Spagna: la politica mediatica del governo ha alimentato le teorie del complotto

4 Settembre 2020 • Media e Politica, Più recenti • by

L’8 gennaio 2020 il socialista Pedro Sánchez ha assunto la carica di Presidente del governo in Spagna dopo la ripetizione delle elezioni, con il sostegno di una debole e frammentata maggioranza in Parlamento. In quella tornata elettorale, Vox, partito di estrema destra, ha ottenuto per la prima volta la rappresentanza al Congresso dei Deputati (52 deputati, terza forza complessiva). Il 14 marzo Sánchez ha poi dichiarato lo stato di emergenza per la pandemia e il confinamento degli spagnoli nelle loro case.

Sin dall’inizio della crisi sanitaria, Vox ha accusato il governo di “essere responsabile della morte di migliaia di spagnoli”, di “nascondere e truccare il numero di morti”, di “cancellare i referti medici”, di “promuovere la disoccupazione, la rovina e la miseria” e di star cercando di stabilire il comunismo o il modello venezuelano anche in Spagna. Il partito ha anche accusato i media di lasciarsi comprare con fondi pubblici, di essere usati “per mettere a tacere il clamore popolare e ridurre al minimo le proteste”, di diffondere notizie false e di essere complici della cancellazione della libertà di informazione. Queste accuse provengono da un partito politico che impedisce sistematicamente l’ingresso ai suoi eventi ai giornalisti che lavorano per media critici nei confronti delle sue proposte.

Sappiamo che gran parte della battaglia politica ora si concentra sul controllo della “storia”, e Vox sta vincendo questa battaglia contro un governo che offre però più informazioni e più presenza pubblica che mai. Una politica di informazione istituzionale irregolare e diversi errori spiegano però in parte perché Vox stia riuscendo a indebolire il governo utilizzando la crisi del Coronavirus in modo distorto.

Filtrare le domande sulle conferenze stampa
Il presidente del governo ha tenuto una conferenza stampa ogni settimana. Essendo impossibile svolgerle in presenza, il modello alternativo adottato ha ricevuto molte critiche da parte dei giornalisti: i reporter dovevano inviare le loro domande attraverso un canale WhatsApp e il segretario di Stato per la comunicazione, Miguel Angel Oliver, si preoccupava di selezionare quelle ritenute più rilevanti per essere lette al Presidente. Il 21 marzo, ad esempio, diversi giornalisti si erano accordati per chiedere se il governo avesse intenzione di estendere lo stato di emergenza, ma la domanda non è stata letta. Oliver ha sostenuto che il Presidente volesse prima informare i presidenti regionali, che si sarebbero riuniti il giorno successivo.

Il risultato è stato che diversi media hanno deciso di non inviare più i loro giornalisti a queste conferenze stampa. Più di 500 giornalisti hanno firmato un manifesto intitolato “Freedom to Ask”: i firmatari hanno ricordato che con lo stato di emergenza il Governo gode di poteri “di gran lunga superiori alla norma”, ed è pertanto “importante che la stampa faccia il proprio lavoro di controllo, ancor più quando il Parlamento ha fortemente limitato la sua attività. Il modo principale per esercitare questa funzione per il giornalismo è attraverso le domande ai membri del Governo”. Solo allora, dal 5 aprile, sono iniziate le conferenze stampa con domande non filtrate.

Social network e indagini sociologiche
Il responsabile delle emergenze sanitarie, Fernando Simón, è diventato una figura mediatica attraverso le sue apparizioni quotidiane. Nei primi due mesi ha affrontato i media accompagnato da poliziotti e militari: molte sono state le critiche per l’uso di metafore belliche e l’uso di messaggi che trattavano la popolazione come se fosse composta da soldati sul campo di battaglia. Il capo della Guardia Civile, interrogato sulle bufale e sulle notizie false che circolavano in quei giorni, ha detto che i social media erano stati messi sotto osservazione per “minimizzare questo clima contrario alla gestione delle crisi da parte del Governo”.

Il Ministro dell’Interno ha negato questo punto, ma in realtà pioveva sul bagnato: il Centro de Investigaciones Sociológicas (CIS) aveva introdotto nella sua indagine di aprile una domanda su una possibile limitazione della libertà di espressione nelle reti sociali per contenere le bufale. In quegli stessi giorni, WhatsApp aveva annunciato che avrebbe limitato in modo massiccio il re-invio di messaggi per fermare la disinformazione: molti media hanno collegato questa iniziativa dell’azienda – che riguarda tutti i paesi, non solo la Spagna – con un messaggio trasmesso agli suoi utenti raccomandando l’uso di siti fact-checking come Newtral o Maldita.es. La conclusione per molti è stata che questi media stavano censurato le informazioni dei social media che avrebbero potuto danneggiare il governo.

Le conferenze stampa faccia a faccia sono riprese a partire dall’ultima settimana di maggio e i responsabili della polizia e dell’esercito hanno smesso di comparire a fianco dei portavoce della salute a partire dal 25 aprile. L’accumularsi però di errori e la creazione “interessata“ di rapporti di causa-effetto tra decisioni politiche e azioni mediatiche ha permesso all’estrema destra spagnola di mantenere costantemente un discorso cospirativo secondo il quale i social media, i media e il governo coopererebbero per manipolare la realtà e bloccare le risposte dei cittadini.

Articolo pubblicato originariamente in spagnolo, traduzione dall’inglese a cura di Antonio Nucci

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’EJO

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