Uno degli assiomi di base che porta a ritenere che le prospettive dell’industria editoriale siano inevitabilmente proiettate verso l’area digitale e online è la differenza che esiste attualmente tra il tempo che mediamente viene dedicato a ciascun media e gli investimenti pubblicitari allocati per ogni mezzo allo stato presente.
Dati (vd. immagine), citati a più riprese da fonti diverse, mostrano come l’online, ed attualmente ancor più tutta l’area legata al web in mobilità, abbia prospettive di raccolta pubblicitaria davvero rilevanti a danno prevalentemente della carta stampata che, al contrario, oggi assorbe investimenti apparentemente sproporzionati rispetto al tempo che le persone dedicano ad essa.
Se certamente si tratta di una fotografia della situazione reale, come tutte le istantanee racconta solo una parte, modesta, del filmato, per restare nella metafora, del percorso, rischiando di trarre in abbaglio chi si basasse solo su questo elemento. Meglio qualificare e specificare.
In primis, come noto, il modello dominante, basato sui CPM non si fonda sul tempo ma, come dice il termine, sul numero di volte che l’annuncio viene visualizzato e, dunque, essenzialmente dal volume di utenti che visita un determinato sito.
Attualmente dunque, il tentativo di, un modello di business sostenibile per la versione online dei quotidiani, e più in generale dei giornali, pare fondamentalmente concentrarsi, ad oggi, sui volumi, sulle quantità di traffico, di accessi al sito web. Le recenti mire espansionistiche del The New York Times con l’edizione indiana, del Guardian in versione dedicata specificatamente agli USA, El Pais verso l’America Latina, ed ora anche la globalizzazione dell’Huffington Post, rappresentano, nella mia decodifica, l’evidenza più concreta di questo approccio. Lo testimonia, anche, l’utilizzo prevalente dei social network come veicolo esclusivamente atto a promozionare i contenuti sul sito per, appunto, portare visitatori allo stesso.
In termini di tempo, inoltre, la battaglia sembra essere vinta dai social network che hanno visto triplicare negli ultimi anni la quantità di tempo che le persone trascorrono mentre navigano in Rete arrivando a pesare attualmente circa un quinto del totale.
Al concetto di tempo speso vanno necessariamente abbinati due elementi: quelli di coinvolgimento e di attenzione. Entrambi elementi che non sembrano attualmente, in generale, essere favorevoli all’industria dell’informazione. Come dimostra sia la scarsità di tempo che viene dedicata dai lettori alla visita all’edizione dei principali quotidiani italiani, per restare in casa nostra, o la forte autopromozionalità registrata dallo studio “Digital Advertising and News” pubblicato la scorsa settimana da Pew Research Center Project for Excellence in Journalism che ha analizzato 22 siti di organizzazioni editoriali diverse, dai quotidiani ai broadcaster passando per magazines e aggregatori, esaminando 5.300 annunci pubblicitari pubblicati a fine gennaio di quest’anno, testimonianza, a mio avviso, di debolezza.
Preziosa in tal senso, la tesi di Alan D. Mutter, autorità riconosciuta del settore, che spiega come la rincorsa verso il traffico online ha posto le organizzazioni editoriali in una condizione di ” grandi audience e scarsi ricavi”. Un errore strategico nell’epoca in cui la fedeltà dell’utenza, la passione, il coinvolgimento sono la chiave per costruire un business sano e profittevole per le imprese editoriali.
Mutter riassume la formula di calcolo e valorizzazione su come misurare l’immisurabile: il coinvolgimento del visitatore ad un sito web, al quale si aggiunge il recente contributo di Alan Pearlstein, Presidente-CEO di Cross Pixel Media, che qualifica ulteriormente significato e valore del tempo speso rispetto ai parametri attualmente prevalenti.
Come emerge dal documento di analisi realizzato dallo staff di The Economist, l’esistenza di un gruppo di persone, la massa intelligente, così come viene definita, sufficientemente ampio ed altrettanto evoluto può rappresentare il nucleo centrale di riferimento per contenuti di valore non massificati che costituiscano elemento di qualificazione e differenziazione atti a rendere sostenibile, anche, economicamente il passaggio da un approccio essenzialmente quantitativo ad uno maggiormente improntato su criteri qualitativi.
Anche in questo caso, come sempre avviene, si tratta di spazi non illimitati dove solitamente, a parità di condizione, i first comers riescono a guadagnare posizioni di rilievo difficili poi da scalfire da parte di altri che entrano successivamente.
Insomma, per guadagnare attenzione e coinvolgimento delle persone chi ha tempo non aspetti tempo.