“Non è che la gente non voglia pagare per i contenuti giornalistici, è che non lo vuole fare attraverso i canali che al momento vengono offerti”.
Così il fondatore di Niuzly, una piattaforma di pubblicazione online che punta sui “micropagamenti” per ricompensare il lavoro di blogger e giornalisti freelance, Paul Dinulescu, spiega, intervistato da Journalism.co.uk, la filosofia alla base della sua startup. Trasformare l’approccio dei consumatori di informazione, attualmente abituati a pensare in termini di forfait – l’acquisto di un intero giornale, o dell’abbonamento digitale a un sito – in qualcosa di molto più estemporaneo e frammentato. Pagare insomma, per singoli articoli provenienti da varie pubblicazioni, un po’ come oggi si comprano su iTunes o su Amazon, singole canzoni invece che interi album musicali.
L’idea di creare un “iTunes delle news”, non è del tutto nuova. Se ne parla almeno dal 2009 quando l’editorialista la propose, in un pezzo, come una delle possibili soluzioni al problema dell’individuazione di un modello di business sostenibile per le news online. Più di recente, un’altra startup, l’olandese Blendle, si è lanciata in qualcosa di simile, raccogliendo su un’unica piattaforma contenuti provenienti dai quindici principali quotidiani e riviste olandesi e introducendo un modello di monetizzazione (70% all’editore, 30% al sito) simile a quello di Apple.
L’impostazione di Niuzly è leggermente diversa, l’autore del pezzo prenderebbe l’80% dei ricavi diretti (ovvero di quanto i lettori sarebbero disposti a spendere per accedere all’articolo) e il 50% di quelli indiretti, derivanti dagli introiti degli annunci pubblicitari della pagina. Il saldo di quanto dovuto arriverebbe al raggiungimento di almeno 300 dollari di compensi, accumulati sommando insieme tanti micropagamenti.
Dinulescu si rivolge inoltre più a chi scrive, che agli editori (anche perché un tentativo di coinvolgere questi ultimi, effettuato nel 2012, era finito nel nulla): l’idea è di dare a quell’immenso sottobosco di collaboratori non pagati – o miseramente pagati – l’opportunità di esprimersi guadagnando qualcosa, mantenendo al contempo il controllo dei contenuti prodotti. Oltre a pubblicare su Niuzly, infatti, i freelance sarebbero liberi di diffondere gratuitamente i propri articoli anche altrove.
L’attenzione del lettore si otterrebbe solleticandone le curiosità con un’anteprima del pezzo, per poi richiedere una somma oscillante fra i 5 e i 30 centesimi a quei pochi – o tanti – che richiedono l’accesso al testo completo. Gli utenti pagherebbero poi con il loro conto PayPal. Sulla carta un meccanismo tutto sommato semplice e abbastanza lineare.
Il problema dei micropagamenti online però è sempre quello: superare la fase di avvio e riuscire a raggiungere la massa critica, sia di autori che di lettori, indispensabile per trasformare una buona idea, sul piano teorico, in un prodotto concreto. Si tratta da un lato di far capire a chi legge che produrre un contenuto valido sul piano giornalistico, richiede fatica, e che, come in qualsiasi altro ambito, la qualità si paga. Dall’altro, di convincere chi scrive a sottoporsi al “taglieggiamento” degli intermediari finanziari.
È noto che PayPal, ad esempio, pur essendo gratuito per chi compra, sottopone chi vende a commissioni assai salate, e lo stesso vale per la maggior parte degli altri intermediari che forniscono questo genere di servizi.
Una soluzione a questo problema potrebbe essere quella adoperare la moneta virtuale BitCoin, il cui costo di movimentazione è infinitesimo rispetto ad altre valute. Un paywall a base di BitCoin esiste già, in versione beta: si chiama BitWall e consente di usare la criptomoneta per pagamenti di ammontare minimo di un centesimo. Il sistema prevede anche altre forme di compensazione: il pagamento con un tweet, la visualizzazione di un annuncio pubblicitario prima del testo o il pagamento a forfait, per avere un accesso giornaliero agli articoli.
Una possibile alternativa è anche usare Flattr, un servizio di pagamenti attivo dal lontano 2010 e fondato da quel medesimo Peter Sunde appena arrestato in Svezia per i suoi trascorsi con Pirate Bay. Flattr non è un sito pirata, però, al contrario – il servizio di pagamenti online è comprensibilmente uno dei più regolati, il che è anche una delle ragioni per cui Flattr ha faticato a sfondare. Il recente passaggio a un nuovo fornitore della piattaforma su cui passano le transazioni, Mango Pay, potrebbe però aiutare il sito a fare il salto di qualità e a proporsi come valida alternativa a PayPal e simili per quanto riguarda i micropagamenti. Staremo a vedere.
Photo credits: EJP Photo / Flickr CC
Tags:abbonamenti digitali, Bitcoin, Blendle, Flattr, freelance, giornalismo digitale, micropagamenti, modello di business, Niuzly, Paul Dinulescu, paywall, The Pirate Bay