In Polonia una tassa sulla pubblicità minaccia il pluralismo

19 Aprile 2021 • Giornalismi, Libertà di stampa, Più recenti • by

Il governo polacco sta lavorando all’introduzione di una tassa sulla pubblicità da imporre a editori giornalistici, emittenti televisive e radiofoniche, proprietari di cinema, siti di notizie e piattaforme tecnologiche. Quella che il governo chiama la tanto attesa “digital tax” graverà però principalmente sui media tradizionali e non sui giganti tecnologici globali.

L’annuncio della nuova tassa ha scatenato un’ondata di proteste tra i media polacchi. Il 10 febbraio quasi tutti gli organi di stampa indipendenti, con l’eccezione delle testate più vicine al governo e le emittenti tv e radio pubbliche, hanno trasmesso o pubblicato solo banner neri con slogan come “questo doveva essere il tuo programma preferito” o “media senza scelta, al posto dei loro contenuti.

Con questa mossa, i proprietari delle emittenti, i giornalisti e gli editori volevano mettere in guardia il pubblico dei rischi connessi alla possibile scomparsa della stampa libera. Infatti, esistono timori fondati che alcune aziende mediatiche potrebbero non sopravvivere a causa di questa nuova e ulteriore pressione finanziaria.

La costruzione della nuova tassa
Quella che viene descritta come una “digital tax” è in realtà una tassa sulla pubblicità molto generica: si applica, infatti, non solo ai redditi provenienti dal digitale, ma anche ai proventi della pubblicità convenzionale.

Il prelievo proposto dal governo parte dal 2% per la carta stampata il cui reddito pubblicitario annuo supera i 15 milioni di zloty e il 6% sul reddito rimanente sopra la soglia di 30 milioni di zloty. Il tasso per TV, radio, cinema e pubblicità outdoor è invece del 7,5% ed è calcolato sul reddito pubblicitario annuo superiore a 1 mln di zloty e sale al 10% dal reddito superiore a 50 mln di zloty.

Nella proposta di legge, le tariffe raddoppiano per gli annunci pubblicitari di determinati prodotti come medicinali, integratori alimentari e bevande zuccherate. L’online sarà coperto da un’aliquota fissa del 5% e interesserà solo le aziende che generano almeno 750 mln di euro di fatturato globale all’anno e che fatturano almeno 5 mln di euro di pubblicità in Polonia: coinvolgerà quindi principalmente grandi piattaforme tecnologiche come Google, Facebook e servizi di e-commerce, oltre che i media nativi digitali.

La metà delle entrate generate dalla nuova tassa è destinata a rafforzare il Fondo sanitario nazionale (quindi la lotta alla pandemia), mentre il resto andrà al Fondo per il sostegno alla cultura e al patrimonio nazionale nell’area dei media e al Fondo nazionale per la protezione dei monumenti di nuova creazione. È interessante notare che il nuovo fondo per i media deve finanziare anche la produzione di programmi di informazione, corsi di formazione sull’alfabetizzazione mediatica e la lotta alla disinformazione.

Gli editori dei media tradizionali fanno sapere che la tassa in questa forma causerà inevitabilmente l’aumento dei prezzi degli annunci nei media tradizionali e accelererà il trasferimento dei budget pubblicitari online a vantaggio dei giganti tecnologici che invece sarebbero dovuti essere bersaglio della nuova tassa. Il prelievo fiscale graverà anche in modo diseguale sui proprietari di media privati ​​che non possono contare sul sostegno statale: le stime mostrano che i giganti della tecnologia potrebbero pagare circa 100 milioni di zloty all’anno, mentre altri editori polacchi pagheranno congiuntamente circa 700 milioni di zloty.

“Beneficiari della pandemia”
Il governo definisce la tassa “un contributo di solidarietà” sostenendo che le aziende gravate dal nuovo prelievo sarebbero “i maggiori beneficiari della rapida trasformazione digitale imposta dalla pandemia”. Ma questa giustificazione non regge.

