ribadiscono il tema della violenza e che si ritrovano nei titoli di articoli e di link a foto e video, come pure nel corpo degli articoli: “Esplosioni, lanci di bombe carta e molotov”, inizia così un pezzo per il web del 12 febbraio. Il linguaggio violento colora la narrazione anche sul Corriere del giorno dopo: bisogna scegliere tra “la pistola alla tempia” dei partner internazionali e “le manifestazioni popolari al limite di rottura”, “passano i cortei, si accendono i fuochi (…) con contorno di scontri”, “entrano i rumori della manifestazione e con i rumori anche un po’ del fumo dei lacrimogeni”.
Azioni e ragioni
Molto spazio alle azioni e, in proporzione, poco alle ragioni. Immediatamente dopo la manifestazione del 12 i giornali italiani ed europei tentano una rappresentazione delle “voci dal popolo”. Come su Le Monde viene rappresentata la “vita quotidiana dei greci”, così su Repubblica compaiono a pagina 11 del 14 febbraio le “figurine” de “il giovane, lo statale, il poliziotto, l’operaio”, ciascuno con la propria storia in breve. Tuttavia Le Monde riconduce le storie di disperazione anche e soprattutto alle politiche di austerità recenti, inquadrando per quanto possibile un malessere diffuso in tutte le classi sociali. Su Repubblica invece la rappresentazione folkloristica (“viaggio tra gli umori della gente”) appare sussunta pure graficamente sotto un titolo e un fine positivi: la parola “sacrifici” campeggia in alto, i “disagi” sono per l’appunto “sacrifici” se si intendono finalizzati a un obiettivo. Temi e ragioni popolari che tendono in ogni caso a scomparire nei giorni seguenti: dal 15 febbraio a oggi, nella rappresentazione giornalistica mainstream le ragioni della piazza, già flebili in confronto all’enfasi data alla violenza, non hanno quasi più voce. A dominare il campo mediatico è invece la trattativa tra governi europei, assieme al dibattito sul futuro economico della Grecia e sulla sua eventuale uscita dall’euro. La piazza scompare, mentre fa capolino qualche sporadica riflessione sul sistema partitico greco e sulle future elezioni, ma sempre in modo funzionale alle valutazioni sulla stabilità politico-economica europea.
Tensione e contestazione
Anche la protesta No Tav viene associata dalla stampa maggioritaria alla violenza. In realtà domenica 25 febbraio si tiene in Val di Susa una manifestazione pacifica, a protestare sono decine di migliaia di persone. Eppure dall’osservazione della stampa i dati colpiscono: alla contestazione non violenta viene data pochissima copertura mediatica sui giornali mainstream. Domenica 26 febbraio la Repubblica dedica alla vicenda il taglio medio di pagina 19 – poche righe sotto la sperimentazione sulle scimmie e sopra le polemiche su Coca Cola. Nell’occhiello si fa peraltro riferimento agli unici scontri avvenuti, e che stando ad alcuni video indipendenti sarebbero stati determinati da cariche della polizia. Sul Corriere dello stesso giorno la notizia è a pagina 24, il titolo parla di un agente ferito e di sassi su un’ambulanza. Nell’articolo Marco Imarisio insiste: “è inutile distinguere tra buoni e cattivi”, tra violenti e non; sono i No Tav a decidere quando essere violenti e quando no. Insomma, anche dopo una manifestazione in cui gli scontri hanno un ruolo marginale, è la violenza l’oggetto di discussione stando alla rappresentazione che ne danno i due giornali più venduti. Si distingue il 25 febbraio la Stampa, il giornale torinese, tra i pochi a gettare luce e inchiostro (attraverso le ultime novità dell’operazione Minotauro) sulle collusioni tra ‘ndrangheta e alta velocità. Un altro aspetto interessante è il clima mediatico prodotto prima della manifestazione: il 22, 23 e 24 febbraio, in una sorta di crescendo, la violenza incontrollata diventa oggetto di articoli e riflessioni. Il 22 e 23 febbraio la contestazione al procuratore Caselli occupa pagine intere su Repubblica e Corriere. Anche stavolta la protagonista del racconto è la violenza: “bombe carta, insulti, caos”, “clima pesante nel Paese”. Il giorno dopo sulle pagine 14 e 15 di Repubblica, 22 e 23 del Corriere, trova ampio spazio la dichiarazione del prefetto Antonio Manganelli, che fa riferimento al fenomeno anarchico in generale, affermando che “solo per fortuna non ci è ancora scappato il morto”. “La violenza sotto traccia” è l’editoriale a firma Bianconi pubblicato sul Corriere il giorno dopo – siamo al 24 febbraio.
Controinformazione ieri e oggi
A trovare poco spazio saranno invece, il giorno dopo e anche la domenica, le ragioni dei manifestanti. Ma sia nel caso greco che in quello del movimento No Tav a colmare queste lacune è la cosiddetta controinformazione. Sono in molti a notare come in Italia la controinformazione non abbia fatto altro che riempire le mancanze profonde dell’informazione mainstream: lo hanno fatto, in forme diverse, coloro che hanno studiato la controinformazione nel Belpaese (ad esempio Massimo Veneziani e Carlo Lucarelli) e quelli che l’hanno prodotta (come Peppino Impastato che nel manifesto programmatico di RadioAut intendeva “controinformazione” come “notizia che discende direttamente dal sociale”, ovvero il “dare voce ai pescatori, contadini, donne, disoccupati”, insomma ai meno garantiti). In teoria bisognerebbe distinguere tra “l’informazione alternativa e la controinformazione propriamente detta”, affermavano Umberto Eco e Patrizia Violi negli anni Settanta, nel saggio “La controinformazione”. Nella pratica “indicheremo genericamente come “controinformazione” tutti i casi di uso dell’informazione per fini contestativi o rivoluzionari”, scrivevano i due studiosi, che facevano risalire la nascita del fenomeno in Italia alle prime lotte studentesche. I mezzi potevano essere i giornali di fabbrica, i volantini, le scritte murali, i videotape, i sit in… Anche la radio ha avuto un ruolo fondamentale, che si è poi ammorbidito negli anni. Oggi sono prevalentemente i social media a colmare i vuoti dei media tradizionali e a fare “controinformazione”. Su twitter vengono scambiate informazioni utili per la protesta ma anche notizie che i media non danno: lo dimostra il caso greco, basti vedere qualche tweet esemplare, e lo dimostrano le proteste No Tav. Su twitter e su facebook trovano maggiore spazio le ragioni della protesta, e anche i tempi dell’informazione sono più aderenti alla realtà. L’hashtag Syntagma, ad esempio, verrà twittato molto più a lungo del paio di giorni dedicati dai giornali alla protesta. Anche i siti internet tradizionali sono veicoli diffusi di controinformazione: quelli più seguiti, per ciò che riguarda la Val di Susa, sono www.notav.info, www.notav.eu e www.lavallecheresiste.info . Come dimostra inoltre ancora una volta il caso No Tav, anche la raccolta di video e testimonianze “dal basso” (ad esempio su YouReporter) ha un ruolo chiave nella “contro”informazione. È talmente utile nel far circolare altri punti di vista e aspetti taciuti della realtà, da dover essere ripreso infine anche dalla stampa mainstream.
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