Vantaggi e sfide delle collaborazioni giornalistiche crossborder

16 Marzo 2021 • Giornalismi, In evidenza • by

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Un nuovo studio condotto da Annett Heft, ricercatrice della Freie Universität Berlin esamina da vicino le motivazioni dei giornalisti e delle giornaliste che prendono parte a collaborazioni crossborder. Per il suo studio, pubblicato dal journal Journalism Studies, Heft, si è incentrata sui progetti crossborder nati “dal basso”.

Per il suo studio, sono stati quindi coinvolti reporter registrati sulla piattaforma Hostwriter o che hanno partecipato a una delle conferenze Dataharvest. Le interviste hanno avuto luogo tra febbraio e maggio 2019. Hostwriter è un network fondato nel 2013 a Berlino che supporta i giornalisti nella collaborazione internazionale: secondo il sito web, attualmente sono più di 5mila i professionisti dei media, provenienti da da più di 150 paesi in tutto il mondo, a essere registrati sulla piattaforma.

Alla “Dataharvest – The European Investigative Journalism Conference”, organizzata da Arena for Journalism in Europa, circa 500 giornalisti, data scientist e altri player di tutta Europa si incontrano invece ogni anno per condividere, creare reti e generare idee che spesso portano a progetti comuni.

Come afferma Heft, le reti crossborder su larga scala come quelle che fanno capo all’International Consortium of Investigate Journalists (ICIJ) o all’European Investigative Collaborations (EIC) attirano generalmente più attenzione, ma le collaborazioni “dal basso” – come quelle che nascono su Hostwriter o nel circuito Dataharvest – aiutano il settore del giornalismo collaborativo a diventare più accessibile e di routine, rendendo questa pratica più aperta a diventare parte quotidiana della professionale.

Lo studio si è concentrato su tre domande di ricerca: quali sono le motivazioni per i singoli giornalisti impegnati in collaborazioni crossborder come quelle agevolate da Hostwriter e i network Dataharvest? Quali tipi di collaborazioni sono state praticate e come possiamo caratterizzarle? E infine: quali sono i vantaggi e le sfide della collaborazione crossborder vissute dai giornalisti in collaborazioni abilitate “dal basso”?

Come mostrano i risultati, il miglioramento della qualità dei contenuti giornalistici è stato per l’80% degli intervistati una motivazione importante per partecipare a progetti di questo tipo. L’autrice dello studio sottolinea che questo riflette bene lo stato d’animo generale tra i giornalisti, solitamente insoddisfatti a causa della carenza di risorse nelle organizzazioni mediatiche maggiori e dei suoi effetti negativi e quindi sempre alla ricerca di nuovi modi per produrre giornalismo di qualità.

Il 62% degli intervistati ha lavorato a un progetto “dal basso” per aumentare l’impatto del proprio lavoro giornalistico, mentre solo poco più del 50% desiderava raggiungere un pubblico più ampio. Per quasi la metà degli intervistati, inoltre, le sinergie che derivano dal lavoro di squadra in generale sono state una motivazione per la cooperazione crossborder. Il 40% del campione ha collaborato con colleghi dall’estero per poter condividere delle risorse.

Solo per un terzo degli intervistati era invece rilevante l’essere in grado di gestire meglio grandi quantità di dati e materiale. Solo per poco più di un quinto del campione le considerazioni sulla sicurezza hanno giocato un ruolo cruciale. Secondo Heft, questo dimostra che le collaborazioni “dal basso” non si limitano solo al data journalism o al giornalismo investigativo.

Alla domanda su quali tipi di collaborazioni crossborder fossero state praticate, circa due terzi dei partecipanti ha risposto di essersi impegnato nella condivisione non vincolante e informale di piccole informazioni o di aver fornito o ricevuto feedback sul lavoro giornalistico al di là di progetti comuni chiaramente definiti. Circa la metà dei giornalisti intervistati aveva già scambiato informazioni e materiale per l’uso individuale di un collega.

Allo stesso modo, quasi la metà degli intervistati aveva già richiesto un unico piccolo servizio da un partner all’estero per beneficiare delle sue competenze locali o tematiche o del suo background culturale e delle sue competenze linguistiche. Tuttavia, circa la metà degli intervistati aveva già avuto esperienza di stretta collaborazione per una specifica storia o un progetto giornalistico.

Il 45% del campione ha infine condiviso informazioni, materiale e dati con i propri partner all’estero e poco più del 40% ha prodotto una storia comune. Secondo l’autrice dello studio, le risposte hanno mostrato come pratiche meno istituzionalizzate e forme di collaborazione meno intense siano più comuni delle collaborazioni strette o ad ampio raggio. Questo è in linea con le autovalutazioni degli intervistati sulla loro esperienza con la collaborazione giornalistica crossborder: più di un terzo si è classificato come “un po’ esperto” e un quarto ciascuno come “poco esperto” o “molto esperto”.

