In rete, interattivo e accessibile

29 Maggio 2008 • Digitale • by

Neue Zürcher Zeitung, 09.05.2008

Alla ricerca di un nuovo giornalismo
L’informazione la vogliono tutti. Ma quanto si è disposti a pagare? 150 esperti si sono riuniti nella sede californiana di Yahoo per riflettere sul futuro del giornalismo.

Si può fare?
Organizzare una conferenza internazionale per il futuro del giornalismo come lo vedono e immaginano gli organizzatori: dunque in rete, interattivo e accessibile a tutti? Non per niente l’evento si è distinto dai soliti convegni per l’assenza degli abituali frequentatori del circo mediatico e per la presenza di 150 professionisti della Silicon Valley californiana che in qualche modo operano nell’ambito del giornalismo e della formazione o che si intendono di tecnologia dei media e comunità virtuali – disponibili tra l’altro ad investire 4 giorni più le tasse di iscrizione.

Gli organizzatori hanno creduto nella regola del fai da te e nel principio secondo il quale chi vuole imparare qualcosa partecipa e ha anche qualcosa da dire. A “Journalism that matters” – così’ Chris Peck co-organizzatore e capo redattore di “Commercial Appeal” a Memphis – ha attirato VIPs, visionari, innovatori e cercatori di possibilità.

Il luogo dell’evento è stato scelto con attenzione e senso. Ci si è incontrati nel ventre del gigante Yahoo a Sunnyvale, lo stesso che Microsoft ha cercato di acquisire. Il “gigante” si è rivelato un cordiale padrone di casa. Non solo gli utenti del cyberspazio hanno atteso l’evento – ovvero coloro ai quali Yahoo significa tutto – ma anche e soprattutto i rappresentanti della “vecchia” industria mediatica che rischia di essere inghiottita da questo colosso che ne risucchia le notizie e i contenuti.

Il giornale su misura
Date le circostanze è impensabile riassumere tutto ciò che stato detto. Due sono tuttavia i progetti in evidenza tra i tanti e in grado di creare sinergie: il Daily Me, di cui si è sempre continuato a parlare negli ultimi anni – un giornale virtuale che si può comporre di 2000 offerte online a seconda delle necessità dell’utente – ora si trova in una promettente fase di prova (www.dailyme.com). Anche il tentativo di lasciar valutare al pubblico interessato le differenze di qualità nel giornalismo, rendendole di conseguenza più trasparenti, è progredito a tal punto che vale la pena di cliccare sul relativo sito web (www.newstrust.net).

Notevoli rimangono tuttavia le dinamiche e l’atmosfera dell’evento. Il processo di networking ha funzionato portando alla luce nuove idee e iniziative . Credo che nessuno abbia lasciato la conferenza senza aver imparato qualcosa.

Nostalgia di un bene comune
Si è potuto constatare una volta di più quanto divisa sia attualmente l’America, in cui i giovani si confrontano con i media tradizionali e commerciali con grande scetticismo. C’è un grande desiderio di impegnarsi in comunità virtuali, soprattutto nell’interesse pubblico comune pubbliche – benché rime sorprendentemente vago in cosa consista il “public interest” continuamente tirato in ballo. La maggior parte dei partecipanti ha contestato il “servizio alla democrazia” che viene applicato meccanicamente e distrattamente di volta in volta al proprio progetto, considerato di pubblica utilità per il fatto stesso che non comporta un profitto.

L’altro slogan che aleggiava sulla conferenza era “fare profitto” (monetizing). Si cercano febbrilmente in internet nuovi modelli economici per il giornalismo. Quando nei giri di apertura è stato chiesto chi avesse già fatto fallire un progetto, quasi una persona su due ha alzato la mano. Non ci si vergogna, ma si impara dai fallimenti e si prova ancora una volta. Dan Gillmor, il guru del giornalismo partecipativo, che attualmente si occupa di Digital Media Entrepreneurship presso la Arizona State University, puntualizza così: «Non ci sono mai stati tempi migliori per inventare il proprio lavoro. I costi per sperimentare in internet sono praticamente nulli».

È stimolante anche il fatto che si sia tornati a discutere di micropagamenti come non si era più fatto da tempo. Da un lato si sogna un giornalismo migliore e si percepisce sempre più quanto poco si venga a sapere in America dalla televisione e anche dai giornali di ciò che accade al di fuori dell’orizzonte della porta di casa. Dall’altro non ci si vuole rendere conto che il giornalismo di qualità deve costare denaro al consumatore finale. Una partecipante ha detto chiaro e tondo di essere cresciuta fin dall’infanzia con le informazioni gratuite su internet, e che non riuscirebbe più ad immaginarsi «di dover pagare qualcosa per informarsi».

Il convegno ha lasciato intravedere una volta di più il terreno pericoloso su cui ci muoviamo a velocità folle: una “democrazia” di abitanti terrestri allegramente disinformati, che nella sovrabbondanza della disinformazione si godono la loro “razionale ignoranza”. Sempre più suoni e video, testi lunghi quanto un sms che anche un analfabeta può comprendere. Tutto rigorosamente interattivo – tutti blaterano con tutti, chiunque può dirsi giornalista e/o esperto. Ma questo è ancora “giornalismo”? Probabilmente abbiamo bisogno più che mai di navigatori che ci procurino orientamento nella marea di informazioni che ci inonda – ma dovremo capire che il settore pubblicitario non finanzia più trasversalmente in maniera così generosa questi servizi come ha fatto fino ad ora.

Fra gli organizzatori anche tre esperti dei media, impegnati socialmente per il forum in qualità di privati; e inoltre mediagiraffe.com – un ulteriore progetto degno di nota, che offre una piattaforma comune in internet a coloro che cercano nuove strade nel giornalismo. Il convegno era quasi paragonabile al centro interculturale di documentazione con cui il padre gesuita e filosofo Ivan Ilich negli anni ‘70 attirava personalità da tutto il mondo nelle sue summer schools a Cuernavaca, in Messico. A quel tempo tuttavia nell’idillica enclave ci si ritrovava in un gruppo ristretto. Questa volta il rumore mediale di fondo era onnipresente. Non c’era neanche un partecipante che durante il convegno, grazie a Blackberry e laptop, Wifi e Skype, non fosse allo stesso tempo presente e lontano; e il tutto, registrato da videocamere, è stato messo live in rete. Citando liberamente Shakespeare: molto rumore – ma almeno non per nulla.

Traduzione: Marta Haulik