Nel 2008, quando lavoravo in un giornale locale in lotta per la sopravvivenza (il Guelph Mercury in Canada, ora chiuso), ho cominciato a chiedermi perché, se le notizie sono così essenziali per la democrazia, ci affidiamo ai capricci degli inserzionisti e alle instabili abitudini dei lettori per sostenerle. Sebbene le no-profit nell’informazione esistessero da molto tempo già allora – l’Associated Press è stata fondata negli anni ’40 dell’Ottocento e la Npr negli anni ’70 – questa nozione è rimasta a lungo oscura nel settore. Mi facevo questa domanda prima che ProPublica vincesse il suo primo Pulitzer nel 2010, per una storia sul decision making dei medici durante l’emergenza Katrina ed era prima che “Panama Papers” diventasse un nome noto. E sopratutto, era prima che una redazione no-profit offrisse l’idea centrale per l’ultimo romanzo di Jonathan Franzen, Purity, divenuto poi un best seller. Molto è cambiato da allora, e ho provato a darvi un senso nel mio nuovo libro, Journalism Without Profit: Making News When the Market Fails.
L’informazione no-profit è un settore in crescita
Nel 2009, un gruppo di imprenditori giornalistici ha tenuto un meeting che oggi potremmo vedere come il punto di partenza per il campo dell’informazione no-profit. Anche se Ap e Npr esistevano da molto tempo, l’informazione senza scopi di lucro per come la intendevano loro dieci anni fa era una creatura differente: si trattava, per lo più, di piccole startup online create in risposta alle preoccupazioni riguardo alla produzione di informazione di qualità nel mondo digitale e post crisi finanziaria. Fino al 2009, quelle organizzazioni operavano in relativo isolamento, ma quando fu fondato l’Institute for Nonprofit News (Inn) proprio in occasione di quella conferenza, queste organizzazioni hanno cominciato a collaborare come un gruppo, un gruppo in cui i membri erano in grado di imparare gli uni dagli altri. Attualmente, l’Inn funziona come un organismo professionale, assicurandosi che i membri siano trasparenti sui loro finanziamenti, che producano giornalismo di effettiva qualità e che offrano formazione e opportunità di condivisione delle best practice.
Oggi il settore ha alcuni attori ben avviati e longevi, come il Center for Investigative Reporting, alcuni membri più giovani, ma riconosciuti internazionalmente come ProPublica, e una serie di testate più piccole, spesso locali. E mentre il giornalismo mainstream continua a lottare per assicurarsi un futuro, specialmente negli Stati Uniti, molte di queste organizzazioni stanno giocando ruoli sempre più importanti nel panorama mediatico. I contenuti di molte di esse sono stati ripresi da grandi testate, e alcune hanno contribuito alla formazione di giornalisti mainstream o studenti di giornalismo, aiutandoli a sviluppare capacità specifiche, come quelle di data journalism, mapping, e altro ancora.
Sebbene molti di questi attori stiano crescendo in termini di influenza e rilevanza, la maggior parte rimane però ancora di modesta entità in confronto ai giornali e alle emittenti che le circondano. Tale consapevolezza ha portato alla domanda che sta alla base del mio libro: se l’informazione no-profit è sempre più essenziale per l’informazione di qualità, investigativa e watchdog, che cosa rende queste realtà, spesso molto marginali, in grado di contribuire a ciò che le organizzazioni più note e meglio finanziate sempre più spesso non riescono a fare?
Il potere della collaborazione giornalistica
La risposta, in una parola, è collaborazione. Le collaborazioni giornalistiche sono sempre più frequenti, perché semplificano gli sforzi delle redazioni per offrire giornalismo di qualità a un pubblico sempre meno numeroso. L’informazione no-profit ha già capito da un pezzo il potenziale della collaborazione: lavorando con diverse organizzazioni, i giornalisti dell’informazione senza scopi di lucro possono mettere a frutto le proprie capacità e amplificare la propria voce. Inoltre, forse un aspetto ancora più importante, condividendo contenuti con le maggiori testate ed emittenti, le no-profit trovano lettori dove questi già ci sono.