La pandemia ha colpito duramente il settore dei media in Polonia: secondo le stime di Publicis Groupe, le perdite complessive del mercato pubblicitario polacco nel 2020 sono dell’8,6%. Solo nei primi tre trimestri del 2020, le emittenti televisive e radiofoniche hanno visto i propri introiti pubblicitari diminuire rispettivamente del 15,5% e dell’11,8%, mentre la carta stampata ha perso oltre il 30%. L’unico segmento di mercato che ha visto un aumento, del 2,5%, è stata la pubblicità online.

I professionisti dei media e molti esperti temono che la nuova tassa possa contribuire all’ulteriore deterioramento della già difficile situazione finanziaria degli editori e quindi alla diminuzione del pluralismo dei media in Polonia. È anche difficile non vedere la tassa proposta come parte della più ampia strategia del governo volta a introdurre “il nuovo ordine dei media” – come sottolineato nel programma elettorale del partito già nel 2019.

Già durante il primo mandato (2015-19) il governo conservatore in carica aveva annunciato un piano di “ripolonizzazione” dei media, visto come un perseguimento di “una profonda riforma del sistema mediatico” dominato – a loro dire – dal “capitale straniero” e dal “pregiudizio liberale”. Tuttavia, nessun disegno di legge aveva fin qui visto la luce del giorno.

Non potendo perseguire la “ripolonizzazione” attraverso il percorso legale, alla fine del 2020 il governo ha agito in modo sorprendente, consentendo a PKN Orlen, colosso petrolifero statale, di rilevare Polska Press, il più grande attore nella stampa regionale e digitale che possiede oltre 120 settimanali locali, 500 siti web e sei tipografie. L’accordo con Verlagsgruppe Passau (il precedente proprietario di Polska Press) è stato annunciato alla fine del 2020.

Nel febbraio 2021 l’autorità garante della concorrenza del paese ha dato a PKN Orlen il permesso di procedere con l’acquisizione. Al contrario, invece, quando la società privata polacca Agora, editrice del quotidiano di sinistra Gazeta Wyborcza, stava cercando di rilevare la seconda più grande stazione radio ceca, SFS, il garante ha posticipato la decisione per oltre 14 mesi e alla fine ha vietato l’accordo nel gennaio 2021.

“Politizzazione” dei media
Anche se il partito al governo e i media più fedeli affermano che il livello di pluralismo dei media e di libertà di parola in Polonia è più alto rispetto a prima del 2015, le istituzioni indipendenti sono di altro avviso. Negli ultimi cinque anni la Polonia è scesa nell’indice della libertà di stampa dalla 18esima alla 62esima posizione.

La crescente “nazionalizzazione” dei media è visibile anche nella ricerca accademica. Secondo Beata Klimkiewicz, ricercatrice di media studies presso la Jagiellonen-Universität, gli ultimi piani fiscali per la pubblicità e l’acquisizione di Polska Press da parte di Orlen rappresentano una minaccia diretta al pluralismo dei media e alla libertà di stampa in Polonia.

Come mostra il Media Pluralism Monitor 2020, per il quale Klimkiewicz ha curato il rapporto sulla Polonia, l’indipendenza politica dei media polacchi è già a rischio, poiché non esistono misure di protezione normativa che limitino il controllo politico sulla stampa. Inoltre, non esistono regole per i conflitti di interesse tra i proprietari dei media e i partiti al potere, i partiti e i politici.

La nuova tassa sulla pubblicità contribuirebbe anche alla disparità di trattamento delle società mediatiche, dal momento che i media pubblici, a cui verrebbero addebitati anche parte degli introiti derivanti dal prelievo fiscale, potrebbero contare sul sostegno dello Stato.

Inoltre, non è certo se il progetto legge sarà sostenuta da un numero di parlamentari sufficiente per l’approvazione. Tuttavia, è chiaro che il mercato dei media polacco è un osservato speciale dell’attuale governo e questo è solo uno dei tanti passi che stanno portando alla diminuzione progressiva del pluralismo dei media e della libertà di stampa.

Come si può leggere nel programma del governo del 2019, la regolamentazione della professione giornalistica e l’istituzione di un’agenzia di autoregolamentazione per i giornalisti per proteggere gli “standard nei media” sono probabilmente i prossimi punti all’ordine del giorno dell’esecutivo.

Articolo tradotto dall’originale tedesco

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