Processo di lavoro giornalistico
I maggiori vantaggi della cooperazione crossborder sono stati collegati dagli intervistati al processo di lavoro giornalistico di per sé, in primo luogo in riferimento al sostegno reciproco tra partner di cooperazione e la diversità delle prospettive messe a disposizione. Ad esempio, i giornalisti hanno elencato “nuove idee, tagli, storie” o “una visione più completa” della storia come possibili vantaggi e hanno inoltre valutato lo scambio di conoscenze tra i partner, sia in termini di “processi economici e politici”, nonché di “diversi standard editoriali”.  Anche la diversità dei linguaggi e quindi la “possibilità di lavorare con materiale multilingue” è stata menzionata positivamente.

Vantaggi giornalistici
Il secondo vantaggio più importante menzionato sono stati i vantaggi giornalistici individuali. Gli intervistati hanno apprezzato l’ampliamento dei propri orizzonti attraverso processi di apprendimento continuo che forniscono “ispirazione”, “aprono le mie prospettive” e “rendono il mio lavoro più perspicace”.

Come scrive Heft, anche l’aspetto del networking gioca un ruolo cruciale. I giornalisti che lavorano in collaborazioni “dal basso” sono ancora più bravi a costruire reti personali per i propri progetti rispetto ai giornalisti che lavorano in collaborazioni più ampie con un’infrastruttura impostata dall’alto.

Condivisione delle risorse
Un altro vantaggio è la messa in comune e la condivisione delle risorse, sebbene gli intervistati non si riferiscano a quelle economiche, ma principalmente all’accesso a nuove informazioni, dati e fonti.

Risultati ed effetti del lavoro giornalistico
Secondo il campione, la collaborazione crossborder migliora anche la qualità e la profondità del reporting. Sono stati citati anche la maggiore visibilità e impatto dei lavori, una più ampia reach – globale o transnazionale – e una audience più ampia come possibili vantaggi. Va notato, afferma Heft, che i benefici menzionati che emergono dalle collaborazioni “dall’alto” non erano diversi da quelli identificati in studi precedenti di collaborazioni dall’alto guidate dai big data e di taglio prettamente investigativo.

Tuttavia, come sottolinea l’autrice dello studio, in alcuni casi le collaborazioni “dal basso” devono affrontare sfide diverse. Per i giornalisti che hanno partecipato ai “Panama Papers” e ai “Paradise Papers”, ad esempio, affrontare la complessità della questione e dei dati è stata la sfida più importante.

Lavoro di squadra
Nei risultati dello studio di Heft, tuttavia, la maggior parte delle sfide sollevate dagli intervistati ruota attorno alla questione del lavoro di squadra e alla sua organizzazione. Ad esempio, “nessuna riunione faccia a faccia”, “lunghe conferenze Skype” e “discussioni via email molto lunghe” sono state menzionate come difficoltà: il coordinamento del lavoro di squadra è stato spesso descritto dagli intervistati come “complicato”.

Qui, le differenze tra le collaborazioni “dal basso” e quelle “dall’alto” diventano particolarmente chiare, sottolinea Heft. Mentre i progetti più grandi che perseguivano l’approccio dall’alto hanno fornito infrastrutture e risorse di lavoro per la gestione dei progetti o la pianificazione degli incontri, i progetti con un approccio “dal basso”  non avevano tali strutture a disposizione. Soprattutto quando i colleghi hanno standard editoriali, metodologie ed etica del lavoro diversi, gli intervistati percepiscono la collaborazione come una sfida.

Mancanza di risorse
Le scarse risorse, sia finanziarie che temporali, sono state menzionate dai giornalisti intervistati come il secondo ostacolo più comune dei progetti crossborder. Nessuno vuole finanziare una squadra internazionale per un lungo periodo di tempo, ha detto un intervistato, mentre un altro ha definito la routine di redazione come un ostacolo.

Organizzazione del team
Il processo di team building è stato menzionato come un’altra sfida. È stato difficile, a volte, trovare un “partner affidabile e professionale” che fosse “ugualmente motivato”, hanno detto gli intervistati.

Contenuto del lavoro giornalistico
Gli intervistati hanno considerato impegnativo sia la mancanza di materiale per la storia giornalistica, sia “la sfida di non perdersi nell’enorme quantità di materiale raccolto”. È stato anche menzionato il processo di ricerca degli argomenti: “È in qualche modo difficile trovare argomenti interessanti per entrambe le parti”, ha detto uno degli intervistati.

Per il futuro delle collaborazioni “dal basso” nel giornalismo crossborder sarà importante avere un piano per contrastare questi ostacoli, sottolinea Heft. Mentre per alcune sfide, come la comunicazione o il coordinamento, la formazione potrebbe portare a miglioramenti e promuovere un’ulteriore cooperazione, per altre, come il finanziamento, i fattori organizzativi ed esterni giocano un ruolo importante. Anche il superamento delle differenze nelle culture e nelle pratiche giornalistiche rimane una sfida, sottolinea l’autrice dello studio. Sono necessarie, infatti, “apertura mentale” e una “mentalità collaborativa”.

Articolo tradotto dall’originale tedesco

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