La vicenda dell’assegnazione delle frequenze televisive in Italia torna a far discutere. Una delle ragioni per cui l’agenda politica e mediatica la riporta in auge è che l’idea di concedere a titolo gratuito un bene pubblico in periodi di tagli e sacrifici collettivi lascia perplessi molti – stando alle dichiarazioni, anche lo stesso ministro dello sviluppo economico del governo Monti, Corrado Passera. Inoltre le dimissioni da premier di Silvio Berlusconi, tycoon delle televisioni, lasciano aperta qualche possibilità di scongelare i rapporti condizionati tra media e politica – ma il partito di Berlusconi, il Pdl, fa ancora parte della maggioranza parlamentare di governo, stavolta a supporto di Mario Monti. Per concentrare l’attenzione sugli aspetti mediatici, il nocciolo della questione rimane il pluralismo.
L’ALTRA EUROPA: CONCORRENZA
L’input che arriva dall’Unione europea è chiaro: bisogna aprire il mercato televisivo alla concorrenza, quindi anche a nuovi player. Le sanzioni imposte all’Italia a seguito della legge Gasparri del 2004 sono state congelate in attesa del cosiddetto beauty contest, ovvero l’assegnazione dei canali ai partecipanti che meglio rispondono a determinate caratteristiche.
Nel resto d’Europa è stata scelta di frequente questa modalità e, come previsto finora in Italia, l’assegnazione è avvenuta su base gratuita (Gran Bretagna 2002, Francia 2001). Tuttavia la vera competitività è stata considerata una condizione fondamentale e le stesse istituzioni europee sono intervenute sanzionando quei casi in cui veniva meno il requisito della effettiva concorrenza. Il caso francese è esemplare: quando nell’ottobre 2011 l’omologo della Agcom italiana, ovvero il Consiglio superiore dell’audiovisivo francese (CSA), ha consentito che sei multiplex venissero assegnati ai player nazionali, subito è partita l’accusa di aver favorito le reti storiche (Canal+, TF1,. M6). L’Ue ha respinto l’assegnazione di canali bonus agli incumbent storici nazionali.
L’ALTRA EUROPA: PLURALISMO
Concorrenza, quindi, intesa anche come condizione per il pluralismo. Quest’ultimo sembra essere stato il criterio guida scelto nella procedura di assegnazione in Svezia: come è attestato in un documento di lavoro della European Platform of Regulatory Authorities (“15th EPRA Meeting, Brussels, 16-17 May 2002, Working group 1, Update on Digital Terrestrial Television”), i principi guida adottati in Svezia per l’assegnazione dei canali sono stati il pluralismo, l’accessibilità e la varietà. Non a caso l’assegnazione è stata intesa canale per canale, evitando quando possibile che una stessa compagnia utilizzasse un intero multiplex. E’ stato incoraggiato l’ingresso di compagnie indipendenti accanto alla possibilità di partecipare per i vecchi incumbent; attenzione particolare è stata data ai programmi locali e alla varietà e pluralità nell’offerta dei contenuti.
BEAUTY CONTEST ALL’ITALIANA
In un contesto normativo europeo dove la tutela della concorrenza e la neutralità delle tecnologie dovrebbero essere le stelle polari, il beauty contest così come è stato formulato in Italia risulta irrazionale sotto molti punti di vista. Una analisi pubblicata dagli economisti Carlo Cambini e Antonio Cassano sul portale specialistico La Voce sintetizza bene alcune anomalie: quello italiano è “un beauty contest che regala un bene pubblico di altissimo valore, che viola i principi di neutralità del servizio e della tecnologia, che favorisce gli operatori italiani verticalmente integrati, che assegna le frequenze migliori agli incumbent e di fatto cristallizza il mercato. Soprattutto, una gara che non contribuisce a creare le condizioni per un uso razionale dello spettro e non apre il mercato come richiesto dall’Europa per chiudere la procedura di infrazione”. In alternativa a questo “scenario lose-lose”, la soluzione ci sarebbe ed è “win-win”, cioè più razionale e più benefica per tutti: basterebbe rivedere la procedura per garantire più concorrenza, più pluralismo e almeno un miliardo di euro di incasso per lo Stato. Gli argomenti usati dai due professori sono efficaci: a dispetto delle indicazioni europee, la procedura italiana non rispetta il criterio della neutralità del servizio e della tecnologia, escludendo peraltro gli operatori della telefonia. Il “concorso di bellezza” all’italiana è destinato alla specifica tipologia degli operatori televisivi nazionali verticalmente integrati, con un sistema di punteggio che favorisce i player già forti e con un pregiudizio a favore di chi è sia operatore di rete che fornitore di contenuti (escludendo quindi chi può competere al meglio su uno specifico versante).
NUOVE ANOMALIE E VECCHIA TELEVISIONE
Ma non c’è bisogno di addentrarsi nelle valutazioni economiche per intuire che con questo beauty contest è in gioco la possibilità per il sistema televisivo italiano di riscattarsi da una anomalia ormai cristallizzata e che perdura da decenni. Quella che dovrebbe essere una nuova chance per la concorrenza e il pluralismo, ovvero il passaggio al digitale, rischia di diventare l’ennesima fotografia di equilibri e posizioni già prefissate. Non a caso l’analisi di Edoardo Segantini sul Corriere della Sera del 21 dicembre parte dalla legge Mammì del ‘90 per spiegare l’attualità e parla di “vent’anni di caos”. Quella prima legge organica che però “fotografava lo status quo legalizzando la conquista delle praterie televisive” era appunto una Polaroid di ciò che già esisteva. Perciò si potrebbe andare anche più indietro nel tempo, fin dagli anni Settanta, quando la Corte costituzionale doveva colmare con la giurisprudenza le lacune normative. Sarà sempre la Corte negli anni Ottanta a chiedere il pluralismo interno ed esterno. Il vuoto del legislatore verrà colmato solo con la Mammì, ma legittimando e regolarizzando le distorsioni già avvenute in mancanza di una legislazione antitrust.
L’eredità degli anni ’80 verrà tramandata e congelata nei decenni successivi: si affermerà sempre più l’oligopolio privato targato Fininvest, proprietà della famiglia Berlusconi. E se la legge Gasparri del 2004 sul sistema integrato delle comunicazioni aveva comportato una procedura di infrazione dell’Ue, sospesa in attesa del beauty contest, non è detto che con il digitale l’Italia volterà pagina. Una parte del mondo della televisione è in fibrillazione: il conduttore Michele Santoro sfida il governo Monti a cambiare il tipo di gara, a fare un’asta concorrenziale e ad aprire davvero i giochi. Chiede di poter entrare nella corsa e offre allo Stato almeno un milione di euro. Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera intanto durante un’intervista televisiva fa intendere di voler cambiare passo. Ma nonostante questo bailamme, come osserva l’avvocato Gianluigi Pellegrino in una lettera a la Repubblica, il 28 dicembre sul sito del Ministero il beauty contest c’è ancora, vivo e vegeto.
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