Corriere del Ticino, 23.5.2005
Quando si possono utilizzare fonti anonime, e quali rischi corrono i giornalisti nel farlo?
Che i media possono provocare gravi ripercussioni lo ha dimostrato per l’ennesima volta un articolo del settimanale Newsweek sulla profanazione del Corano nella prigione americana di Guantanamo. I 17 morti provocati dalle proteste anti-americane in reazione alla notizia non torneranno in vita perché il direttore della rivista, nel frattempo, si è scusato.
È psicologicamente comprensibile che Newsweek non abbia voluto ripetere l’errore lasciando uno scoop ad altri a causa di un’esitazione. Lo smacco subito per non aver pubblicato per primi la notizia della relazione tra il presidente Clinton e Monica Lewinsky non era stato ancora completamente dimenticato: in quel caso fu l’Internet-Reporter Matt Drudge a rendere pubblica la notizia, perché i redattori di Newsweek erano ancora impegnati nelle ricerche per verificare i fatti.
Rimane da chiedersi: la storia del Corano nel gabinetto era davvero uno scoop? Che i carcerieri umilino in questo o in altri modi i propri prigionieri, non è presumibilmente un fatto tanto eccezionale – né nelle prigioni americane, né in altre. Alla dubbia rilevanza della storia, si aggiunge però che Newsweek l’abbia pubblicata basandosi su un’unica fonte anonima.
È ingenuo chi afferma che i media dovrebbero rinunciare del tutto a tali fonti. Senza gli informatori ‘del giro’, senza specifiche indiscrezioni dei ‘ben informati’, che si tengono nell’ombra, un giornalismo investigativo – che controlla i politici in attesa di scoprire qualche scandalo – sarebbe impensabile. La cosa importante è che il giornalista che usa tali fonti sia cosciente del pericolo di essere strumentalizzato: chi non vuole solo spargere voci di corridoio dovrebbe anche entrare in possesso di documenti o per lo meno trovare un secondo informatore che confermi la versione del primo. Resta il fatto che queste regole da manuale, per chi opera in un regime di concorrenza e vuole ottenere una notizia per primo, non sono poi tanto semplici da osservare.
Il pubblico ha però il diritto di sapere da dove proviene un’informazione. Per questo principio si batte da tempo Geneva Overholser che – come ombudsman del Washington Post – ha attaccato, sulle pagine del proprio giornale, il famoso giornalista Bob Woodward accusandolo di utilizzare troppo spesso fonti anonime.
Anche il New York Times ha nuovamente sollevato questa problematica: in un recente rapporto interno è stato affermato che la credibilità giornalistica viene minata quando nel giornale si trovano di continuo articoli senza fonti identificabili.
Nel caso di Newsweek, l’anonimo – che ora ritratta – siede da qualche parte nei piani alti all’amministrazione americana. C’è di strano che egli si è distanziato dalle sue stesse affermazioni, solo dopo che sono giunte le notizie dei disordini ovvero con diversi giorni di ritardo, mentre la Croce Rossa a Ginevra conferma le sue affermazioni iniziali rendendo noti diversi precedenti nei quali i militari americani a Guantanamo, tra il 2002 e il 2003, hanno commesso profanazioni del Corano.
E anche questo dettaglio sembra essere stato dimenticato da tutti quelli che hanno accusato Newsweek: la redazione aveva sottoposto l’articolo a due PR del Pentagono. Il primo aveva rifiutato una presa di posizione, mentre il secondo disapprovava alcuni passaggi nel testo, ma non quello in cui si parlava della profanazione del Corano. L’articolo di Newsweek, insomma, era stato approvato dal Ministero della Difesa.
Dare tutte le colpe di quanto accaduto alle distorsioni dei media sarebbe troppo facile. Chi semina odio, odio raccoglierà – e non è stato certamente un settimanale a seminare questo odio. I morti in Afganistan vanno piuttosto messi sul conto di quegli estremisti islamici che li hanno ammazzati. Vanno però anche addebitati ai guerrieri cristiani, non meno fondamentalisti, che a Washington, durante le loro crociate in Iraq e altrove, cercano di vessare i media liberali che criticano le politiche del governo.
Chi, come Newsweek, porta cattive notizie, dovrebbe fare una cosa che i giornalisti ancora disdegnano: riflettere sulle potenziali conseguenze di ciò che scrivono – e valutare se una notizia è di pubblico interesse. Che i giornalisti di tutto il mondo avrebbero rilanciato la notizia della profanazione del Corano era prevedibile, anche se l’episodio forse non merita tutta questa attenzione. Certamente c’è uno strano contrasto con la poca attenzione che i media, come quarto potere, hanno dato al fatto che questo Lager esista: il vero scandalo è che a Guantanamo delle persone siano incarcerate e seviziate senza fondamenti legali, in violazione dei principi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo