Neue Zürcher Zeitung, 16.4.2004
Quando danno informazioni su situazioni a rischio molti media tendono a drammatizzare i fatti o ad ignorarli. Anche gli interessi dei giornalisti stessi portano alla distorsione.
Nel 2001, per settimane, la mucca pazza è stata al centro dell’attenzione dei media. Il numero dei bovini risultati positivi al test della BSE era comunicato quotidianamente. Molto raramente, però, erano forniti i dati di contesto necessari ad una valutazione razionale del rischio. Non si veniva praticamente mai a sapere che per i 292 animali che in Germania, fino a marzo 2003, erano risultati positivi al test, ce n’erano 14,5 milioni sani. Il che significa una trascurabile percentuale del 0,002% di animali infetti. In Svizzera, fino alla fine del 2003, su 1,6 milioni di bovini, 452 erano malati; anche qui una casistica che corrisponde a una piccola parte dello 0,03%. Basandosi su tali dati, anche un principiante avrebbe potuto capire quanto minimo fosse il rischio di trovarsi sul piatto carne infetta da BSE. Ma così facendo i giornalisti avrebbero «svolto ricerche a danno della propria storia». Nella corrispondenza sulla BSE/CJD, oltre alla scarsa presentazione di dati e alla mancata proporzionalità del rischio, si aggiunge una scelta di titoli, didascalie e articoli sensazionalisti, come anche illustrazioni fortemente drammatizzanti.
Un altro fatto non è stato quasi mai reso nota dai media: finora, in Svizzera e in Germania, nessun essere umano è stato colpito dalla nuova variante della malattia Creutzfeldt-Jakob (vCJD), che viene associata al consumo della carne affetta da BSE. Se il rischio di contagio fosse stato anche solo la metà di quanto denunciato tre anni fa dai media tedeschi, allora per primi gli inglesi, poi gli svizzeri – che sono stati colpiti dal BSE prima dei tedeschi – si sarebbero estinti già prima che la mucca pazza potesse raggiungere le stalle in Germania.
Considerevoli danni economici
I danni economici causati in Germania, e prima in Svizzera, dallo scandalo della BSE sono stati considerevoli. Vennero abbattute intere mandrie di bovini sani. Come mostrato da Medien Tenor, rivista di settore, il consumo di carne bovina fu dimezzato a causa dell’insicurezza dei consumatori. Il mercato crollò completamente: le conseguenze furono settimane lavorative accorciate, perdite di posti di lavoro e grosse spese per i contribuenti per contenere la crisi.
In che misura le notizie sulla BSE hanno causato la crisi economica? La colpa è dei media? Il ricercatore di Magonza Hans Mathias Kepplinger, che si occupato approfonditamente delle conseguenze dello scandalismo dei media, fa notare che questa non è l’unica causa. Il fatto, incontestabile, che diverse cause confluiscano, non esclude però un effetto mediale. I media vengono considerati fattori che indirizzano gli atteggiamenti e i comportamenti, fintanto che i consumatori non posseggano un’esperienza propria. Valutazioni sbagliate da parte dei media possono avere conseguenze di vasta portata.
Sottovalutazione dell’Aids
Dalla corrispondenza sulla BSE e da casi simili, si può trarre come conclusione parziale che i giornalisti tendono ad esagerare i rischi appena scoperti, sia dal punto di vista dei contenuti che della portata della corrispondenza. Questo è però solo un lato della medaglia. La sopravvalutazione di rischi nuovi porta spesso alla sottovalutazione o alla non considerazione di rischi conosciuti, anche quando aumenta la loro potenzialità. Anche informazioni scarse o del tutto assenti possono avere gravi conseguenze economiche. Come dimostra l’esempio della copertura mediatica sull’Aids.
In Svizzera, ogni anno, 800 persone si infettano di Aids; in Germania esse sono 2000. Nell’ultimo anno, in Svizzera, sono decedute circa 70 persone a causa dell’HIV; in Germania ne sono morte 600. Ai danni «personali» causati dall’Aids si aggiungono costi per il sistema sanitario, l’economia e la comunità, causati dalla perdita di ore lavorative e dalla diminuzione delle entrate delle tasse. L’Aids rappresenta quindi un rischio molto maggiore della mucca pazza e della nuova variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob.
Ciononostante le notizie sull’Aids diminuivano, mentre quelle su BSE, carbonchio e Sars raggiungevano picchi altissimi. Persino l’aumento, nel 2002, dei casi diagnosticati di HIV – e questo anche tra adolescenti e giovani adulti – non fu motivo di corrispondenza. L’Aids venne tematicamente spostato nel lontano estero: in Asia, Africa e negli USA. I media non hanno nemmeno pubblicizzato in maniera aggressiva il fatto che, nel frattempo, anche i contatti eterosessuali – in Svizzera con il 59 percento la via di contagio più importante – siano diventati un fattore comune.
Proprio i giovani, sempre più a rischio per mancanza di una comunicazione familiare, si informano su questo tema «intimo» prevalentemente con l’aiuto della televisione e dei media. Se questi trascurano la tematizzazione di questo rischio, contribuiscono alla sua sottovalutazione da parte dei giovani.
Interessi propri dei media
Per arrivare al punto: l’Aids è il rischio «addormentato» della corrispondenza mediale, la BSE è quello amplificato, ma la cosa più pericolosa rimane ancora il traffico stradale. È naturale che per i giornalisti, che non dispongono di una formazione scientifica, tecnica e medica e che si trovano confrontati con affermazioni di esperti, sia difficile svolgere la comunicazione dei rischi in maniera da permettere al pubblico una valutazione reale dei rischi. Ma spesso gli interessi personali di giornalisti e imprenditori dei media sono corresponsabili del modo in cui i rischi vengono drammatizzati fino all’isteria nei media o di come vengano minimizzati o messi a tacere.
La comunicazione dei rischi dipende dal tipo di pubblico: si amplifica ciò che vende – e i media popolari trascinano inevitabilmente gli altri, anche se questi cercano di mantenere la serietà. Inoltre i rischi nuovi hanno un valore di mercato maggiore di problemi a lungo termine a cui il pubblico si è abituato. Questi rischi introdotti da molto tempo vengono quindi oscurati, dato che il loro valore notizia si è esaurito.
Economia della ricerca
La drammatizzazione o il mettere a tacere dei rischi attraverso i media, è spiegabile anche attraverso «l’economia della ricerca». A causa della concorrenza e della fretta, le ricerche giornalistiche faticose e lunghe sono una rarità. Spesso si utilizza un’unica fonte. Nel caso di rischi complessi i giornalisti si fidano delle affermazioni degli esperti; ma spesso anche di coloro che sono raggiungibili in quel momento e che si sanno rapportare ai media, fatto che però non dice nulla della loro competenza scientifica. Infine, fa parte dell’economia della ricerca anche l’orientamento verso i colleghi. Ai giornalisti piace saltare sul treno in corsa quando determinati media guida scoprono un «nuovo» rischio. Al posto di informare sulle reali proporzioni e sugli sviluppi dei pericoli, essi diventano facilmente, senza volerlo, vittime del «pregiudizio collettivo» e quindi, come affermato una volta dal sociologo americano Irving L. Janis, «victims of groupthink».
Andrea Höhne e Stephan Russ-Mohl
Questo testo è la versione ridotta di un rapporto presentato in occasione dell’anniversario della Schweizerischen Gesellschaft für Kommunikations- und Medienwissenschaft (Associazione svizzera per le scienze della comunicazione e dei media).