Un report del Media Insight Project, un’iniziativa dell’American Press Institute e dell’Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research ha recentemente analizzato alcune credenza largamente diffuse su come il pubblico (almeno negli Usa) entra in contatto con le news e quali gli strumenti principali per farlo. The Personal News Cycle è uno studio basato su un sondaggio che ha interessato circa 1500 adulti americani, realizzato a inizio 2014 e ha analizzato le pratiche di approvvigionamento delle news e le scelte di consumo del pubblico statunitense.
Tom Rosenstiel è executive director dell’American Press Institute e, per 16 anni, ha diretto (e fondato) il Project for Excellence in Journalism del Pew Research Institute di Washington, forse il più importante centro studi degli Usa che, periodicamente, pubblica ricerche di grande impatto sui media americani. Oltre a questo, è anche vice-presidente del Committee of Concerned Journalists. Lo abbiamo intervistato per discutere alcuni tra le questioni aperte del giornalsimo digitale.
A suo dire, qual è il risultato più sorprendente della vostra ricerca?
“Penso sia l’
aver riscontrato come i nostri comportamenti tecnologici e il nostro consumo di news non siano connessi all’età e alle generazioni, come invece spesso si pensa. Le persone di diverse generazioni sono arrivate a usare la tecnologia per fruire le news. Non è poi così sorprendente se si pensa a quante persone camminano per strada con gli smartphone, o altri gadget, in mano. Quando si pensa al consumo di news, però, spesso si ha la tendenza a pensare che le persone più in là con gli anni leggano le notizie sulla carta, mentre quelle più giovani utilizzino i social media. Questa è a tal punto una semplificazione dozzinale da essere falsa. Se i giovani utilizzano i social media certamente di più che gli adulti, nemmeno per loro si tratta dell’unica via di informarsi. La verità è che le persone di qualsiasi età utilizzano la tecnologia nel mondo che ritengono più congeniale per loro. Adattiamo gli strumenti a noi stessi molto più di quanto ci adattiamo agli strumenti”.
Qual è il messaggio per gli editori e i media manager?
“Occorre essere presenti su tutte le piattaforme. Il modello, in questo senso, potrebbe essere la Espn. Sono l’esempio di un’azienda che si è concentrata sui loro argomenti più che sul loro medium. Trattano di sport e lo fanno dappertutto. Sono digitali, sono mobile, sono un broadcaster, sono un canale via cavo. Una seconda cosa che suggeriscono i nostri risultati è che le aziende mediatiche devono decidere quali argomenti o brand sono fondamentali per la loro sopravvivenza e puntare su quelli. Questo perché sono proprio gli argomenti a influenzare dove andranno i lettori e in che modo. Devi avere una manciata di argomenti che ti caratterizzano e che sono davvero la tua esclusiva. La terza cosa è che devi conoscere la tua audience perché sarà lei a determinare dove i lettori vogliono andare e, di conseguenza, devi essere capace di capirlo e interpretarlo. Perché vengono da te? Cosa si aspettano di trovare? Se non dai loro risposta, li perderai perché esistono tantissime alternative. Gli esempi non mancano: MySpace è stato eclissato da Facebook e Google ha fatto lo stesso con Altavista. A chiunque potrebbe capitare di fare la stessa fine per via di qualcuno che sta sviluppando una versione migliore di quello che tu stai già facendo”.
La fiducia nei confronti dei giornali è uno degli argomenti che emergono più chiaramente dal vostro report. Pensi che questa vada a vantaggio soprattutto dei media tradizionali?
“Una cosa interessante è che le persone differenziano tra cosa un gruppo mediatico è e quello che questo fa; sanno ad esempio che Twitter non è una news organization e che i social media sono un modo di scoprire le news. Le persone fanno queste differenziazioni e dicono di preferire ricevere le notizie direttamente dall’organizzazione che sta raccogliendo le news. E per la maggior parte dei casi questo avviene con i media tradizionali. I lettori non hanno più un’unica fonte di notizie e non sono più così tanto abitudinari, al contrario, sono molto più attenti a quello che è comodo per loro. Forse le persone hanno più pazienza nei confronti dei media tradizionali, ma di sicuro non li utilizzeranno più allo stesso modo. I media tradizionali devono dimostrare di star usando la tecnologia per diventare più comodi da fruire e che stanno offrendo vera qualità”.
Se guardiamo al futuro da qui a cinque anni quali saranno i trend a emergere e quali, invece, sono destinati a perdere peso?
“
Il mobile è inevitabile. Quando gli smartphone, che ora hanno solo sei anni di vita, o i tablet erano rivoluzionari, abbiamo visto come le persone potevano accedere alla rete in modi sempre più comodi. E lo stesso sta avvenendo ora con la wearable technology. Non sappiamo quanto peso avrà, ma succederà in un qualche modo. Un altro aspetto ha a che vedere con la pubblicità: sta cambiando, sta evolvendo e non sappiamo ancora che forme avrà nel futuro. Non abbiamo mai risolto davvero la questione su come la pubblicità funzioni davvero sugli schermi dei computer e sappiamo ancora meno di come questo avvegna sugli schermi portatili né tantomeno alcuna idea su come potrà essere sugli smartglasses. Quello che è stato davvero spazzato via nel modo dei media sono i ricavi. Non la domanda di notizie, ma i ricavi e la copertura di notizie. Penso che i cambiamenti stiano avvenendo talmente in fretta che i ricavi saranno ancora meno certi per un po’ di tempo”.
Articolo tradotto dall’originale inglese
Photo credits: Joakim Formo / Flickr CC
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