Questo significa che, mentre gli spazi dell’informazione diventano sempre più polarizzati e le narrative politiche e culturali sempre più divise, molte testate no-profit stanno attivamente lavorando contro questa tendenza, evitando di erigere un muro intono ai propri contenuti, rendendoli così accessibili oltre le élite mediatiche che li ricercherebbero appositamente. Al contrario, esse mettono le proprie storie dove le persone – e il grande pubblico – sono già abituate a cercare le informazioni.
Anziché provare a convincere le persone a venire sul proprio sito, “perché invece non rendiamo i nostri contenuti disponibili sui canali attraverso i quali i cittadini ricevono già contenuti mediatici?” mi ha detto Andy Hall, fondatore del Wisconsin Center for Investigative Journalism, mentre lavoravo al libro. Quando frequentavo il Center for Public Integrity, ho notato che i loro redattori puntavano a condividere le proprie storie con spazi come Mother Jones o Abc News, testate che già tendono a pubblicare lavori giornalistici approfonditi. Al Wisconsin Center for Investigative Journalism, invece, lo staff condivide le proprie storie con organizzazioni da tutto lo stato del Wisconsin, molte delle quali hanno pubblicato raramente, o addirittura non hanno mai pubblicato il tipo di progetti da watchdog su cui lavora il Center. Questa capacità di elevare la qualità del giornalismo locale è una delle caratteristiche più importanti di questo approccio.
Ho anche osservato, tuttavia, che questa forte connessione con il giornalismo mainstream limita le possibilità di innovazione per molte di queste organizzazioni. Per essere ri-pubblicate, queste devono produrre lavori che saranno riconosciuti come rilvanti dalle organizzazioni mainstream: questo ha significato che, anche se il settore dell’informazione no-profit negli Usa sta lavorando per costruire un nuovo modello di business per il giornalismo, la critica si ferma per lo più lì, anche se sappiamo che il giornalismo soffre di una molteplicità di altri problemi.
Rafforzare le comunità locali
Ho trascorso la scorsa estate conducendo interviste con i leader dell’informazione no-profit in Europa, e i miei risultati preliminari suggeriscono che ci sia da fare un calcolo diverso nel Vecchio continente. Molti giornalisti europei guardano a questo modello come a qualcosa di più che un semplice finanziamento possibile del giornalismo che hanno sempre realizzato. In molti dei posti che ho visitato i giornalisti mi hanno detto, piuttosto, che speravano che dei cittadini meglio informati e più coinvolti potessero contrastare il sorgere dei populismi nel mondo. Per molti di questi giornalisti ciò significa interagire con le comunità in nuovi modi, in alcuni casi arrivando anche a usare le tecniche dell’organizzazione comunitaria per costruire le proprie comunità giornalistiche.
Progetti come Bureau Local, gestito dal Bureau of Investigative Journalism nel Regno Unito, stanno lavorano per rafforzare le comunità locali, per rispondere alle preoccupazioni riguardo un elettorato disinformato, e per costruire le capacità necessarie per il lavoro investigativo e di watchdog nelle organizzazioni giornalistiche locali attraverso collaborazioni su vasta scala e basate sui dati, che hanno generato un sorprendente coinvolgimento da parte dei cittadini. In Germania, Correctiv sta lavorando con un fondo di 500mila euro per creare la sua Crowd Newsroom. La piattaforma coinvolge i cittadini nel raccogliere dati altrimenti irreperibili dando loro la possibilità di contribuire con le loro osservazioni. Correctiv collabora poi con le organizzazioni giornalistiche locali per realizzare contenuti basati sui dati originali. Più di una semplice piattaforma di crowdsourcing, il modello Crowd Newsroom si basa e utilizza il coinvolgimento diretto della comunità locale.
Per questa e altre redazioni, comprendere come e perché le persone accedono all’informazione, e da dove provenga un’eventuale sfiducia nei confronti dei contenuti, è un elemento essenziale per utilizzare il giornalismo come mezzo per costruire nuove relazioni comunitarie. Naturalmente, poiché le organizzazioni no-profit sono molto inserite nel panorama mediatico americano, anche il settore qui si sta innovando. E dovremmo ricordare che come cittadini, come finanziatori, e come accademici abbiamo il potere di incoraggiarlo a proseguire in questa direzione.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta
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