Neue Zürcher Zeitung, 25.09.2012
I giornalisti hanno influito sulla decisione di abbandonare il nucleare?
Sebbene molto avvincenti i risultati che due ricercatori dei media dell’Università di Magonza hanno ottenuto con la loro ricerca i giornalisti fin’ora non gli hanno dedicato molta attenzione. Hans Mathias Kepplinger e Richard Lemke, entrambi professori delle Scienze della Comunicazione, hanno condotto una ricerca sulla lettura mediatica del dopo Fukushima analizzando tutti gli articoli relativi alla catastrofe nucleare pubblicati in Germania e in Svizzera, dove è poi avvenuta una piccola rivoluzione nella politica energetica, e in Francia e in Gran Bretagna, dove al contrario, non vi é stato nessun cambiamento.
Quattro paesi sotto osservazione
Per ogni paese i due ricercatori hanno analizzato due importanti quotidiani di qualità, il Tages-Anzeiger e la Neue Zűrcher Zeitung per la Svizzera, la Süddeutsche Zeitung e il Frankfurter Allgemeine per la Germania. Al fine di rendere obiettivo il confronto dei dati, nello studio si sono inseriti anche i telegiornali più importanti. Già i primi dati scaturiti hanno evidenziato notevoli differenze. Quattro settimane dopo l’incidente al reattore i giornali e i telegiornali tedeschi avevano proposto al pubblico 577 reportage su Fukushima, in Svizzera 521, mentre in Francia solo 319, in Inghilterra ancor meno 271. Dunque è evidente che i giornalisti tedeschi hanno dedicato a questo tema il doppio dell’attenzione rispetto ai colleghi britannici.
Ancora più impressionanti le differenze nelle descrizioni e nelle valutazioni dell’evento: i media britannici e francesi si sono concentrati principalmente sull’incidente in Giappone, quelli tedeschi e svizzeri hanno invece diretto la loro attenzione sulle eventualità e sulle conseguenze che un tale incidente può avere nel proprio paese. Cosi Kepplinger riassume il suo studio: “ I media tedeschi e svizzeri, a differenza di quelli francesi e britannici, hanno spesso avanzato la proposta di abbandonare l’energia nucleare. Nel novanta percento degli articoli si analizzavano le possibilità reali di un’uscita dall’atomo o almeno l’opportunità di una moratoria. L’incidente di Fukushima è stato interpretato come un avvertimento, come la premonizione di una catastrofe che esige di trarre drastiche conseguenze”.
“Tutte e quattro le nazioni analizzate sono più o meno ugualmente distanti dal Giappone, nessuna di loro è esposta a catastrofi naturali di questa portata e le misure di sicurezza sono simili” sottolinea lo studioso. Dunque la copertura mediatica fortemente negativa in Germania e in Svizzera non si può spiegare con “la natura dell’evento”. Le differenze nell’importanza dedicata alla catastrofe del reattore e la sua caratterizzazione sono da attribuire con grande probabilità a “un modo di pensare preesistente e a delle opinioni consolidatesi nel tempo tra i giornalisti di questi quattro paesi”.
Kepplinger ha potuto constatare che in quasi tutti i media osservati era evidente una corrispondenza tra l’opinione sostenuta dal giornalista, autore dell’articolo, e il giudizio degli esperti consultati, ovvero tradotto in parole semplici, i giornalisti davano la parola principalmente a quegli esperti che confermavano la loro opinione. Così, per fare un esempio, ne Le Figaro le dichiarazioni favorevoli al nucleare dei giornalisti venivano sostenute dagli esperti chiamati in causa, mentre le dichiarazioni dei giornalisti della Süddeutsche Zeitung, non favorevoli, erano affiancate dalle opinioni di esperti contro l’energia nucleare. La NZZ è stata, a parere degli esperti, l’unica che si è distanziata da tale pratica.
Scarsa attenzione per lo Tsunami
Kepplinger fornisce poi altri dati che fanno riflettere. Nel marzo 2011 il terremoto al largo delle coste del Giappone ha causato due catastrofi ben distinte. Si stima che lo tsunami abbia causato la morte di più di
30 000 persone. Mentre per ora l’incidente al reattore di Fukushima ha causato la morte certa di solo tre persone e si calcola che in futuro possano perdere la vita altre 100/ 1000 persone a causa dello sviluppo di patologie cancerogene.
Lo studio è stato finanziato dalla Fondazione Demoscopica Allensbach. I ricercatori hanno pubblicato i risultati del loro studio sul quotidiano Die Welt durante il buco estivo, suscitando di conseguenza poco interesse. Kepplinger conferma che, tranne un unica lettera di un lettore del giornale, non c’è stata nessuna reazione alla pubblicazione dei suoi dati. Questa scarsa eco è particolarmente deludente e preoccupante sia per l’impatto politico della svolta energetica, sia per l’importanza dei risultati dell’indagine. Kepplinger aggiunge di non esserne stupito particolarmente, perché come ricercatore di lunga data, ha già potuto constatare in passato che i giornalisti intenzionalmente enfatizzano o minimizzano le notizie: “La maggioranza dei giornalisti non vuole mettere in dubbio l’uscita dall’atomo e non desidera che si parli del modo tendenzioso in cui le notizie sono state date”
Altri tre fattori possono aver contribuito alla scarsa risonanza data allo studio. Il primo è che la ricerca evidentemente non è stata spedita né alle agenzie stampa né alle redazioni di giornali. Al giorno d’oggi questo è può influire fortemente perché specialmente nel periodo estivo, le redazioni sono ridotte all’osso. Nei mesi caldi succede ben poco in ambito giornalistico. Il secondo fattore è che le redazioni non amano invitare i loro lettori a leggere una notizia pubblicata per la prima volta dalla concorrenza. Il terzo è che da sempre la ricerca sui media non riscuote il favore tra gli addetti al settore, tanto più in questo specifico caso in cui si evidenzia come una decisione politica epocale sia stata pilotata dagli stessi media.
Traduzione dall’originale tedesco “Haben Journalisten die Energiewende herbeiheschrieben?” a cura di Alessandra Filippi
Tags:disastro nucleare, Fukushima, Mathias Kepplinger, media, Richard Lemke