Se la notizia dei ritrovamenti ossei di Riccardo III ha fatto il giro del mondo, altrettanto ha fatto l’acquisto per centinaia di milioni di dollari da parte del più controverso magnate mediatico dei nostri tempi, Rupert Murdoch. “E’ un sogno che diventa realtà”, ha detto il tycoon ai giornalisti, “Riccardo III è più di una figura storica, per me è un modello al quale guardare”. Una affermazione che oltre a far parlare di sé, fa riflettere su come la storia, anche la più remota, con i suoi protagonisti e le sue vicende, abbia un forte ascendente su noi uomini moderni, dotati e circondati oggi di tante e più sofisticate tecnologie ma, nella sostanza, uomini di carne ed ossa. Alex C. Madrigal, esperto di nuovi media sul The Atlantic, per interpretare la rivoluzione digitale che sta sconvolgendo il mondo dell’informazione, propone un salto indietro fino agli inizi del 18 secolo, quando i giornali rappresentavano una novità e si preparavano a cambiare gli scenari dell’informazione. E quando il padre del romanzo inglese, Daniel Defoe pubblicò “Il giornale dell’annata della peste” (1722). Come spiega l’autore nel sottotitolo, si tratta di un resoconto “Contenente osservazioni o testimonianze sugli avvenimenti più notevoli, pubblici e privati, che ebbero luogo a Londra durante l’ultima grande epidemia del 1665; scritto da un cittadino che visse durante tutto quel tempo a Londra, e finora inedito”. Defoe appare come un moderno “cittadino giornalista” abile nel catturare l’attenzione del pubblico in uno scritto che oggi potrebbe essere un blog. In realtà egli era un giornalista a tutti gli effetti, affascinato dal comprendere l’origine e ed il flusso delle informazioni, chi e che cosa conferisce autorevolezza alle notizie, come le persone riescono a cogliere il senso delle informazioni e chi scrive a discernere la realtà dalla finzione: “Non avevamo i giornali stampati per diffondere le voci e fare il resoconto di ciò che accade migliorandolo con la fantasia. Le informazioni però si potevano apprendere dalle lettere dei mercanti che giungevano dall’estero e da queste si diffondevano oralmente cosicché in tutta la nazione non si veniva immediatamente a conoscenza dei fatti come avviene ora”. Si colgono nelle sue parole un certo scetticismo ed una certa ambivalenza nei confronti dei giornali che, dice, “diffondono voci”. Una diffidenza data dalla difficoltà di gestire un improvviso sovraccarico informativo, che porta lo scrittore a mantenere una distanza critica verso ciò che riporta. Un problema che si ripropone oggi con i nuovi media e internet. L’esistenza di Defoe, scrive Madrigal, era determinata da Dio, nell’interpretazione del mondo egli vi coglieva qualcosa di spirituale. L’esistenza dell’uomo moderno è invece determinata dalla tecnologia. Madrigal mette in guardia da quella che per alcuni è diventata una nuova religione, una forza onnipotente e onnipresente, che mina il nostro modo di essere, la nostra vita le nostre relazioni umane, rendendole più inconsistenti e superficiali. Una forza rispetto alla quale, guardando Defoe, faremmo bene ad assumere un atteggiamento più distaccato e critico, evitando di vedervi quello che non c’è. “A volte una nuvola è solo una nuvola”, dice il giornalista, così come, in fondo, ogni era è stata un’era dell’informazione. Non temiamo la nostra dunque, affrontiamola con l’umiltà e la saggezza di chi conosce il suo passato.
Pubblicato su Il Corriere del Ticino, 09.02.2013
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